DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx a Lenin alla fondazione dell’Internazionale comunista e del Partito Comunista d’Italia; alla lotta della sinistra comunista contro la degenerazione dell’Internazionale; contro la teoria del socialismo in un Paese solo e la controrivoluzione stalinista; al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali; la dura opera del restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.

 

Di là dalla rappresentazione positiva e celebrativa dell’assemblea (aperta a tutti) che soprattutto il “ceto politico” (sigle varie, centri sociali, cani sciolti, curiosi) esaltava, ci interessa mettere in evidenza i bisogni espressi dagli interventi dei lavoratori, sottolineando i passaggi essenziali. Una delle esigenze che è stata avanzata dai lavoratori è la responsabilità individuale e collettiva di ciascuno, richiesta dalla lotta, e la capacità organizzativa del sindacato stesso. E ancora la necessità della preparazione, l’unità e la serietà. Occorre studiare quel che è accaduto per andare avanti, diceva uno degli immigrati: “noi non abbiamo paura”, ma dobbiamo informarci di più e dobbiamo affrontare “in particolare” la sostituzione degli operai operata di forza ad Anzola e quindi i 16 licenziamenti subiti, in aggiunta ai 41 della Granarolo.

E’ stata evidenziata dalla maggior parte degli interventi la pericolosità della situazione e del percorso di lotta. La sfida delle cooperative, rosse e gialle, lo stretto legame tra sindacati nazionali e Partito democratico, l’alleanza reazionaria mossasi in difesa della Grande Cooperazione, veri e propri monopoli, hanno mostrato la necessità di una forte e centralizzata organizzazione sindacale. La lotta dura e senza preavviso dei lavoratori alla Granarolo ha messo in allarme la sperimentata struttura padronale emiliana e la nota di minaccia contro lo sciopero nel settore della produzione e della distribuzione dei latticini ne è un segno molto tangibile. Per rispondere all’attacco erano necessari, urgentemente, si diceva, l’allargamento delle lotte e l’adesione più ampia a esse, la solidarietà attiva delle forze disponibili (che non si muovano, rileviamo noi, sul terreno dello scontro in modo autonomo, ma sotto un’unica direzione) – obiettivi che dovranno essere preceduti da un Appello a tutti i lavoratori in lotta. Il rischio d’isolamento è reale e lo sciopero non può che essere nazionale. L’attacco ad Anzola e la regressione della lotta (licenziamenti e rientro di molti), dopo la dura lotta e gli scontri con le forze dell’Ordine nei mesi passati, hanno mostrato la grande forza della Coop Adriatica.

L’esperienza di vecchia data e quella più diretta ci mostrano che quel ceto politico interno al S.i. Cobas per tradizione e formazione politica – non è un caso il rapporto stretto tra il S.i. Cobas e gli autonomi (il Crash) di Bologna e (il Vittoria) di Milano – non può garantire un'effettiva tenuta della lotta economica. Non possono essere i lavoratori a sostenere insieme il peso e la direzione della lotta, ma non possono sostenerla e dirigerla coloro che surclassano o declassano nello stesso tempo la lotta sindacale o chi pensa che il conflitto sindacale sia una premessa… della “ rivoluzione”. Che il carattere del S.i. Cobas si manifesti con una visione politicista è noto, anche se nel corso dell’assemblea un intervento ha voluto precisare il suo carattere di “conflittuale”. La definizione di sindacato di classe non appare per nulla adeguato al ruolo attuale svolto da quest’organizzazione sindacale.

