DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

A cent’anni dalla “rivoluzione bolscevica”, la borghesia potrebbe dormire sonni tranquilli. Potrebbe abbandonare serenamente ogni preoccupazione relativa al comunismo, relegandolo negli archivi, lasciandolo a esclusivo consumo degli storici, come l’età del bronzo e le piramidi: un problema superato. Eppure, eppure… “Bolshiness Is Back”, intitola The Economist l’articolo di copertina della monografia sul 2017, per la penna di uno dei suoi più prestigiosi analisti, Adrian Wooldridge, giocando – è proprio il caso di dirlo! – sull’espressione “Englishness” (=inglesità, a indicare la presunta identità culturale inglese). Insomma, “Torna il bolscevismo”. Il motivo? Ci viene presto detto: “le similitudini con il mondo che ha prodotto la rivoluzione russa sono troppe per continuare a sentirci a proprio agio”.

Il prestigioso pennivendolo ci ricorda un’altra ricorrenza, la Prima guerra mondiale, e si guarda bene dall’andare oltre le parole di rito: nessun legame pare esserci tra la rivoluzione russa e quel primo massacro imperialista. Egli preferisce fare un parallelo tra il “periodo d’oro” del liberismo nei quarant’anni che precedettero la Prima guerra mondiale e il “periodo d’oro” del neoliberismo negli anni successivi alla caduta dell’impero “sovietico”. A smentire queste favole per stolti, basterebbe ricordare che il cosiddetto “periodo d’oro” tra fine Ottocento e primi del Novecento fu caratterizzato dalla tendenza alle guerre di colonizzazione da parte delle potenze dominanti, come passaggio da un temporaneo e relativo liberismo alla fase monopolista, imperialista, del capitale, la globalizzazione ante litteram. Ora, noi potremmo anche essere d’accordo nel vedere una similitudine tra questi due “periodi”: ma là dove l’articolista vede due “periodi d’oro”, noi vediamo due fasi dell’imperialismo assassino e predatore. In questo senso, ha ragione: il periodo che viviamo è simile e in continuità con quello dell’imperialismo di cento anni fa e le sue guerre per la spartizione del mondo. Ma a un livello più elevato. Non si tratta di “corsi e ricorsi storici” alla Gianbattista Vico, bensì di leggi di sviluppo, con accumularsi di quantità che modificano la qualità.

Il columnist mette poi insieme Lenin e Stalin, come nel più classico repertorio degli intellettuali borghesi; e, quindi, giustifica la salita al potere di Mussolini, Hitler e Franco, come reazione al comunismo. Naturalmente, non ha nessuna intenzione di spingere fino in fondo la sua analisi. Invece, è proprio la paura presente del bolscevismo a fargli sfoderare l’arma polemica più utilizzata dalla borghesia per diffamare il comunismo: comunismo=stalinismo. Noi ricordiamo a tutti e non solo alle giovani generazioni di proletari che, per vincere, lo stalinismo ha prima di tutto dovuto assassinare la vecchia guardia bolscevica: solo in questo modo ha potuto far passare l’inganno e l’aberrazione del “socialismo in un paese solo”. Così facendo, ha voltato le spalle alla rivoluzione comunista mondiale e si è dedicato a compiti puramente borghesi: la formazione dello stato capitalistico russo, pienamente imperialista. E proprio ciò (un nemico interno, un agente della borghesia nel proprio seno e come propria guida) ha confuso, scompaginato e disarmato l’intero movimento proletario mondiale, sull’arco di un secolo.

Naturalmente, lor signori che scrivono su autorevoli organi d’analisi borghesi non ricordano che Stalin è stato il loro alleato nella Seconda guerra mondiale, trascinando il proletariato mondiale nel macello, in un bagno di sangue che fu al contempo, per la borghesia, un bagno di giovinezza. E osano chiedere al proletariato di starsene buono e di non provare a strappare il potere alla borghesia, perché altrimenti… si scatenerebbero altre dittature fasciste! E si guardano bene dal dire quali sono state le cause delle due guerre mondiali, e di tutte le guerre che hanno insanguinato il mondo in questo secolo (figurarsi poi se possono accennare al nuovo conflitto mondiale che si prepara dietro gli scontri inter-imperialistici attuali!). Anzi, il “nostro” si compiace del fatto che, fortunatamente, ci è stato risparmiato un terzo conflitto mondiale e che i conflitti siano… relegati nel Medio oriente! Quest’ultima perla (che sia cosciente cinismo o ignorante stupidità non ci interessa stabilire) significa sostenere: 1) che non vi è legame tra i conflitti in Medio oriente e la preparazione di una prossima guerra mondiale; 2) che i paladini del liberismo democratico moderno non hanno alcuna responsabilità nei conflitti in Medio oriente. Insomma, il Medio oriente è lontano e… che si faccia i fatti suoi!

A una analisi sia pur superficiale, non può sfuggire che il capitalismo è guerra. Di fatto, la “rivoluzione bolscevica” è stata la sola a fermare il massacro del proletariato nella Prima guerra mondiale, cosa che non hanno fatto (e non lo potranno e vorranno fare) né i democratici liberali né i pacifisti e gli opportunisti dal frasario più rivoluzionario. Noi non ci aspettiamo certo di leggere queste verità elementari sulle pagine dell’Economist. Il nostro caro intellettuale ci illumina con una sintesi degli ultimi 40 anni di “sorti progressive della democrazia”. Ma è preoccupato da alcune contraddizioni esplose negli ultimi tempi, che renderebbero evidenti paralleli e similitudini con il periodo precedente alla Rivoluzione d’ottobre, che egli disprezza, con timore.

