Nostri testi

 

Nel numero scorso di questo giornale, abbiamo ripubblicato alcuni capitoli dal nostro testo fondamentale “Proprietà e capitale. Inquadramento nella dottrina marxista dei fenomeni del mondo sociale contemporaneo”, pubblicato sulla nostra stampa fra il 1948 e il 1950. Quei capitoli, intitolati “ Il capitale finanziario. Intraprese di produzione e di credito e ribadito parassitismo economico di classe”, “La moderna impresa senza proprietà e senza finanza. L’appalto e la concessione, forme anticipate della evoluzione capitalista presente”, e “L’interventismo e il dirigismo economico. Il moderno indirizzo di economia controllata come maggiore soggezione dello Stato al Capitale”, chiarivano tutta una serie di concetti-chiave dello sviluppo economico e sociale capitalistico, tratti dall’analisi del corso storico di questo modo di produzione, oltre che dei più recenti sviluppi legati alla sua fase imperialistica. Quella “ribattitura di chiodi”, svolta sessant’anni fa, è oggi ancor più necessaria, perché di fronte alla crisi economica apertasi a metà anni ’70 si fa una gran confusione (involontaria o interessata) sull’incessante interventismo statale, sul “dirigismo statalista” visto come “preludio di misure economiche... socialisteggianti”, e via di seguito. Per motivi di spazio era rimasto fuori il capitolo sul “capitalismo di stato”, che ripubblichiamo qui di seguito.

 

 

Da “Proprietà e capitale” (1948-50)

 

 

XIV – CAPITALISMO DI STATO

La proprietà statale l’impresa senza proprietà e senza finanza

 

La proprietà del suolo, degli impianti e del denaro nella forma statale è accumulata a disposizione delle imprese capitalistiche private di produzione o di affari, e della loro iniziativa.

 

Distinzione fondamentale nelle discriminazione della economia capitalistica moderna è quella tra: proprietà, finanza, intrapresa. Questi tre fattori che si incontrano in ogni azienda produttiva possono avere diversa o unica pertinenza e titolarità.

La proprietà riguarda gli immobili in cui lo stabilimento ha sede: terreni, costruzioni, edifizi, con carattere immobiliare. Produce un canone di affitto che, depurato delle spese “dominicali”, dà la rendita. Possiamo estendere questo fattore anche alle macchine fisse, agli impianti o ad altre opere stabili senza alterare la distinzione economica, ed altresì a macchine mobili, o attrezzi diversi, col solo rilievo che questi ultimi sono di rapido logorio ed esigono un più frequente rinnovo con una rilevante spesa periodica ( ammortamento) oltre che una costosa manutenzione. Ma qualitativamente è lo stesso per le case e gli edifizi e anche per i fondi agrari, essendo respinta dai marxisti la tesi che esista una rendita base propria della terra, che la fornisca al di fuori dell’opera umana. Quindi elemento primo: proprietà che produce reddito netto.

Il secondo elemento è il capitale liquido di esercizio: con esso vanno ad ogni ciclo acquistate le materie prime, e pagati i salari dei lavoratori, oltre a stipendi, spese generali di ogni genere e tasse.

Questo denaro può essere messo fuori da uno speciale finanziatore, privato o banca nel caso generale, che non si occupa di altro che di ritirare un interesse annuo a dato saggio. Chiamiamo tale elemento per brevità finanza e la sua remunerazione interesse.

Il terzo caratteristico elemento è l’impresa. L’imprenditore è il vero fattore organizzativo della produzione, che fa i programmi, sceglie gli acquisti e resta arbitro dei prodotti cercando di collocarli sul mercato alle migliori condizioni e incassa tutto il ricavo delle vendite. Il prodotto appartiene all’imprenditore. Col suo ricavo si pagano tutte le varie anticipazioni dei precedenti elementi: canoni di fatto, interessi di capitali, costi di materie prime, manodopera ecc..Resta tuttavia in generale un margine che si chiama utile di intrapresa. Quindi terzo elemento: impresa, che produce profitto.

 

La proprietà ha il suo valore che si chiama patrimonio, la finanza il suo che si denomina capitale (finanziario) e infine anche l’impresa ha un valore distinto e alienabile derivante, come suol dirsi, se non da segreti e brevetti di lavorazione tecnica, da “accorsamento”, “ avviamento”, “cerchia di clientela”, e che si considera legato alla “ditta” o “ragione sociale”.

Ricordiamo anche che per Marx alla proprietà immobiliare corrisponde la classe dei proprietari fondiari, al capitale di esercizio e di impresa la classe dei capitalisti imprenditori. Questi sono poi distinti in banchieri o finanzieri ed imprenditori veri e propri: Marx e Lenin mettono in totale evidenza l’importanza dei primi col concentrarsi dei capitali e delle imprese, e la possibilità di urti di interessi tra i due gruppi.

Per bene intendere che cosa si voglia indicare con la espressione di Stato capitalista e di capitalismo di Stato, e con i concetti di statizzazione, nazionalizzazione e socializzazione, va fatto riferimento alla assunzione da parte di organi dello Stato di ciascuna delle tre funzioni essenziali prima distinte.

Non dà luogo a grave contrasto, anche con gli economisti tradizionali, che tutta la proprietà fondiaria potrebbe divenire statale senza che con ciò si esca dai limiti del capitalismo e senza che i rapporti tra borghesi e proletari abbiano a mutarsi. Sparirebbe la classe dei proprietari di immobili, e questi, in quanto indennizzati in numerario dallo Stato espropriatore, investirebbero il denaro divenendo banchieri o imprenditori.

