Emergenza... scuola

In questi mesi si è fatto un gran parlare di scuola: emergenza aule, emergenza banchi, emergenza mascherine, emergenza insegnanti... E, benché il sistema capitalistico sia tutta un’emergenza, si capisce bene che, per quanto riguarda la scuola, la circostanza sanitaria straordinaria ha messo in evidenza tutta una serie di problemi che erano ovviamente preesistenti, ma che il piccolo virus ha esacerbato, rendendoli giganteschi.

L'atteggiamento del governo è, per così dire, orientato sul... “Tutto va ben, Madama la marchesa”: nel senso che le sue priorità – in un periodo in cui il Pil è crollato di quasi il 13% – risultano essere ben altre, soprattutto se si tiene in mente che la scuola, assieme alla sanità, rappresenta un ramo secco da tagliare in tempi tetri, caratterizzati da una crisi economica che mostra sintomi allarmanti e preoccupanti, nonostante il gran vociare dei ministri che annunciano una ripresa economica, un rimbalzo che andrebbe… oltre le aspettative!. Sappiamo che la realtà è molto diversa, ma concentriamoci ora sulla scuola e sulle vicende ad esse legate.

Dicevamo che, con una crisi devastante come questa, non ci sorprende che la mannaia dei ragionieri dell'azienda borghese italiana si abbatta inesorabile sulla scuola, seguendo una traiettoria in linea con le politiche dei decenni passati, e dunque tracciando un destino del tutto simile a quello delineato per la sanità, la salute o il welfare, e colpendo così le condizioni di esistenza di una classe proletaria obbligata a sobbarcarsi il peso di una crisi economica strutturale nata a metà degli anni '70.

Qualche dato numerico

Vale la pena concentrarsi sui dati che la stessa borghesia mette nero su bianco, evidenziando alcuni elementi incontrovertibili: l'Italia è ultima in Europa per quanto riguarda i fondi destinati all'istruzione, così come si evince dai dati dell'ISTAT del 28 dicembre 2019[1].

La Legge di Bilancio per i fondi destinati alla scuola in confronto con il quadro europeo ci dice che l'Azienda Italia ha speso circa 66 miliardi di euro per l’istruzione pubblica nel 2018, ovvero una cifra ben al di sotto degli oltre 72 miliardi di euro destinati all'istruzione nel 2009. Il divario con altri paesi del vecchio continente – cuore del capitalismo europeo – salta agli occhi se si considera che, sempre nel 2017, la Germania ha aumentato di oltre 28 miliardi di euro la spesa in questo settore, la Francia di circa 15 miliardi, mentre nel Regno Unito la cifra è rimasta più o meno stabile.

Presi così, questi numeri potrebbero non significare nulla, ma se si estrapola il dato in riferimento alla spesa pubblica totale, si nota che l'investimento raggiunge solo il 7,9%, mentre se si considera il dato di spesa destinata alla scuola in rapporto al PIL il valore si attesta al 3,6% (per l'istruzione universitaria il dato si ferma allo 0,3%!), presentando un quadro ancora più cupo e che colloca il paese in ultima posizione nella graduatoria dei paesi dell'Unione Europea e nella classifica degli Stati con le economie più sviluppate del pianeta[2]. Per capire meglio la situazione, si pensi che tra il 2009 e il 2017 la spesa per l'istruzione è diminuita del 9%.

Va comunque sottolineato che la tendenza a ridurre le spese per l'istruzione è generalizzata, specie dopo il tracollo economico provocato dalla crisi del 2008 che ha obbligato tutte le borghesie a correre ai ripari (non a caso, dal 2009 in poi i tagli di spesa stanno avvenendo più velocemente), praticando una incisione sulla carne viva proprio di quei “diritti” che, ipocritamente, essa stessa non smette di celebrare come “inalienabili dell'essere umano”. Il che non ci sorprende: sappiamo bene quali sono i meccanismi infernali che regolano l'esistenza sempre più asfittica di una economia di mercato ormai in avanzata di decomposizione.

