Le precedenti lettere del carteggio Marx-Engels, pubblicate nel n°5 di questo giornale, fanno riferimento al periodo di circa un anno, dal 26 settembre 1856 al 13 novembre 1857. Allo scoppio della crisi, Marx manifesta a Engels la ventata di speranza da cui è pervaso: la bufera che si sta abbattendo si rivela subito con la crisi del mercato monetario – la crisi finanziaria si manifesta per prima, con fluttuazioni finanziarie, speculazioni e truffe sulle “società di carta”, e si intreccia con la crisi commerciale e industriale. Segue la crisi economica continentale, con il fallimento degli imprenditori inglesi e i suoi riflessi in Russia, Cina e India. Soprattutto in Francia, si spera che la collera operaia possa esplodere, mentre la crisi fa” tabula rasa” di tutte le illusioni e gli imbrogli. Quindi, crisi delle borse francesi e inglesi, mentre ”Il crac americano è stupendo e durerà ancora un pezzo”. Nella lettera del 13 novembre, la crisi monetaria che sembrava essersi attenuata si riaccende rapidamente, investendo violentemente l’economia reale: “Per quanto mi trovi in ristrettezze finanziarie, dal 1849, non mi sono sentito tanto a mio agio come con questo crollo”, commenta Marx a Engels. Continuiamo a leggere la loro corrispondenza, illuminante come sempre (anche se la traduzione italiana lascia spesso a desiderare!).

 