Nazionalizzazione della terra o delle aree urbane non sono dunque riforme anticapitalistiche: ad esempio già attuata in Italia è la statalizzazione del sottosuolo. L’esercizio delle aziende si farebbe in affitto o concessione, come avviene per le proprietà demaniali, miniere ecc. (esempio dei porti, docks).

Ma lo Stato può assumere non solo la proprietà di impianti fissi ed attrezzature diverse, bensì anche quella del capitale finanziario, inquadrando ed assorbendo le banche private.

Questo processo è completamente sviluppato in tempo capitalista prima di riservare la stampa della moneta cartacea che lo Stato garantisce a una sola banca, poi coi cartelli obbligatori di banche e la loro disciplina centrale. Lo Stato può quindi più o meno direttamente rappresentare in un’azienda non solo la proprietà ma anche il capitale liquido.

Abbiamo quindi gradatamente: : proprietà privata, finanza privata, impresa privata; proprietà di Stato, finanza ed impresa privata; proprietà e finanza di Stato, impresa privata.

Nella forma successiva e completa, lo Stato è titolare anche della impresa: o espropria ed indennizza il titolare privato o, nel caso delle società per azioni, acquista tutte le azioni.

Abbiamo allora l’azienda di Stato in cui con denaro di questo sono fatte tute le operazioni di acquisto di materie e pagamenti di opera, e tutto il ricavo della vendita dei prodotti va allo Stato stesso. In Italia sono esempio il monopolio del tabacco o le Ferrovie dello Stato.

Tali forme sono note da tempo antico e il marxismo ha ripetutamente avvertito che in esse non vi è carattere socialista. Non è meno chiaro che la ipotetica integrale statizzazione di tutti i settori dell’economia produttiva non costituisce l’attuazione della rivendicazione socialista, come ripete tanto spesso la volgare opinione.

Un sistema in cui tute le aziende di lavoro collettivo fossero statizzate e gestite dallo Stato si chiama capitalismo di  Stato, ed è cosa ben diversa dal socialismo, essendo una delle forme storiche del capitalismo passato , presente e futuro. Differisce essa dal cosiddetto “socialismo di Stato”?. Con la dizione di capitalismo di Stato si vuole alludere all’aspetto economico del processo e alla ipotesi che rendite, profitti ed utili passino tutti per le casse statali. Con la dizione di socialismo di Stato (sempre combattuta dai marxisti e considerata in molti versi come reazionaria perfino rispetto alle rivendicazioni liberali borghesi contro il feudalesimo) ci si riporta all’aspetto storico: la sostituzione della proprietà dei privati con la proprietà collettiva avverrebbe senza bisogno della lotta delle classi né del trapasso rivoluzionario del potere, ma con misure legislative emanate dal governo: nel che è la negazione teorica e politica del marxismo. Non può esservi socialismo di Stato sia perché lo Stato oggi non rappresenta la generalità sociale ma la classe dominante ossia la capitalista, sia perché lo Stato domani rappresenterà sì il proletariato, ma appena l’organizzazione produttiva sarà socialista non vi sarà più né proletariato nè Stato, ma società senza classi e senza Stato.

Dal lato economico, lo Stato capitalista è forse la prima forma da cui si mosse il moderno industrialismo. La prima concentrazione di lavoratori, di sussistenze, di materie prime, di attrezzi non era possibile ad alcun privato, ma era solo alla portata del pubblico potere: Comune, Signoria, Repubblica, Monarchia. Un esempio evidente è l’armamento di navi e flotte mercantili, base della formazione del mercato universale, che per il Mediterraneo parte dalle Crociate, per gli oceani dalle grandi scoperte geografiche della fine del secolo XV. Questa forma iniziale può riapparire come forma finale del capitalismo e ciò è tracciato nelle leggi marxiste della accumulazione e concentrazione. Riunite in masse potenti dal centro statale, proprietà, finanza e dominio del mercato sono energie tenute a disposizione della iniziativa aziendale e del dominante affarismo capitalista, soprattutto con i chiari fini della sua lotta contro l’assalto del proletariato.

Per stabilire quindi la incolmabile distanza tra capitalismo di Stato e socialismo, non bastano queste due correnti distinzioni:

a) che la statizzazione delle aziende sia non totale ma limitata ad alcune di esse, talune volte a fine di esaltare il prezzo di mercato a benefizio dell’organismo statale, talune altre a fine di evitare rialzi di prezzi eccessivi e crisi politico-sociali;

b) che lo Stato gestore delle poche o molte aziende nazionalizzate sia tuttavia lo storico Stato di classe capitalista, non ancora rovesciato dal proletariato, ogni politica del quale segue gli interessi controrivoluzionari della classe dominante.

A questi due importanti criteri occorre aggiungere gli altri seguenti, non meno importanti per concludere che si è in pieno capitalismo borghese:

c) i prodotti delle aziende statizzate hanno tuttavia il carattere di merci, ossia sono immessi sul mercato ed acquistabili con denaro da parte del consumatore;

d) i prestatori d’opera sono tuttavia remunerati con moneta, restano dunque lavoratori salariati;

e) lo Stato gestore considera le varie imprese come separate aziende ed esercizi, ciascuna con proprio bilancio di entrata ed uscita computata in moneta nei rapporti con altre aziende di Stato e in ogni altro, ed esige che tali bilanci conducano ad un utile attivo.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2009)

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