Fucili contro penne

Appare, tuttavia, qui interessante sottolineare l'evidente contrapposizione di questi dati rispetto alla crescita delle spese militari in tutti i paesi. Secondo i risultati dell'analisi compiuta dall'Istituto svedese di ricerca sulla pace (SIPRI – Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma), l’importo totale nel 2019 vede un incremento globale del 3,6% rispetto all'anno precedente: ovvero, la più grande crescita annuale della spesa a partire dal 2010, picco massimo mai raggiunto dalla fine della cosiddetta “Guerra fredda” ad oggi. In parole povere, la spesa militare globale è stata del 7,2% più alta nel 2019 rispetto al 2010[3], e ciò pone in evidenza una chiara tendenza all'accelerazione – un sintomo chiaro di quello che definiamo tendenza dell'economia alla militarizzazione, o come afferma lo stesso ricercatore del SIPRI, Nan Tian: “Questo è il più alto livello di spesa dalla crisi finanziaria globale del 2008 e probabilmente rappresenta un picco[4].

Anche in Italia, quindi, mentre langue la spesa per la ricerca e l’istruzione, aumenta vertiginosamente la spesa militare: di fatto, come si evince dal Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020, l'anno in corso vedrà un aumento, in termini assoluti, di 1,5 miliardi di euro, e il bilancio della Difesa toccherà la stratosferica cifra di oltre 30 miliardi di euro (stando ai dati pubblicati il 20/02/2020 dal SIPRI). Tenendo comunque in debita considerazione quanto annunciato dal Ministro della Difesa, Guerini, l'Italia si sta muovendo verso un incremento dell’investimento destinato agli armamenti, così da allinearsi agli standard degli altri paesi e adempiere agli impegni assunti con la Nato: la soglia di spesa del 2% del PIL “rappresenta prioritariamente un’esigenza nazionale”.

Un precariato in... precarie condizioni

Tornando alla “questione scuola”, va detto che proprio negli ultimi mesi i lavoratori del settore scolastico sono stati sottoposti a un atteggiamento quasi vessatorio proprio da un governo che aveva promesso mari e monti all'istruzione e al mondo della scuola. È sotto gli occhi di tutti l'attacco al precariato, costretto a fare i salti mortali per cercare di porre rimedio a una situazione in caduta libera. Si tratta di un processo di proletarizzazione che sta spingendo gli insegnanti – un tempo classe media lontana dai problemi dell'impoverimento, benché con salari inferiori rispetto alla media dei principali paesi europei – a prendere sempre più coscienza del fatto che anche il mondo dell'insegnamento subirà, in modo via via sempre più intenso, i colpi inferti dalla ragioneria del potere borghese. Ma andiamo con ordine.

La crisi sanitaria dovuta al Covid-19 ha prodotto delle iniziative della ministra Azzolina che non sono da meno rispetto alle “malefatte” dei governi apertamente dittatoriali. Secondo la legge di conversione del decreto Rilancio n.77/2020, l’assunzione dei docenti precari sarebbe vincolata alla possibilità di licenziamento immediato e senza diritto ad usufruire della disoccupazione, istituendo, di fatto, la  categoria dei precari usa e getta: “in caso di sospensione dell’attività in presenza, i relativi contratti di lavoro si intendono risolti per giusta causa, senza diritto ad alcun indennizzo”, recita infatti l'impianto del provvedimento da approvare. In riferimento a ciò, la stampa ministeriale ha voluto chiarire, in modo tutt'altro che chiaro, che a essere sottoposti a tale trattamento saranno solo i... docenti Covid (!), cioè quelli da assumere per gestire classi divise a causa dell'emergenza.