15 novembre 1857

7 dicembre 1857

Lettera di Engels a Marx, del 15 novembre 1857. I commenti sulla crisi riprendono: è una delle lettere più lunghe, fra quelle in cui si entra nel merito della crisi industriale. Le espressioni di piacere nel “profetizzare” situazioni catastrofiche ai borghesi, soffocati dalla paura e dalla rabbia, si uniscono alla descrizione meticolosa degli avvenimenti e alle aspettative. Scrive Engels: “Questa volta la crisi ha degli sviluppi alquanto particolari. Già da quasi un anno, la speculazione sulle azioni in Francia e in Germania si trovava in una crisi preliminare; soltanto ora è arrivato al punto di collasso il grosso della speculazione sulle azioni a New York[…];. La cosa più notevole è che gli yankees hanno sì, come sempre, speculato sul capitale straniero, ma questa volta specialmente su quello continentale. I burocrati e redditieri che in Germania hanno comprato per conto loro tutto quello che fosse americano avranno un bel salasso. La pre-crisi della speculazione sulle azioni nel continente e i pochi punti di contatto diretto che essa aveva con quella americana ritardano l’immediato contraccolpo della speculazione americana su quella continentale; ma non si farà troppo aspettare. Oltre alle azioni, la speculazione si era estesa a tutti i prodotti grezzi, ai generi coloniali, e anche a tutti i manufatti nei cui prezzi si risente ancora molto quello del prodotto grezzo; tanto più caro quanto più vicino al prodotto grezzo e quanto più caro è il prodotto grezzo. I filati più cari dei tessuti, i tessuti grezzi più cari di quelli stampati e colorati, le sete più care dei cotonami. Nella seta qui avevamo una pre-crisi dall’agosto; circa 20 fabbricanti fallirono […] nel caso migliore se ne salveranno un 30-40%. […] A Glasgow sono andati a gambe all’aria, oltre ai trenta riportati dai giornali, anche tutta una quantità di medi e piccoli industriali senza che se ne parli. […] Come sia andato quest’anno il mercato del cotone lo vedi dal grafico accluso preparato da me sulla base di bollettini ufficiali a stampa del nostro agente commerciale. […] Per quel che riguarda la produzione industriale in sé e per sé, in America pare che l’ingorgo delle riserve lo si abbia nell’ovest; nei porti dell’est, le riserve dei manufatti, secondo le informazioni che ho io, sono molto scarse. Ma che si tratti di roba difficile da vendere lo dimostra il fatto che si rispediscono da New York a Liverpool dei carichi interi. Qui, tre quarti delle filature lavorano per riempire i magazzini, soltanto un quarto al massimo ha ancora qualche contratto in corso. Si pratica quasi universalmente l’orario di lavoro ridotto […]. Le notizie singolarmente favorevoli da Madras e Bombay (vendite con profitto, cosa che non si era più vista dal 1847) danno una maggiore animazione al traffico con l’India. Chiunque lo possa fare ci si butta su. […] Centinaia di filande e di fabbriche tessili consegnano lì [in India, NdR] le loro merci. Laggiù si prepara quindi una crisi supplementare, per il caso che questo primo urto non sia in grado di mandare a gambe all’aria tutta la vecchia baracca. Qui la settimana passata l’aspetto generale della Borsa era molto spassoso e questa gente è nera di rabbia perché il mio umore si è improvvisamente sollevato. In realtà la Borsa è l’unico posto in cui il mio attuale torpore si tramuta in elasticità e slancio. Inoltre faccio, com’è naturale, sempre le profezie più nere, e la cosa fa doppiamente rabbia a questi somari. Giovedì la situazione era quanto mai lacrimevole, venerdì i signori almanaccavano sui possibili effetti della legge di sospensione bancaria, e siccome il cotone salì nuovamente di un penny, si diceva: abbiamo superato il peggio. Ma ieri era sopravvenuta la disperazione; tutta quell’euforia era solo a parole e quasi nessuno voleva comprare, dimodoché il mercato locale restò stagnante come prima. Quel che promette un brillante sviluppo di questa crisi è l’improvvisa necessità di intervenire (per superare le difficoltà nello scambio in oro delle banconote con lalegge di riforma – bank act suspension – della Banca d’Inghilterra del 1844, NdR) al primo urto. Così facendo vi si coinvolge direttamente la banca stessa. […] Si è anche provveduto ad estendere e a far perdurare la crisi. La crisi della seta, che ha già tolto il pane alla maggior parte dei tessitori di seta, e l’orario di lavoro ridotto da soli sono sufficienti a rovinare completamente il commercio interno per questo inverno; fino alla fine d’ottobre andava ancora bene. La crisi americana metterà proprio nei pasticci i fabbricanti di mercerie, seta e panno tedeschi, francesi e belgi. […] Se il cotone non arriva a 6 pence la libbra non è possibile nessuna ripresa, neanche momentanea, dell’industria cotoniera di qui. E ora sta ancora a 7 pence e 7 pence e ¼. Da questo puoi vedere quanto sia piccola la possibilità di una svolta. Ciononostante, a primavera sarà possibile e addirittura probabile una svolta temporanea, una svolta non nel senso di ‘buoni affari’, ma tuttavia tale che si possano fare di nuovo degli affari, dimodoché il meccanismo del commercio rimanga in moto e non si arrugginisca. Finora nessuna crisi così ha avuto una fine così rapida e immediata, e questa, che viene dopo dieci anni di prosperità e di speculazioni, è meno che mai in grado di farlo. E neppure c’è una nuova Australia o California per salvare la situazione, e la Cina è nei guai per vent’anni. Ma la violenza di questo primo colpo dimostra quali enormi dimensioni la cosa prenda. Dopo l’immensa produzione d’oro e il corrispondente enorme sviluppo dell’industria non è neanche possibile altrimenti. Sarebbe desiderabile che, prima che arrivasse un secondo colpo decisivo, si verificasse questo ‘miglioramento’ che rendesse la crisi, da acuta, cronica. La pressione cronica è necessaria per un certo tempo per riscaldare il popolo. Il proletariato, in questo caso, colpisce meglio con una maggiore cognizione di causa, e con un maggiore accordo; proprio come un attacco di cavalleria riesce molto meglio quando i cavalli abbiano dovuto trottare per un 500 passi, prima di arrivare alla carica. Non vorrei che scoppiasse qualcosa troppo presto, prima che tutta l’Europa ne fosse contagiata; la lotta dopo sarebbe più dura, più noiosa e più indecisa. Quasi quasi maggio o giugno sarebbe ancora troppo presto. Per la lunga prosperità, le masse debbono essere cadute in profondo letargo […] E’ molto bene che tu raccolga del materiale su questa crisi. Oggi mando di nuovo due ‘Guardian’; riceverai questo giornale regolarmente, e di tanto in tanto l’‘Examiner and Times’. Inoltre, ti riferirò il più presto possibile tutto quello che riuscirò a sapere, per poter avere una bella provvista di fatti. Per il resto sto come stai tu. Da quando c’è stato il crollo a New York, non stavo più tranquillo a Jersey, e mi sento allegrissimo in questo crollo generale. Questa schifezza borghese degli ultimi sette anni mi si era in certo qual modo attaccata addosso: ora mi sento lavato, e torno ad essere un altro uomo. Fisicamente la crisi mi farà bene quanto un bagno di mare, me ne accorgo fin d’ora. Nel 1848, dicevamo: ora viene il momento nostro, e in un certo senso è venuto; ma questa volta viene in pieno, si tratta di vita e di morte. Così, i miei studi militari diventano subito più concreti, mi butto senza indugio a studiare l’attuale organizzazione e la tattica elementare degli eserciti prussiano, austriaco, bavarese e francese, e oltre a ciò farò soltanto dell’equitazione, cioè della caccia alla volpe, che è la vera scuola”.

