Non passa giorno senza che la stampa internazionale pubblichi commenti e interviste sulla situazione instabile dei mercati finanziari e sulle conseguenze a più lunga scadenza delle “turbolenze” verificatesi durante l’estate. All’argomento abbiamo dedicato un lungo articolo sul numero scorso di questo giornale (“Il crollo dei mercati finanziari è la palese conferma del grado estremo e irreversibile cui è giunta la crisi del sistema capitalistico”). Vogliamo aggiungere ora alcune brevi considerazioni, in attesa di tornarci sopra con altri studi più estesi.

 

 

1) Innanzitutto, si può ancora sottolineare come la crisi finanziaria covasse da diverso tempo dietro l'euforia borsistica di questi anni, un’euforia come sempre generata dalla speculazione generalizzata, a sua volta sorretta da un ampliamento inarrestabile del credito a tutti i livelli. In particolare, a partire da febbraio di quest’anno, la crisi si è andata manifestando a più riprese a livello planetario, con cadute repentine più o meno violente degli indici di tutte le principali borse mondiali. A fronte di ciò gli illusi propugnatori della regolamentazione dei mercati e del movimento del capitale, lanciavano moniti sui rischi alla stabilità del sistema, mentre dall'altro lato, non più tardi dell'aprile 2007, le maggiori potenze imperialiste rinunciavano espressamente ad un regolamentazione forte degli hedge fund, in favore di un ridicolo, insignificante "codice di condotta": in fondo, si sosteneva (e si sostiene) che i fondi speculativi ad alto rischio... fanno bene al mercato.

Così, mentre ora vistose falle si stanno aprendo, il pericolo che la crisi non si arresti, minacci la "drogata"crescita economica in atto e soprattutto si trasformi in una profonda crisi del credito (credit crunch), tormenta i sonni dell'eminenza grigia dell'economia volgare borghese, a tal punto da evocare gli spettri del passato: la madre, fino ad ora, di tutte le crisi, il 1929. Come al solito, alle anime belle, non resta che puntare il dito contro gli "ingordi pescecani", contro la "speculazione selvaggia", contro i "mancati controlli", contro le "responsabilità delle agenzie di rating",  e bla-bla-bla. Dimenticano o, meglio, non possono capire, in quanto agenti e servi del sistema e delle sue insanabili contraddizioni, che tutto ciò non è che il Capitalismo, e che il capitalismo non può essere riformato, abbellito, regolamentato e tanto meno sottoposto a "codici di condotta" morale (quali leggi, poi, e quale morale, se non quelle del capitale?) - capitalismo, per di più, all'ultimo stadio, putrescente, parassitario, distruttivo all'ennesima potenza. Per dirla con le parole di Lenin: "L’evoluzione del capitalismo è giunta a tal punto che, sebbene la produzione di merci continui come prima a 'dominare' e ad essere considerata come base di tutta l’economia, essa in realtà è già minata e i maggiori profitti spettano ai 'geni' delle manovre finanziarie" (1). Da allora, da quel lontano 1917, che è invece così vicino, se la produzione è aumentata di 30 volte, la potenza finanziaria e la sua voracità hanno raggiunto cifre e rapporti incalcolabili.

 

 

2) Quando la speculazione e sovraspeculazione, effetto e causa a uno stadio più elevato della sovrapproduzione, sono giunte ad  un certo grado di ebollizione, qualsiasi accidente di percorso (la rottura dell'anello più debole) può innescare la crisi. Nel caso specifico, a innescare la crisi è stato il collasso del settore dei mutui subprime - in cifre appena il 2% della ricchezza totale negli USA, ma punta di un iceberg gigantesco e dai confini indefiniti che abbraccia tutto  il mondo - che minaccia di incrinare fortemente l'intero sistema finanziario e creditizio e di deprimere la crescita economica mondiale, di per sé già in rallentamento.

Come scrivevamo nell'articolo del numero scorso, "l'economia capitalistica non si può spingere oltre il limite costituito dal carattere privato dell'appropriazione, che entra in contraddizione con il carattere sociale della produzione che lo stesso credito contribuisce a sviluppare. A un certo punto dello sviluppo, si determina una sovrapproduzione di capitali che non trovano più occasioni di valorizzazione e una sovrapproduzione di merci in rapporto alla capacità di assorbimento del mercato. In tale condizione, l'eccesso di capitale da prestito non può che riversarsi in gran parte nella speculazione e sovraspeculazione, alla ricerca spasmodica  di elevati profitti in forma di rendita finanziaria o immobiliare".