Tutto questo proprio quando il Governo ha stanziato finanziamenti a pioggia per l'acquisto di banchi con le rotelle, necessari ovviamente a dare ossigeno a una produzione industriale sempre più in sofferenza, specie con la minaccia di una nuova serrata a causa della pandemia che potrebbe mettere in ginocchio un capitalismo in difficoltà come quello italiano. In mezzo a questa situazione confusa e allarmante, si è levata la voce virile e preoccupata del “protettore dei lavoratori”... Landini: “La scuola italiana è una fabbrica di precari”[5], ha affermato con mestizia e sguardo contrito, dimenticando o ignorando che nella civilissima e acculturata Inghilterra sono stati inseriti nel mondo dell'insegnamento moltissimi insegnanti giovani (oltre il 31% ha al massimo 30 anni di età), privi di sicurezze e pagati circa il 10-11% in meno rispetto ai colleghi che avevano preso servizio nel 2005, secondo un trend che non lascia spazio a dubbi. Andreas Schleicher, direttore del centro per l'istruzione OECD, ha sottolineato: “Ci sono stati tagli chiari e mirati, e quando fai dei tagli, devi fare delle scelte. Se tagli gli stipendi ai tuoi insegnanti, aumenti allo stesso tempo le dimensioni della classe[6]. Senza volerlo, il direttore dell'OECD, ha affermato anche un'altra verità: la riduzione salariale ai danni dei docenti, classe media, fa aumentare il numero di alunni per classe, ma fa aumentare anche la consistenza numerica della classe... proletaria. Eccoci di nuovo al punto: il processo di proletarizzazione nei confronti del quale qualsiasi borghesia mondiale, nostrana o inglese o di altro paese, non può porre nessun argine. Vale anche la pena ribadire che non si tratta di malvagità, assenza di buona volontà e lungimiranza... La spesa del settore scuola, non essendo un settore produttivo, va limata al ribasso!

Il numero dei precari nella scuola italiana ha raggiunto cifre da capogiro, se si considerano gli stessi dati forniti dal Ministero e dalle principali sigle sindacali: 200mila sono infatti i lavoratori del settore scuola, soprattutto laureati che cercano nell'insegnamento un'ancora di salvezza per restare a galla nei flutti sempre più minacciosi ed estenuanti di una crisi che non accenna a diminuire di intensità, ma che, al contrario, getta sempre più ombre sul futuro economico del proletariato italiano. Si consideri, per esempio, che quest'anno le domande per le supplenze nelle scuole hanno superato le 750mila candidature, segno chiaro di una crisi che morde con ferocia la classe media, erodendone la consistenza in termini quantitativi e qualitativi. Ingegneri, avvocati, biologi, informatici sono tutti alla disperata ricerca di una supplenza nel mondo della scuola, quando solo qualche decennio fa disprezzavano un lavoro da docenti a causa dei salari poco più che da fame.

Oltre a ciò, si nota la strategia del governo di inserire giovani laureati, privi di esperienza, senza anni di anzianità, più ricattabili e in nessun modo organizzati, al fine di porli in concorrenza con gli altri lavoratori più anziani, che ancora devono tenersi in equilibrio su una fune sospesa nel baratro della disoccupazione e dei senza riserve. Da questo punto di vista, a prescindere dalle figuracce dell'ingenua ministra Azzolina, si evince che la borghesia nostrana, quella che lavora nell'ombra e distante dai riflettori degli studi televisi, sa benissimo come far quadrare i bilanci e come procedere a ranghi serrati per eliminare le spese improduttive. Un docente con anni di esperienza alle spalle costa sicuramente più di uno appena entrato nei gironi danteschi dell'inferno della scuola italiana, specie in quelle di periferia, le quali accolgono i figli di un proletariato senza riserve, frutto di famiglie monogenitoriali, di disoccupati, di genitori con problemi di alcolismo e alle prese con difficoltà economiche crescenti…