Il carattere economico della lotta, se è tale, non può permettersi di lasciarsi per strada una parte dei lavoratori licenziati nel corso delle lotte, senza il sostegno che proviene da una necessaria e urgente Cassa di resistenza e di sciopero nel caso di licenziamenti, come storicamente si è manifestata. Più che un obiettivo, essa è una priorità organizzativa (non si può posporre a dopo la lotta, non si può coprire in modo estemporaneo: deve essere una struttura stabile e continua). La pericolosità della situazione si lega all’assenza di riserve dei lavoratori, alla paura di perdere il visto di soggiorno, alla necessità di sostegno economico della famiglia e dei figli, oltre al problema dell’identificazione ed espulsione, cui sono soggetti i lavoratori immigrati. Non debbono essere i rapporti di solidarietà interfamiliari a costituire la base del sostegno della lotta: debbono essere al contrario i rapporti di lotta solidali a creare il terreno del sostegno dei lavoratori (e delle loro famiglie). Pertanto, senza un’effettiva direzione, senza un coordinamento dei delegati (che non possono essere aggregati all’interno del ceto politico variopinto e generico, ma tra i lavoratori, capaci di muoversi tanto all’interno della lotta quanto nel rapporto faccia a faccia con i padroni e nei contrasti diretti con le forze dell’ordine), la confusione si allarga, l’unità si sfilaccia, la sfiducia si diffonde. I lavoratori immigrati saranno dei leoni, aggiungiamo noi, ma la loro esperienza è troppo recente, non è per nulla unita da una visione collettiva di lotta e quella del S.i. Cobas, è per tradizione legata a settori specifici e limitati, oltre che corporativi: i settori del pubblico impiego. Se per un verso manca la nauseante esposizione dei delegati esperti sindacali (Rsu) di vecchia tradizione stalinista-corporativa, dall’altra l’esperienza settoriale è cresciuta in pochi anni; anzi, la specificità della lotta, la più o meno nebulosa consapevolezza della lotta economica tra gli immigrati, portano all’esaltazione della spontaneità, soprattutto alimentata dal ceto politico riformista di tipo anarchico, autonomo, studentesco, di reti e sigle varie. L’esperienza della lotta è recente e ovviamente per lo più nasce dall’aggregazione spontanea nel corso della lotta. Oltre tutto, essa si muove all’interno di una realtà generale d’isolamento, circondata dal silenzio dell’immensa maggioranza della classe operaia. La constatazione che nessun altro comparto o settore di lotta sia intervenuto all’assemblea lo dimostra.

Nel corso dell’assemblea, si metteva in evidenza l’importanza della lotta vittoriosa come mezzo e collante dell’organizzazione. Si sottolineava il carattere della ritirata, non debilitante ma momento di pausa tra un rinculo necessario per ritemprare le forze e la ripresa successiva. Si faceva notare l’importanza della lotta per il contratto unitario: quindi, la fine dei contratti magazzino per magazzino e la necessità dell’intervento in tutte le situazioni con caratteri simili. In quanto al metodo, soprattutto la lotta senza preavviso, gli scioperi improvvisi con blocco delle movimentazioni di merci, erano riconosciuti come i mezzi più incisivi (“non si telefona al padrone”). La difesa dei delegati interni è un compito fondamentale, così come il ritorno al lavoro dei 40 licenziati della Granatolo e dei 16 di Anzola. Si sottolineava poi un altro aspetto: la questione relativa all’obiettivo della conquista del tavolo negoziale. Giustamente si osservava che il fine non è quello di arrivare all’approccio fra le parti, ma quello di giungervi dopo aver fatto sentire la decisione della forza che proviene dalla lotta, la determinazione di rimanere in campo per far “male all’avversario”. Nessun approccio interlocutorio che discuta delle difficoltà dell’azienda, dei suoi bilanci in perdita, dunque, così come il costo della lotta (e i suoi sacrifici) non è cosa che riguardi la controparte, ma solo l’organizzazione di lotta. La lotta ha come fine il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, delle condizioni sociali e lavorative, l’ampliamento il più largo possibile a tutti i lavoratori, qualunque sia la divisione del lavoro in fabbrica. Venivano ancora sottolineati, nel corso dell’assemblea, la funzione dell’opportunismo traditore e il crumiraggio organizzato dai sindacati di regime e dalle solerti sinistre sindacali, che hanno nella Fiom il loro referente ufficiale. Questi sindacati costituiscono una vera controparte che spinge al crumiraggio i lavoratori, funzione coperta e completata dall’ultima riorganizzazione della rappresentanza interna alle fabbriche, dettata dall’alleanza Confindustria-Stato-Sindacati per offrire le migliori condizioni di pace sociale in tempo di crisi.

L'Assemblea si è poi chiusa con l'invito a un lavoro metodico di organizzazione come richiesto dai lavoratori e con i prossimi appuntamenti alla Granarolo.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2013)
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