Il titolo dell’articolo era sicuramente ad effetto (bisogna pur vendere!). Ma l’articolista prosegue, cercando di spiegare (!!!) quanto sta succedendo nel mondo: “Trump promette di scacciare con i forconi l'intero ordine liberale: non solo per quanto riguarda il libero scambio e i valori liberali, ma anche in termini di alleanze globali contro i regimi canaglia. In Gran Bretagna Theresa May, il primo ministro, sta cercando di liberare il suo paese dai legami con l'Unione europea. La vittoria di Mr Trump sarà incoraggiante per altri autoritari occidentali, come Marine Le Pen, e rafforzerà gli autoritari anti-occidentali, in particolare Vladimir Putin. Putin incarna lo spirito del suo tempo molto più del presidente americano uscente, Barack Obama”. E che c’entra tutto questo con la Rivoluzione bolscevica?

Per noi che parliamo il linguaggio schietto del materialismo, la Rivoluzione bolscevica fu la presa del potere da parte di una classe, il proletariato (che si tirava dietro l’immensa massa del contadiname povero), contro un’altra classe, la borghesia. In gioco, vi erano il possesso dei mezzi di produzione, in una prospettiva internazionale e internazionalista, e non dispute filosofiche o tra scuole di pensiero, non lotte ideologiche all’interno delle forze che si spartiscono il profitto e le rendite e che nascondono questa spartizione dietro le parole Patria, Libertà, Cittadini, Popolo, Sviluppo, Pace... Fu una guerra di classe per giungere veramente alla pace e ad abolire profitti e rendite. Si consoli il nostro articolista: oggi non siamo ancora a un livello di scontro tra le classi paragonabile a quello che precedette la Rivoluzione russa; e noi, realisticamente, lo riconosciamo, seppure con dispiacere. Per giustificare le sue apprensioni, l’articolista cita le vittorie recenti della destra borghese e della piccola borghesia: Trump, la Brexit, i populismi europei, il nazionalismo, il protezionismo... Elenca i fallimenti del “pensiero liberale democratico”. Solo di passaggio, come un fatto secondario, cita alcuni esempi sull’appropriazione e accumulazione della ricchezza: in trent’anni, negli USA, l’1% della popolazione più ricca ha visto più che raddoppiati i propri profitti. Ci dice (bontà sua!) che ci sono “anche”, ovunque, problemi legati all’immigrazione e alle diseguaglianze economiche. Ma, secondo lui, i democratici potrebbero ovviare a tutto questo con una propaganda che sottolinei i vantaggi della globalizzazione, con parole d’ordine più energiche in difesa del liberismo democratico. Parole, appunto! Ideologia! Tutto qui? No, ci mancherebbe: “alti livelli di diseguaglianza stanno minacciando la stabilità”, ci sono “anche” problemi materiali, e allora in concreto si propone: attenzione alle masse impoverite! togliere le regole che controllano l’economia e i mercati! Si, certo! Liberiamo i profitti e riduciamo la miseria: cioè, diamo di più al capitale senza dare di meno al proletariato. Questa è la contraddizione da cui costoro non riescono a liberarsi: spinta naturale del capitale all’accumulazione e miseria crescente.

Ma, il bolscevismo dov’è? E’ da una simile accozzaglia di superficialità che deriverebbe la paura del comunismo oggi? E quindi questa paura della borghesia è ingiustificata? Oggi, la lotta di classe è ancora al di sotto del suo livello spontaneo, tradunionista. Assistiamo solo a tentativi sporadici ed episodici, scollegati, di lotta economica e di reazione da parte del proletariato. Nella ricerca disperata di risolvere la propria crisi, la borghesia conduce in maniera sistematica, in ogni nazione, una lotta di classe contro il proletariato, colpendo nel contempo anche la piccola borghesia impoverita. La quale ultima, di recente, ha cominciato a reagire, ricorrendo ai soliti strumenti, il populismo, il nazionalismo, il fondamentalismo religioso: d’altronde, la piccola borghesia ha più mezzi del proletariato, intellettuali e materiali, per illudersi e far finta di darsi una organizzazione – non importa se con le parole d’ordine (nazionalismo! autarchia!), che piacciono molto alle frazioni più ottuse e conservatrici della borghesia, insieme alla necessità della militarizzazione e della guerra per la stessa sopravvivenza del sistema.

Ma per esperienza storica, e nonostante tutte le mistificazioni intellettuali, la borghesia percepisce che il proletariato sarà costretto – a scatti, ad avanzate e ritirate – a organizzarsi e reagire contro l’attacco continuo cui è sottoposto, e che ciò prelude allo scatenarsi della rivoluzione. Tutto questo il proletariato non lo sa ancora. ma la borghesia se ne preoccupa già. Può apparire strano, viste l’inerzia e la paura che ancora paralizzano il proletariato e gli fanno sembrare impossibile il potersi ribellare: ma, se le apparenze ci svelassero la realtà, non avremmo bisogno della scienza. E non avremmo bisogno di quella particolare scienza della rivoluzione che si organizza nel partito comunista – quel partito comunista che ha continuato a riconoscere la pianta del bolscevismo, a coltivarla nel terreno della lotta proletaria, a raccoglierla e a disseminarla…

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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