DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

Nel nostro pluridecennale lavoro di restauro dell’organo rivoluzionario di classe, abbiamo messo in evidenza come gli organi direttivi non abbiano alcuna “libertà” nell’elaborare le norme tattiche. Questa funzione, come quelle teoriche e generali, deve al contrario essere patrimonio comune di tutta l’organizzazione: attraverso lavori specifici, le sezioni e i militanti sviluppano ed elaborano insieme le norme tattiche. Questo è possibile e necessario non solo per il carattere volontario di adesione al partito, ma anche perché centro del partito, sezioni e militanti si formano e selezionano nella elaborazione di un corpo dottrinario omogeneo: unico metodo per prevenire e annullare “difformità” teoriche e programmatiche. L’organo centrale non deve “mediare” tra altri organi o gruppi eterogenei, non si erge ad arbitro tra loro, al di sopra delle parti, avocando a sé poteri “pieni” o “speciali”. Questa fu la prassi organizzativa vigente al tempo dei primi congressi della Terza Internazionale a causa delle differenti espressioni dei vari partiti e gruppi che concorsero alla sua formazione, compresa quella caratteristica dell’organizzazione bolscevica scaturita dal secondo congresso socialdemocratico russo del 1903, quando si dovevano “tenere uniti” comitati, circoli, gruppi diversi in una situazione di regime feudale e poliziesco, nel corso di una “doppia rivoluzione”.

In una situazione di formazione teorica più omogenea, anche se certamente non “perfetta”, come quella della costituzione del nostro partito nel 1952, nel quadro di una perdurante, profonda e generale depressione controrivoluzionaria, maturò la consapevolezza di dare corso a un processo di formazione e sviluppo improntato alla critica rivoluzionaria sviluppata proprio nell’organo internazionale fin dalla metà degli anni ‘20 del ‘900.

L’organo centrale porta avanti il lavoro raccogliendo e sintetizzando il contributo di tutta l’organizzazione ed elabora direttive univoche vincolanti non solo per la base ma anche, e soprattutto, per lo stesso centro. Proprio per lo stretto rapporto centro-sezioni, le direttive non sono “ordini” nel senso banale del termine: calati dall’alto, burocratici, da caserma. Erano e sono direttive che, ovviamente, sezioni e militanti non mettono in pratica con uguale peso e apporto, ma secondo le proprie capacità, attitudini, circostanze operative. Non sono “giuste” o “vere” in assoluto, ma quelle che la collettività-partito ha potuto, saputo, dovuto esprimere in situazioni specifiche. Non devono “trovare tutti d’accordo” alla stessa maniera, ma essere quelle con cui il partito deve agire e battersi verso l’esterno.

L’organo centrale non può svolgere pienamente la propria funzione di direzione se non è espressione e supporto degli altri organi vitali e funzionanti.

L’efficienza del partito non si misura con le funzioni e compiti del solo centro, ma si misura sulla base del suo funzionamento complessivo.

La centralizzazione è funzionale e operativa (centralismo organico) in un partito con organi efficienti e vitali, e non certo in un partito con un centro che pretende poteri speciali. Ordinariamente, invece, come effetto del modo di essere delle organizzazioni borghesi o di quelle falsamente operaie, si tende spesso a credere che un organo centrale funzioni meglio se è “libero” da stretti vincoli di lavoro, da frequenti incontri collettivi, da chiarimenti e approfondimenti. Questa perniciosa influenza, alimentata da un’attività “di routine” o da una prassi “spontanea”, può spostare il buon funzionamento del partito verso quello tipico delle organizzazioni borghesi, con il progressivo distacco tra un centro che si arroga mansioni superiori e una base che, priva di vere responsabilità di lavoro, si abitua a essere governata, possibilmente con i rituali tipici di una “sana democrazia interna”. Le energie del partito che non trovano spazio in un vero lavoro politico collettivo si concentrano allora in ambiti locali, determinando una schizofrenia tra il lavoro del centro e quello delle sezioni, un vero e proprio brodo di coltura per “tendenze” e “correnti”.

A niente servirebbe sviluppare ed elaborare compiti politici giusti e corretti, se poi non risultassero assimilati, digeriti e concordati dall’insieme del partito. Anzi, sarebbero solo grossolane caricature, né giuste né corrette.

Nell’italica provincia, ne abbiamo un esempio incredibile non tanto nei residuali gruppi nazionalsocialisti (dai partiti, gruppi e tendenze “quartinternazionalisti” ai “ricostruttori” marxisti -leninisti del nefasto “Partito di Gramsci-Togliatti-Secchia-Ingrao-Longo-Berlinguer”) quanto in quella macchina per vendere giornali che si autodefinisce Lotta Comunista.

