Mentre il presidente USA (quello buono) si ricollega idealmente al suo predecessore (quello cattivo), dichiarando al convegno annuale dei Veterani delle Guerre all’Estero tenutosi a Phoenix (Arizona) che la guerra in Afghanistan non è solo “una guerra che vale la pena di combattere”, ma che è “fondamentale per la difesa della nostra gente”, una notizia interessante appare sul Washington Post del 16 agosto (che non è – ricordiamolo – uno di quei giornaletti di estrema sinistra...). Leggiamo: “Per gli appalti a sostegno di tutte le attività civili relative alle guerre in Iraq e Afghanistan [il cosiddetto outsourcing – NdR], gli Stati Uniti si sono rivolti alla manodopera più a buon mercato possibile: circa due terzi dei 200mila civili che lavorano con contratti statali nelle zone di guerra sono stranieri – molti provengono da paesi poveri del Terzo Mondo, altri sono assunti sul posto”. Trattasi di filippini, turchi, nepalesi, irakeni, afgani... camerieri, cuochi, lavapiatti, interpreti, autisti, camionisti, muratori, sterratori, meccanici, addetti alle pulizie, ecc., con paghe molto basse e condizioni di lavoro pessime. E la possibilità molto concreta di rimetterci la pelle – non in azioni di guerra, ma nelle retrovie, nelle città e nelle campagne, negli uffici e nei cantieri, nelle mense e negli ospedali, insomma in tutte quelle attività civili che ruotano intorno a una guerra. Il Washington Post riporta che i morti in Irak, fra questi lavoratori a contratto, sono già milleseicento e i feriti 35mila. E ricorda che tutta la questione è ancor oggi regolata (si fa per dire!) da una legge risalente alla II guerra mondiale, relativa ai rapporti fra amministrazione statale e lavoratori assunti e spediti in scenari di guerra (per lo più, disoccupati e disperati della Grande Depressione: uno dei modi con cui l’intervento in guerra degli Stati Uniti “riassorbì” l’enorme tasso di uomini e donne senza lavoro che s’aggiravano per il paese... ).

Le guerre attuali sono combattute in larga maggioranza da truppe speciali (veri e propri mercenari, per i quali non una lacrimuccia va versata). Ma la borghesia internazionale sa bene che la guerra (quella che, al momento opportuno, quando le condizioni oggettive della crisi mondiale lo richiederanno, vedrà scontrarsi gli imperialismi antagonisti, al grido di “mors tua, vita mea”), quella guerra andrà combattuta da eserciti “regolari” e “di massa”, fondati sulla coscrizione obbligatoria (se no, come si fa a “riassorbire la disoccupazione”?!) e soprattutto andrà sostenuta in grande stile dalla mobilitazione militare della popolazione civile – e si prepara già oggi alla bisogna, utilizzando per il momento i “dannati della terra” (proprio come, in epoca di coscrizione obbligatoria, gli Stati Uniti impegnati in Vietnam mandavano a massacrare e farsi massacrare una fanteria composta soprattutto da neri, ispanici, portoricani... ).

Quando noi comunisti lo ricordiamo a voce alta ai proletari, non lo facciamo per demagogica voglia di gridare “al lupo! al lupo!”, o perché truci fantasmi agitano le nostre notti insonni: lo facciamo perché è stata la borghesia stessa a dirlo e a farlo, in due guerre mondiali e in centinaia di guerre locali. Proletari di tutto il mondo, siete avvertiti!

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2009)

 

 

 

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