DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 "Non sono marxista!" (Karl Marx)

Da materialisti, noi sappiamo che la lingua è una sovrastruttura, in rapporto dialettico con il modo di produzione che la determina e la esprime. Sappiamo anche che, in una società di classe, l'ideologia dominante è l'ideologia della classe dominante, che la lingua vi è immersa, dando voce ai suoi caratteri fondamentali, alle divisioni e ai rapporti di potere, e così contribuendo a sua volta a influenzare l'insieme della società. In questo nostro oggi (di un capitalismo giunto alla sua fase suprema, imperialista), l'individualismo che è sempre stato uno degli aspetti dell'ideologia borghese, direttamente collegato al modo di produrre e consumare, pervade sempre più la lingua e, attraverso essa, l'intero universo dei rapporti sociali.

 

Così, usiamo correntemente il termine “marxista” pur sapendo che esso è in realtà improprio (come dichiara con fermezza la famosa esclamazione di Marx citata in apertura) e che meglio sarebbe usare l'espressione “materialismo dialettico” o “comunismo”. Tant'è: l'uso, la convenzione e la praticità hanno il sopravvento, e non c'è nulla di male, a condizione che... A condizione che ben si comprenda il senso di quell'esclamazione: che sta tutto nel rifiuto (di Marx e dei comunisti conseguenti) di considerare il grande lavoro svolto da lui stesso (oltre che da Engels e dai tanti più o meno anonimi militanti che, allora e in seguito, hanno lavorato per la rivoluzione comunista) come frutto del pensiero geniale di una testa singola, come “interpretazione del mondo” ad opera di un ennesimo filosofo. “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo” (XI Tesi su Feuerbach) non è il solito slogan: significa che, con il comparire sulla scena storica della scienza materialista, non siamo più in presenza di “sistemi filosofici” che possono a ragione prendere il nome di questo o quel pensatore o fondatore di scuole di pensiero (platonismo, aristotelismo, tomismo, kantismo, hegelismo, ecc.) proprio in quanto “personali interpretazioni del mondo”; siamo in presenza, per l'appunto, di una scienza alla cui scoperta ed elaborazione concorrono fattori storico-sociali ben più ampi e complessi che non la zucca (certo di notevoli proporzioni) di chi materialmente la coglie, la sviscera, la espone e la diffonde.

 

Noi non neghiamo, in dati momenti storici, l'apporto eccezionale di individui: Marx, Engels, Lenin, Bordiga... Ma rifiutiamo di caratterizzare questo loro apporto come apporto personale, quasi che il materialismo fosse una costruzione di Lego cui ciascuno può aggiungere il proprio individuale, “originale” mattoncino. Per questo, rifiutiamo (proprio per le sue pessime implicazioni revisioniste) l'espressione “marxismo-leninismo”: Lenin stesso avrebbe potuto esclamare, come Marx, “Non sono marxista-leninista!”, perché quell'espressione puzza di individualismo borghese fin nel midollo, si mette sotto i piedi il cuore stesso della concezione materialista della storia, ribalta e misconosce la funzione della personalità nella storia, attribuisce all'individuo x il ruolo di elaboratore di concezioni che “integrano” quanto “pensato” originariamente dall'individuo y – per l'appunto, altri mattoncini per una costruzione in fieri, cui gli individui possono dare il loro eclettico apporto. Non a caso, “marxismo-leninismo” (non parliamo poi del “marxismo-leninismo-Maotsetungpensiero”!) sarà espressione politico-linguistica della controrivoluzione avanzante e poi vincente, fenomeno radicato materialisticamente nella storia delle lotte di classe e non frutto dell'agire di individui: quella controrivoluzione che travolgerà il movimento comunista internazionale a partire dalla metà degli anni '20 del '900, e che, proprio per i condizionamenti linguistici di cui sopra, siamo “costretti” a chiamare “stalinismo” per brevità e in assenza di un'altra sintetica definizione (per designarla, i nostri compagni negli anni '30 e '40 usavano l'espressione “centrismo”: ma oggi quell'espressione sarebbe incomprensibile).