Specificando meglio con le parole di Marx ed Engels, “la sovraspeculazione sopravviene regolarmente nei periodi in cui la sovrapproduzione è in piena marcia. Essa fornisce alla sovrapproduzione i suoi canali di sfogo temporanei, mentre proprio con ciò essa affretta l'irrompere della crisi e ne accresce la veemenza. La crisi prorompe anzitutto sul terreno della speculazione e solo successivamente si impadronisce della produzione. Non è la sovrapproduzione, ma la sovraspeculazione, la quale non è che un sintomo della sovrapproduzione, quella che appare perciò nella considerazione superficiale della crisi. Il successivo dissesto della produzione appare non già come un necessario risultato della sua propria esuberanza, ma come un semplice contraccolpo della speculazione che crolla" (2).

Se la crisi del ’29 aveva imposto, per autoconservazione del sistema, misure di contenimento alla libertà di movimento del capitale, finita la poderosa espansione del secondo dopoguerra, la crisi sistemica irreversibile del capitalismo apertasi nel 1975 ha imposto un cambiamento di rotta. La cosiddetta deregulation, partendo negli anni ’80 proprio dall’imperialismo egemone e più avanzato e in fase di declino, gli USA, e dal capitalismo più senile, gli UK, non poteva che prendere le mosse da un ridimensionamento e anche azzeramento di quei lacci alla libertà di movimento del capitale finanziario, dando la stura alla cosiddetta “ finanza creativa”, unica possibilità per il capitale di realizzare elevati tassi di profitto a breve termine, a fronte di un’asfittica redditività offerta dall’economia reale in progressivo rallentamento.

Rotte quelle temporanee catene, che avevano tenuto per diversi decenni per effetto delle conseguenze delle Grande Crisi, della seconda guerra imperialistica, dei cosiddetti "30 anni d'oro", e finita miseramente con essi l'illusione di una nuova era del capitalismo senza crisi e di benessere crescente e illimitato, dagli anni '80 hanno incominciato a susseguirsi terremoti finanziari di varia intensità ed estensione. Dalla "crisi del debito" sudamericano alla crisi del 1987, dalla crisi giapponese del 1990, a quelle del Sud Est asiatico, dell'America latina e della Russia nel 1997-1998, fino all'esplosione dei titoli tecnologici del 2000, per citare i più importanti. Tali crisi, tutte apparentemente generate dall'esplosione di bolle speculative di varia natura, hanno preannunciato o accompagnato le crisi di sovrapproduzione locali o generali che ne erano alla base.

 

 

3) Ma non solo la sovrapproduzione di merci e capitali in questi anni, ben lungi dall'essere riassorbita delle crisi, si è innalzata ad un grado più elevato. L'interdipendenza economica mondiale e la velocità si spostamento dei capitali  alla ricerca di elevati profitti nel più breve tempo possibile si sono accentuate. La piramide rovesciata del credito, il cui vertice poggia sulla base materiale, si è ulteriormente ampliata e intricata in un complesso sistema di strutturazione e di interconnessioni che si disperdono in ogni luogo del globo. Il sistema finanziario mondiale ne risulta molto più instabile e fragile al punto che un starnuto ad Hong Kong si sente a New York.

Il tale contesto anche la perdita di qualche decina di miliardi di dollari, quale può essere quella generata dall'insolvenza nel settore dei mutui di seconda categoria (subprime), si può moltiplicare a dismisura e diventare potenziale causa di  un effetto a catena coinvolgente i vari settori finanziari e infine l'intero sistema creditizio mondiale. 

Come ricordavamo nel nostro articolo del numero scorso, l'epicentro sono stati gli USA, con ad esempio il default della American Home Mortgage, il crollo borsistico di Countrywide Financial (numero uno dei crediti immobiliari negli Usa),  la crisi degli hedge funds della banca Bear Stearns, il fallimento di circa novanta (dato di agosto) società attive nel settore dei  mutui, i conseguenti licenziamenti che, dall'inizio dell'anno a settembre, si aggirano intono ai 30.000 addetti in tale comparto e ai 100.000 per l'intero sistema finanziario. Da tale epicentro, la crisi si è propagata all'intero sistema mondiale coinvolgendo ad esempio le banche di Francia, Germania, Inghilterra, ecc. e della Cina stessa. Tra i vari default bancari, e relativi salvataggi anche in extremis, ultimo, al momento, è stato quello quella dell'inglese Northern Rock che, sulle pagine dei giornali di tutto il mondo, ha evocato, come ricordavamo nel nostro articolo a proposito della American Home Mortgage, scene di panico viste nel 1929, con la fila dei piccoli clienti  davanti alla sede della banca in attesa e con la speranza di ritirare i loro piccoli risparmi in pericolo di dissoluzione.