Nella lettera del 24 novembre 1857, Marx riferisce del panico monetario che si stava scatenando con la crisi e che a tratti sembrava essersi calmato, per riprendere subito dopo. Dominano su tutti gli argomenti la necessità della regolamentazione dell’esportazione dell’oro dalla Gran Bretagna alla Francia e gli effetti della “sospensione della legge bancaria” (la riduzione del surplus artificiale di banconote non coperte dall’oro, lo stato di insolvibilità delle banche per quanto riguarda i fondi di riserva che ammontavano a 400-500.000 sterline, i depositi pubblici e privati a oltre 17 milioni di sterline e la riserva metallica della sessione emissioni ridotta al di sotto di un terzo delle banconote emesse): “La legge ha accelerato lo scoppio del panico monetario e forse con ciò lo ha reso meno intenso”. E poi aggiunge: “il fatto che la Banca presti al massimo al 10% (per i titoli di prim’ordine), manterrà in corso una quantità di transizioni che in fin dei conti portano dritto ad un nuovo crash. […] Poiché la caduta del prezzo del grano e dello zucchero mi sembra inevitabile, credo che questa gente non faccia altro che prepararsi un grave fallimento. Questo fu esattamente il caso del maggio 1847. Quelle che, a differenza delle crisi precedenti, sostengono ancora in certo qual modo a Londra il cosiddetto mercato monetario sono le banche per azioni, che si sono sviluppate sul serio negli ultimi dieci anni. Queste conteggiano ai filistei, ai piccoli reddituari ecc, l’1% di interesse in meno di quello che comporta il tasso ufficiale della Banca d’Inghilterra. L’attrattiva del 9% è troppo grande per trovare una seria resistenza. Così, la marmaglia della City dispone ora, in misura maggiore di quanto sia mai avvenuto, dei piccoli capitali dei filistei. Se ora fallisse una sola di queste banche, il putiferio diverrebbe generale. Perciò, è un vero peccato che la Royal British Bank sia saltata troppo presto. In America, è quasi sicuro che, in conseguenza della crisi, prenderanno il sopravvento i protezionisti. Ciò avrà delle conseguenze spiacevoli per i signori inglesi”.