A maggior ragione, noi rifiutiamo l'etichetta che ci viene data di “bordighisti”, e per una serie di valide ragioni. Ben lungi dal misconoscere l'enorme apporto dato da Amadeo Bordiga per tutta la sua vita, noi sappiamo (e rivendichiamo contro tutti i “biografi” borghesi) che si trattò di lavoro di partito, e non di elucubrazione da “pensatore isolato”: fu la trasmissione, fondata su una base teorica granitica, di tutta un'esperienza storica, da militante a militanti – e da militante che ha sempre affermato l'impersonalità della dottrina e della prassi, obbedendo a essa anche quando le lusinghe potevano spingere in altra direzione – militante anonimo, formatosi a una dottrina impersonale, per una causa che va ben al di là degli individui e delle generazioni. Bordiga e il lavoro collettivo per il partito rivoluzionario sono inscindibili. Inoltre, quell'enorme lavoro di restaurazione teorica fu reso possibile non solo dal fatto d'essere lavoro collettivo di partito, che aveva in Bordiga, se vogliamo, la punta di diamante, ma anche dalla difesa della continuità politico-organizzativa operata dai compagni attivi all’estero e clandestini in Italia nel corso degli anni '30, che permise nel decennio successivo quel coagulo di forze (non tutte omogenee sul piano teorico) da cui, per selezione, emerse il nostro Partito nel 1952. Di nuovo, dunque, un'esperienza collettiva, anonima, impersonale: quella del lavoro comune, di militanti uniti nella finalità storica, orientato alla rinascita del partito rivoluzionario.

Non basta, però. Noi non siamo “bordighisti”, perché il lavoro svolto da Bordiga (restaurare e riproporre integralmente la teoria “marxista”, dopo le mostruose devastazioni operate dalla controrivoluzione, e operare per la riaffermazione del partito rivoluzionario) non può in alcun modo essere considerato un'aggiunta, un “apporto nuovo”, una “nuova interpretazione”, una “variante particolare” del marxismo (o, come dicono gli intellettuali ben pagati e malati di Io, dei “marxismi”: appunto!). Bordiga è stato uno strumento efficacissimo, “la splendida 'macchina' – scrivevamo su queste pagine nell'articolo in sua memoria – attraverso la quale passava […] la corrente ad altissimo potenziale del marxismo”. E così continuavamo: “e diciamo marxismo come l'abbiamo sempre inteso noi della Sinistra, non come astratta teoria sulle cui gemme chinarsi in quotidiana venerazione pretesca, ma come arma lucida e tagliente di cui non si deve mai perdere l'impugnatura, cioè la direzione verso l'obiettivo, e per salvare la quale, affinché non si smarrisca nei vortici della sconfitta, bisogna saper sacrificare tutto, prima di ogni cosa l'ignobile se stesso, così come per usarla bene quando la battaglia divampa, è necessario distruggere le debolezze, le miserie, le vanità, gli stupidi orgogli, il meschino 'libro dei conti' dell'individuo, per salvarne le potenzialità sane o addirittura preziose nell'interesse della 'classe-partito'” (“In morte di Amadeo Bordiga. Una milizia esemplare al servizio della rivoluzione”, Il programma comunista, n.14/1970).

Bordiga non ha aggiunto o modificato una virgola alla dottrina monolitica, sorta a metà dell'800 quando le condizioni per essa erano mature perché il modo di produzione borghese aveva dato e detto tutto di sé, verificata sperimentalmente (teoria e prassi) nel secolo e mezzo successivo attraverso poche vittorie scintillanti e molte sconfitte sanguinose: nel pieno della controrivoluzione, egli ha saputo restare al suo posto e raccogliere intorno a sé nuove generazioni di militanti, il partito.

 

Lasciamo dunque ad altri la piccina idolatria per l'“individuo” e non ci curiamo nemmeno della boriosa ironia (o, di volta in volta, dell'arrogante ignoranza, dell'astioso disprezzo, della vomitevole calunnia) nei confronti di “Amadeo Bordiga” e dei “bordighisti”. Consapevoli di di appartenere a una generazione di militanti che ha affrontato e affronterà problemi e doveri diversi, noi continuiamo il medesimo lavoro in condizioni differenti: fra errori, insufficienze e incertezze, ma sempre anonimamente, impersonalmente e collettivamente. Militanti comunisti, e basta.

 

 

 


 

Partito Comunista Internazionale 

 

 

(il programma comunista n°06 - 2013)

 

 

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