Lo stesso punto di forza della crescita economica mondiale di questi ultimi anni, l'Oriente Asiatico, e in particolare l'economia cinese, ben integrata e dipendente dal mercato globale,  è drogata dalla febbre creditizia a tal punto che la Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea (BRI, ossia la “banca centrale” delle Banche Centrali) lancia l’allarme e ravvisa analogie con la Grande Depressione degli anni ’30 o con la crisi di Giappone e sud-est asiatico dei primi anni ’90. Ricorda che “quei crolli sono stati preceduti da un periodo di rapida crescita senza inflazione, che hanno fatto annunciare a molti analisti l’avvento di una nuova era”. Adesso, come allora, ci sono indizi pericolosi, quali una massiccia emissione di nuovi strumenti di credito, la continua crescita del debito interno, la notevole propensione degli investitori a operazioni rischiose, i consolidati squilibri mondiali tra le valute. Questi squilibri dei mercati hanno un costo che colpisce l’economia mondiale e che potrebbe infine rivelarsi molto maggiore del previsto. L’economia cinese – prosegue la BRI – sta ripetendo molti errori commessi dal Giappone negli anni ’80, errori che lo hanno portato a un eccesso di liquidità, quali “massicci investimenti” nell’industria pesante, uno sviluppo incontrollato delle attività e un aumento continuo dell’indebitamento delle aziende.  Una possibile crisi cinese avrebbe conseguenze in tutto il mondo, anche considerato che – osserva la BRI - la finanza “innovativa” (derivati finanziari, fondi speculativi ad alto rendimento, cartolarizzazioni e molte altre simili alchimie), la liberalizzazione dei mercati e la globalizzazione hanno prodotto una bolla monetaria senza precedenti nella storia: il volume globale della “quasi moneta” è pari a circa 50 volte il volume del Pil mondiale. Gli effetti sarebbero simili a quanto è già avvenuto nella storia: un impoverimento per molti e la concentrazione di ricchezze e potere in mano a pochi (cfr. asianews.it, 4/7/2007).

 

 

4) Tralasciando le varie analogie conla Grande crisi, che lasciamo agli scribacchini borghesi alla ricerca di esorcizzarne lo spettro, e che  per noi non rappresentano la possibilità di una meccanica ripetizione del passato, gli effetti della crisi finanziaria esplosa nel corso dell'estate non si limitano né si limiteranno agli effetti immediati e più vistosi, di cui sopra abbiamo riportato alcuni esempi. Ormai, i vari organismi ed esponenti più o meno autorevoli della borghesia mondiale non possono fare a meno di constatare che le ripercussioni sul sistema finanziario continueranno a svilupparsi e avranno conseguenze negative anche sull'economia reale, anche se d'altro lato cercano di assicurare che le basi della crescita globale sono solide e si tratterà soltanto di una lieve rallentamento e non di recessione. In realtà, non si rendono conto che, quando parlano di condizioni di buona salute dell'economia capitalistica, si riferiscono alla salute di un cadavere che ancora cammina grazie alla massiccia droga del credito, dello spreco e della distruzione esponenziale.

Quale sia l'intensità degli effetti negativi attuali e futuri delle turbolenze finanziarie in atto, sia sul sistema creditizio che su quello economico, non abbiamo modo di sapere, ma in ogni modo vanno e andranno ad aggiungersi al deterioramento di quella "buona salute" tanto decantata - un deterioramento già avviatosi con il rallentamento dell'economia americana e di quella europea nel secondo trimestre dell'anno in corso.

Tutto ciò non ci ha colti di sorpresa. O meglio: la turbolenza dei mercati finanziari, andando ad aggiungersi, coi suoi effetti negativi sull'economia (in particolare, di quella occidentale), al rallentamento della crescita economica americana ed europea, non fa che avvalorare maggiormente le nostre conclusioni, espresse circa un anno fa nel  Rapporto Annuale sul "Corso del capitalismo" (di prossima pubblicazione su queste pagine) - conclusioni che consideravano assai probabile, sulla base delle coordinate dello sviluppo capitalistico mondiale di questi ultimi anni e permanendo certe condizioni, il ripresentarsi della crisi generale nel corso del 2008.

Quanto al grado di violenza della crisi e la sua accelerazione, essi dipenderanno in somma misura dall'entità dell'arresto del credito nelle metropoli imperialiste - arresto che dal 1975 ad ora non si è seriamente manifestato, mitigando così le crisi di sovrapproduzione via via verificatesi. Quando dovesse verificarsi un effettivo arresto del credito, allora la crisi che attanaglierà alla gola il mefitico modo di produzione capitalistico sarà ben più catastrofica di quella del 1929.

 

 

D'altra parte, che la crisi generale si presenti o no nel 2008, che sia catastrofica o simile a quelle che l'hanno preceduta in questi ultimi decenni, non costituisce tema di smentita della "prospettiva" marxista, in quanto ciò che interessa sapere è come si verificherà, mentre il quando o meglio la fatidica "data" è di scarsa importanza: essendo certo che presto o tardi la sua previsione catastrofista troverà storica conferma al pari della Rivoluzione Comunista.


Note

(1) Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, in Opere scelte in 6 vol., Vol.II, pag.468.

(2) Marx-Engels, “Rassegna maggio-ottobre 1850” (Neue Rheinische Zeitung. Politische-ökonomische Revue), in Opere complete, Vol. X, Editori Riuniti, pag.501.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2007)

 

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