La volontarietà e la centralizzazione del lavoro collettivo di partito assumono aspetti di anticipazione della organizzazione sociale che emergerà al tramonto dello stato della dittatura del proletariato: quando cioè l’attività umana potrà essere volontaria e razionale per tutto il corpo sociale della nostra specie, sottratto infine alla secolare appropriazione da parte di alcuni gruppi umani (classi), contro e a danno di altri. Attività umana centralizzata, dunque, non più come espressione della lotta economica tra classi sociali, della concorrenza, delle esigenze del mercato e così via, ma come espressione di un razionale e organico disporsi delle varie capacità e attitudini degli esseri umani sul vasto, infinito campo delle reali, possibili attività. Queste finalmente non saranno più parcellizzate, autonome, locali: nessun individuo od organo avrà più motivo di isolarsi, né tantomeno di appropriarsi o di espropriare, come se fosse ancora titolare di qualcosa. La centralizzazione non avrà più alcuna connotazione politica, ma solo tecnica e amministrativa: non sarà rivolta contro altri gruppi umani o classi sociali, ma opererà solo per capire le leggi della natura, quelle che oggi sembrano ancora insidie.

Nel partito, oltre alla volontarietà e razionalità, la centralizzazione è e sarà sempre più espressione di un disporsi organico delle varie attitudini, capacità e perfino difetti dei compagni militanti. Deve comunque obbedire soprattutto al suo carattere di organizzazione di lotta e direzione della classe proletaria. Ha bisogno della disciplina, caratteristica di ogni storica lotta e di ogni scontro politico e militare. Stabilito un indirizzo unitario attraverso il lavoro politico collettivo, lo si deve tradurre in lotta e battaglia pratica contro il nemico di classe: impossibile senza la disciplina di ognuno verso le decisioni prese unitariamente, la sottomissione della parte al tutto, il superamento dialettico delle differenti opinioni nelle decisioni vincolanti per tutti.

Se e quando le differenze di opinioni insorgono, vanno affrontate con un rigoroso lavoro politico collettivo, perfino con una battaglia che assicuri una corretta politica rivoluzionaria e l’unità organizzativa necessaria. Ma se le differenze risultano insanabili, vuol dire che il nemico di classe sta aggredendo il partito: allora, rottura e riorganizzazione risultano doverose e necessarie. All’interno del partito, sarebbe inutile e impossibile “impedire” a sezioni e compagni di mettere in discussione le decisioni prese; critiche, osservazioni, rilievi, vanno anzi sempre sollecitate e avanzate apertamente, passate al vaglio nel lavoro di partito per migliorarle, renderle meglio operative: se rispondono a problemi veri, possono e devono contribuire a chiarire e definire meglio i compiti stabiliti o a migliorare le decisioni operative.

Il nostro metodo di lavoro, la soluzione delle questioni tattiche sulla base della conoscenza delle situazioni come funzione e compito di tutto il partito nel suo insieme di centro, sezioni, compagni, non è ovviamente di per sé una garanzia assoluta. Il lavoro scientifico di analisi dei fatti, di una migliore “interpretazione” del mondo, è certo una funzione caratteristica del partito supportato dal metodo storico e dialettico. Ma come abbiamo spesso sottolineato sulla base della esperienza raccolta nei nostri testi, il nostro metodo materialista considera l’esigenza di interpretare il mondo in funzione dell’agire secondo una prassi organizzativa precisa. La migliore valutazione dei fatti, l’inquadramento teorico e l’organizzazione, per le quali ci battiamo strenuamente, non sono fini a sé, ma funzionali e strumentali rispetto all’agire per cambiare il mondo.

Potrebbe ancora verificarsi in futuro quello che si verificò perfino per il partito bolscevico: che cioè, nei grandi svolti della storia, nonostante l’enorme lavoro di analisi e previsione e buona prassi organizzativa svolto in precedenza, nei confronti delle esigenze reali, effettive, della rivoluzione, il partito non riesca a orientarsi o perda la bussola. Significa allora che tutto il lavoro fatto in precedenza sarebbe stato inutile, inservibile? Che alla fine occorre sempre aspettare l’intervento decisivo delle masse operaie “che indichi la strada” o del “grande uomo” risolutore? Certamente no! Significa solo che quel lavoro non era stato portato avanti nel modo corretto.

Il “che fare?” sul piano politico può allora essere meglio espresso da un’iniziativa delle masse proletarie, che in quel momento riorienta, risveglia il partito, meglio delle sue “soluzioni politiche”! O potrà essere espresso, all’interno del partito, non dalla linea ufficiale, venuta fuori dallo stesso lavoro collettivo, ma dalle critiche di un qualsiasi militante o organo, al centro come alla base, che, in quel momento, riescono ad esprimere meglio le esigenze reali oggettive rivoluzionarie.

Ricordiamo il lavoro che Lenin potè svolgere e concludere con successo, perché espressione di un partito (coscienza e volontà) che aveva già indicato per lunghi anni e con grande rigore teorico politico e organizzativo il senso e la direzione per cui agire nella rivoluzione russa.