Pochi giorni dopo, il 7 dicembre 1857, Engels scrive a Marx: “La settimana scorsa, la crisi con continui alti e bassi dei prezzi e con l’ammucchiarsi delle riserve mi ha costretto a scrivere un bel po’. […] La caduta dei prezzi delle merci è davvero colossale (35% per lo zucchero) e, data la certezza che appena si dovranno fare sia pure soltanto alcune vendite forzose, i prezzi delle merci cadranno ancor più, sicché mentre prima i possessori ricevevano in anticipo 2/3 o ¾ del valore più alto, ora ricevono al massimo ½ del valore ridotto, cioè circa la metà dell’anticipo che si poteva ottenere prima. E questo porterà presto a un tracollo. Ma è anche possibile che il commercio di Mincing Lane e di Mark Lane [due delle grandi vie commerciali di Londra, NdR] continui ancora per un certo tempo a cadere lentamente e che poi soltanto in seguito avvengano alcuni grossi fallimenti. Ed è sicuro che avvengano e questi e altri fallimenti a Liverpool e in altri porti. E’ spaventoso quanto si perde sullo zucchero, il caffè, il cotone, le pelli, i coloranti, la seta, ecc. […] Sul cotone delle Indie orientali la perdita è del 33%. A mano a mano che scadono le cambiali tratte su queste merci, arriveranno anche i fallimenti. La grande ditta americana che recentemente, dopo due giorni di trattative, ottenne un anticipo di un milione dalla Banca d’Inghilterra poté salvarsi […] altre sono state costrette ad implorare aiuto, altre ancora hanno tanta paura che preferirebbero non fare affari per niente, se possibile, per non rischiare nulla. Qui non c’è nulla di cambiato. Otto o dieci giorni fa, invasero improvvisamente il mercato i compratori indiani e levantini, si rifornirono al prezzo più basso e così cavarono dai peggiori guai alcuni fabbricanti sovraccarichi di cotone, di filati e di stoffe. Da martedì tutto è di nuovo fermo. Per i fabbricanti, le spese continuano, carbone, oli, ecc. restano assolutamente gli stessi ad orario pieno o ridotto, soltanto i salari sono ridotti di un terzo o della metà. E non si vende niente e il capitale liquido è molto scarso per la maggior parte dei nostri proprietari di filande e fabbriche, e molti ne sono assolutamente a corto. Otto o nove piccoli proprietari sono andati a gambe all’aria in questi giorni, ma questo è soltanto il primo sintomo del fatto che la crisi investe questa classe. Altri hanno venduto cavalli da caccia, cani per la caccia alla volpe, levrieri ecc., uno ha venduto i suoi servitori e ha lasciato il suo palazzo da affittare. Non sono ancora spacciati, ma salteranno presto: ancora due settimane, e ci sarà una bella baraonda. Dal fallimento di Sevell e Neck resta seriamente coinvolta la Norvegia; finora non era stata ancora colpita. Ad Amburgo succedono cose grosse. Ullberg e Cramer, svedesi, che avevano un capitale di non più di 300mila marchi (!) sono falliti per un debito in banca di 12 milioni di marchi, di cui 7 milioni in cambiali. Una quantità di gente vi è coinvolta per il solo fatto di non aver potuto trovare contanti per una sola cambiale che scadeva e forse avevano in cassa un importo cento volte maggiore in cambiali momentaneamente senza valore. Non c’è ancora mai stato un panico così perfetto e classico come ora ad Amburgo. Nulla ha più valore ad eccezione dell’oro e dell’argento. […] Tutta la faccenda ad Amburgo ha origine nel più grandioso traffico di cambiali che si sia mai visto. Tra Amburgo, Londra, Copenaghen e Stoccolma lo si è praticato nel modo più pazzo. Il crac americano e la caduta dei prodotti fece poi venir fuori tutto il marcio, e per il momento Amburgo commercialmente è rovinata. Gli industriali tedeschi, soprattutto a Berlino, in Sassonia, in Slesia, vi sono di nuovo gravemente coinvolti. Ora il cotone middling [di qualità medio-scarsa, NdR] è a 6 pence e 9/16 e presto arriverà certo a 6 pence. Ma le fabbriche di qui potranno tornare a lavorare a orario pieno soltanto se, accrescendo così la produzione, il prezzo non salirà di nuovo oltre i 6 pence […] Tra i filistei di qui la crisi ha l’effetto di spingerli a bere parecchio. Nessuno ce la fa a star solo a casa con la famiglia e le preoccupazioni, i clubs si animano e il consumo di alcool cresce parecchio. Quanto più uno sta in mezzo ai guai, tanto più cerca di farsi animo. E la mattina seguente è un eloquentissimo esempio di stordimento morale e fisico”.

Nel mezzo della bufera della crisi, Marx ed Engels analizzano con lucidità le sue dinamiche: e la lucidità s’accompagna sempre alla passione (e all’acutezza nel cogliere tutte le sue sfumature, sociali oltre che economiche). Altre lettere nel prossimo numero.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.