I carichi di lavoro aumentano

Tutti i docenti, precari e di ruolo, hanno avuto modo di conoscere le delizie della didattica a distanza, sperimentando sulla propria pelle l'assenza di orari e di giorni di riposo, e i carichi di lavoro notevolmente aumentati a parità di salario. Si tratta di una classe media che fino a poco tempo fa aveva ancora – se paragonata ad altri lavoratori – delle riserve da salvaguardare, quindi poco propensa a mostrare solidarietà con altri lavoratori, proprio perché rinchiusa nel mondo dorato delle aule scolastiche e ancora capace di godere di privilegi che sono, tuttavia, andati scomparendo nel tempo.
Ora si inizia a parlare di deterioramento delle condizioni di lavoro, una discesa nei bassi gironi in cui il proletariato mondiale annaspa da decenni. Negli ambienti sindacali, si parla dell'idea balzana da parte del Ministero di ridurre l'ora di lezione a 40 minuti; a monte di questa riduzione, ci sarebbe il progetto di recuperare quei 20 minuti di ogni singola ora così da portare le 18 ore canoniche che ogni insegnante dedica, come da contratto, alle lezioni frontali, fino a 24. Il calcolo è presto fatto: 20 minuti per 18 ore danno come risultato 360 minuti, ovvero 6 ore. Quindi, 18 più 6 ore fa 24. Ogni docente avrebbe dalle due alle tre classi in più da seguire, aumentando di parecchio i carichi di lavoro a scapito della qualità e permettendo al bilancio dello Stato di ridurre il numero dei contratti, così da tagliare ancora le spese per un settore che alla borghesia appare sempre più improduttivo e non prioritario (nonostante tutta la retorica sparsa a piene mani sulla Cultura!). Ovviamente, il tutto a parità di salario e con sempre meno certezze sul futuro. Quindi, si tratta di un ceto docente sempre più costretto a prendere atto del fatto di essere sottoposto, a ogni piè sospinto, a un vero e proprio attacco contro le proprie condizioni di vita e di lavoro.

Una sola prospettiva

Sappiamo che, in termini storici, la classe media dell'intellighenzia – ossia la classe media urbana, dotata di una certa cultura, che recita senza ombra di dubbio un copione basilare nel dramma storico del mondo capitalistico – ha sempre mostrato una posizione altalenante e opportunista: da un lato, terrorizzata dall'idea di essere proletarizzata e gettata nel calderone dei senza riserve, dall’altro, sedotta dall'illusione di poter ascendere socialmente. Certo, va detto che gli insegnanti, pur facendo parte dell'intellighenzia, avrebbero poco da spartire da un punto di vista economico con gli interessi della classe dominante. Eppure, essi contribuiscono a sorvegliare il proletariato, nella funzione di guardia bianca loro affidata, affinché esso non infranga i vincoli del sistema capitalistico borghese. Che lo vogliano o no, gli insegnanti, in quanto parte della classe media, rientrano fra i difensori della società capitalistica, poiché contribuiscono a diffondere i velenosi frutti dell'ideologia dominante attraverso le scuole e gli istituti di formazione, o ancora attraverso la propria produzione di libri e idee che, nonostante la loro pretesa di essere il faro che illumina il cammino dell'umanità intera verso il più radioso futuro, non è altro che il riflesso delle condizioni economiche e materiali in cui si manifesta la lotta di classe all’interno del sistema di produzione vigente, presentato come naturale ed eterno.

Come chiarisce il Manifesto del Partito Comunista, si tratta dunque più di una potenziale alleata della reazione e della conservazione borghese che di una ausiliaria della avanzata proletaria: “Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di far girare all'indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non difendono i loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio punto di vista, per mettersi da quello del proletariato[7].   

Un enorme bagaglio di esperienze storiche, confermate anche dalla società capitalistica d’oggi, ci mostra in modo nitido che questi ceti intermedi sono destinati a essere privati di qualsiasi compito storico indipendente. Ma la loro funzione tecnica e di intellettuali, sebbene sia oggi al servizio del Capitale, può e deve essere posta al servizio della rivoluzione e della dittatura del proletariato, a condizione che sia il proletariato ad avere una posizione di forza e direzione nei confronti degli elementi delle mezze classi.