Due citazioni (fra le tante che si potrebbero fare) dal nostro testo Struttura economica e sociale della Russia d’oggi aiutano a meglio comprendere questi concetti basilari. “Il partito nella sua vita interna, una volta storicamente ricondotto alla dottrina d’origine, risanato nell’organizzazione con l’eliminazione degli strati corrotti, rinsaldato nell’azione con decisioni tattiche dal respiro mondiale e rivoluzionario, e per ciò stesso assicurata la sua dinamica centralista, è in un certo senso una anticipazione della società comunista in cui il dilemma tra decisione del centro e decisione della base perderà di senso e non si porrà più. Ma esso vive ed opera nella società di classe e subisce le determinazioni e le reazioni dei suoi urti contro il nemico di classe e dei confronti di questo. Più volte mostrammo che nei momenti decisivi l’indirizzo non è cercato da consultazioni e congressi e nemmeno dai voti di istanze ristrette e comitati centrali; l’esempio tante volte ripetuto è Lenin stesso” (p.664). E, poco oltre: “Il partito è un organo nel senso integrale che si applica a quelli viventi. E’ un complesso di cellule, ma non tutte sono identiche, né uguali, né della stessa funzione, né dello stesso peso. Non tutte le cellule né tutti i loro sistemi condizionano l’energetica o al più la vita di tutto l’organismo. Tale nell’insegnamento di Marx e Lenin, nel materialismo dialettico, è la valutazione delle società umane e dei complessi sociali, contrapposti alla sciocca filosofia borghese che proietta tutta la società nell’individuo e non ammette che nella società sono le potenze e capacità di sviluppo dell’individuo contese e negate, e che esse non risiedono in un individuo speciale e di eccezione, ma nella ricchezza delle relazioni fra uomini, gruppi di uomini, di classi di uomini”.

I due brani ribadiscono il carattere collettivo del lavoro di partito, la sua dinamica centralizzata, il suo essere e agire come un essere vivente in cui non tutti gli organi hanno la stessa funzione e che, dinanzi alle esigenze rivoluzionarie, non si lega le mani né si lascia rallentare con consultazioni e congressi e nemmeno con voti di istanze ristrette e comitati centrali.

Ancora a pag. 397, parafrasando un intervento di Lenin su come governa una classe e come si manifesta il suo dominio, il nostro testo su citato afferma: “Il possente squarcio storico e marxista mostra quanto sia coglione chi si ferma a vedere se il dominio fa bene a manifestarsi in un collegio, in un individuo, nella massa e simili […] la manifestazione essenziale è lo stritolamento delle forme sociali difese dalla classe rovesciata. Il resto è fregnaccia”. Anche qui si sostiene come, dinanzi alle esigenze rivoluzionarie, non ha senso scegliere a priori, in assoluto, quale sia la forma particolare con la quale si possa dirigere la classe (il “collegio”? l’“individuo”? la “massa”?) .

E, a pag. 349-50, in un paragrafo dal titolo ancor più significativo (“E’ marxista l’autorità individuale”) si legge: “La contraddizione di principio non sta tra mollezza democratica e dittatura individuale, ma tra la dittatura condotta dalla borghesia contro il proletariato e dittatura del proletariato per schiacciare la borghesia. Purché passi la seconda e non la prima ben venga la direzione suprema individuale, nelle adatte circostanze; esempio illustre: Lenin stesso in aprile ed ottobre, contro tutti i ‘collegi’ infessiti”.

Il significato di questi brani è tutt’altro che un’esaltazione della spontaneità delle masse proletarie o del grande uomo che “fa la storia”. Men che meno una sottovalutazione della naturale funzione del partito, della sua direzione politica e organizzativa. Il dato fondamentale è che il partito deve sempre agire come un organo collettivo unitario centralizzato disciplinato. Questo organo, soprattutto nei grandi svolti della storia, di fronte alle esigenze rivoluzionarie e alle grandi decisioni politiche da prendere, non può subordinarsi a formalismi rispetto a chi deve decidere quando si deve. Nei fatti, è l’organo centrale che, raccogliendo e sintetizzando gli stimoli che vengono dalla base, esprime le necessità reali e oggettive nel modo rivoluzionario. Ma alcuni movimenti e spinte delle masse proletarie potrebbero orientarlo diversamente. Le masse proletarie potrebbero anticipare, forse più ancora del partito, in certi momenti e situazioni, “l’autorità” delle esigenze rivoluzionarie, come dimostrò la formazione dei soviet in Russia nel febbraio 1917. Allora, il partito bolscevico dovette frenare il movimento per evitare che l’eccesso di velocità lo portasse fuori strada. In questo caso, Lenin in persona dovette esercitare la sua autorevolezza: una autorevolezza funzionale e subordinata alle esigenze rivoluzionarie, evidente solo perché traduceva in pratica indirizzi fissati e stabiliti prima, che nel fuoco della situazione rivoluzionaria sembravano offuscati.

Senza quel pregresso lavoro teorico collettivo unitario centralizzato, nessun “superuomo” e nessun movimento proletario avrebbe potuto risvegliare e orientare lo stesso partito verso l’Ottobre Rosso.

E’ sempre il partito che collettivamente ha il compito di riuscire a bene orientare il convoglio del movimento proletario sulla rotta tracciata e conosciuta, per svolgere appieno, dinanzi ai grandi avvenimenti rivoluzionari, la propria direzione politica.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

 

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