Già un secolo fa, ricordavamo che il ceto degli intellettuali potrebbe essere destinato “a fondersi con la grande schiera del proletariato finalmente emancipato e che, in una nuova organizzazione della vita economica ed intellettuale, vedrà sempre meglio armonizzarsi lo sforzo della produzione”[8]. Tuttavia, questo potrà avvenire solo quando, nel corso della lotta di classe, si capovolgeranno i rapporti di forza attuali, ossia quando non sarà più il proletariato ad essere influenzato e trascinato dalla piccola borghesia, ma, attraverso un percorso lungo, difficile e tortuoso, la forza del movimento proletario, la sua riconquistata indipendenza ed autonomia, la sua chiarezza e coerenza rivoluzionaria diventeranno un polo di attrazione anche per elementi delle mezze classi in via di proletarizzazione. Questo processo può avvenire solo con la critica, lo scontro più profondo e la distinzione netta tra i programmi e le ideologie delle mezze classi da una parte e il programma rivoluzionario originale del proletariato dall’altra.

Queste poche righe servono per sottolineare, ancora una volta, che questo ceto di intellettuali, imbevuto irrimediabilmente di tutto l'impianto culturale di conservazione della società presente, che considera se stesso “custode della coscienza e conoscenza della società” in generale non si muoverà mai, autonomamente, in assenza della lotta di classe, verso le posizioni del proletariato rivoluzionario, proprio perché storicamente, ossia per inerzia storica determinata dalla collocazione nel sistema produttivo e nella società capitalistica, si mobilita ideologicamente al servizio dell’eterno padrone, dell’eterno dominatore… finché non intravede all’orizzonte la sua caduta nel proletariato e il dispiegarsi della lotta di classe. In esso predomina, appunto, in modo pernicioso, lo spirito individualistico, proprio di chi aspira a poter sedere sul trono dell’Olimpo della borghesia. Così, oggi come ieri, dobbiamo dire loro: “Ricordatevi che voi cadrete nel proletariato, che dalla stessa tendenza monopolizzatrice del capitale siete sospinti verso il proletariato, e che quindi più il proletariato sarà avanzato, più sarà in grado di conquistare la propria indipendenza economica, e meglio sarà anche per voi”[9].

Oggi, quando le prospettive dell'andamento del sistema produttivo capitalistico mondiale mostrano chiaramente segnali di esasperazione della crisi, a prescindere dalle misure di sostegno all'economia portate avanti dalle borghesie di tutti i paesi, non sarà possibile ancora a lungo impedire il riaccendersi della lotta di classe in tutti gli angoli del pianeta. Inevitabilmente si acuisce il processo di proletarizzazione della piccola borghesia e si pone nuovamente il problema del rapporto del proletariato con le diverse frazioni delle mezze classi.

Sappiamo bene che, con il deteriorarsi delle condizioni di vita e di lavoro, il proletariato mondiale andrà accogliendo fra le sue schiere milioni di nuovi diseredati provenienti dalla classe media (compresi i docenti), e sarà chiamato a svolgere il suo supremo compito storico di abbattimento del sistema capitalistico mondiale. Ciò sarà possibile solo con il radicamento del Partito Comunista Internazionale, sua guida esclusiva e imprescindibile, affinché lo scontro fra potenze imperialiste non porti– per l'ennesima volta e come già diversi segnali politici, economici e militari lasciano presagire – verso un macello mondiale dalle proporzioni inimmaginabili e dagli effetti imprevedibili, tanto da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana sulla terra.

 

[1]  I dati sono stati estrapolati dai risultati proposti all'interno del sito dell' Ocse, basati sul rapporto annuale Education at a Glance 2019.

[2]  Il Sole24ore, 12 settembre 2019.

[3] Corriere della Sera, 4 aprile 2020.

[4] www.affarinternazionali.it, 29 aprile 2020.

[5] 18 Settembre 2020 , in occasione della della giornata di mobilitazione nazionale unitaria di Cgil, Cisl e Uil di Napoli

[6] The Independent, 10 settembre 2019

[7] Manifesto del Partito Comunista, Cap. 1, “Borghesi e proletari”.

[8] La funzione storica delle classi medie e dell'Intelligenza, Conferenza tenuta il 23 marzo 1925, da un rappresentante della Sinistra del PCd’I.

[9] Idem.

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