“Non appena il denaro è dato a prestito – scrive Marx nel Capitale – o anche investito nel processo di riproduzione […] esso genera dell’interesse sia che dorma, sia che sia sveglio, sia che si trovi a casa o in viaggio, di giorno e di notte. Così nel capitale produttivo d’interesse […] si trova realizzato il pio desiderio [corsivo nostro, NdR] del tesaurizzatore”1.

Abbagliata dalle possibilità dell’accumulazione dell’interesse, sganciato da qualunque vincolo produttivo, la borghesia ripete vecchie cantonate, secondo cui uno Stato “non può mai trovarsi in difficoltà”: con i più piccoli risparmi, esso può pagare il debito più elevato in un tempo tanto breve quanto gli può far comodo… La borghesia, scrive sempre Marx, considera il capitale, “senza tener conto della condizione della riproduzione e del lavoro, come un meccanismo automatico, come un semplice numero che si accresce da se stesso (precisamente come Maltus considerava l’uomo nella sua progressione geometrica)”. Essa può immaginare di aver trovato la legge del suo accrescimento nella formula dell’interesse composto (per il quale “un penny prestato al 5% d’interesse composto alla nascita di Cristo, sarebbe cresciuto oggi ad una somma maggiore di quella che potrebbero rappresentare 150 milioni di globi terracquei, tutti di oro puro”)2.

“Il processo di accumulazione del capitale – continua Marx – può essere considerato come accumulazione dell’interesse composto in quanto la parte del profitto (plusvalore) che viene ritrasformata in capitale, ossia che serve a succhiare nuovo plusvalore, può essere designata sotto il nome di interesse. Ma: 1) facendo astrazione da tutte le perturbazioni accidentali, una parte assai grande del capitale esistente è costantemente, nel corso del processo di riproduzione, più o meno svalorizzata, perché il valore delle merci è determinato non dal tempo di lavoro che la loro produzione costa all’origine, ma dal tempo di lavoro che costa la loro riproduzione, tempo che va continuamente diminuendo in seguito allo sviluppo della produttività sociale del lavoro. 2) Come si è dimostrato il saggio di profitto diminuisce in rapporto all’accumulazione crescente del capitale e alla forza produttiva del lavoro sociale che cresce corrispondentemente ad essa e che si esprime precisamente nella crescente diminuzione relativa del capitale variabile rispetto al costante [corsivo nostro, NdR]. Per ottenere il medesimo saggio del profitto se il capitale costante messo in movimento da un operaio diventa dieci volte maggiore, la durata del plusvalore dovrebbe anche aumentare di dieci volte, e ben tosto l’intero tempo di lavoro, e addirittura le 24 ore della giornata, anche se completamente appropriate dal capitale, finirebbero per essere insufficienti. […] L’identità del pluslavoro e del plusvalore pone un limite qualitativo all’accumulazione del capitale: la giornata lavorativa complessiva, lo sviluppo ogni volta dato delle forze produttive e della popolazione, che limita il numero delle giornate simultaneamente sfruttabili. Ma se invece il plusvalore è assunto nella forma empirica dell’interesse, allora il limite è soltanto quantitativo e va al di là di qualsiasi immaginazione” 3.

L’illusione di poter alimentare all’infinito il debito pubblico e di poter scontare i debiti e i deliri delle banche si muove nella stessa direzione: il loro fallimento è frutto della loro assurda immaginazione di poter scavalcare il limite qualitativo dell’accumulazione del capitale, la possibilità di spremere fino all’inverosimile il plusvalore da una giornata di lavoro che non può superare le 24 ore.

Ancora Marx: “Ma nel capitale produttivo d’interesse la rappresentazione del capitale- feticcio è portata a compimento, la rappresentazione che attribuisce al prodotto accumulato del lavoro, e per di più fissato come denaro, la capacità di produrre plusvalore in una progressione geometrica, per una qualità segreta innata, come un semplice meccanismo, così che questo prodotto accumulato del lavoro, ha scontato già da lungo tempo, come appartenenti e spettanti a lui di diritto, tutte le ricchezze del mondo di tutti i tempi. Il prodotto del lavoro passato, il lavoro passato stesso è qui in sé e per sé pregno di una parte del plusvalore vivo presente e futuro. Si sa invece che in realtà la conservazione e pertanto anche la riproduzione del valore dei prodotti del lavoro passato sono soltanto il risultato del loro contatto con il lavoro vivo; e in secondo luogo: che il predominio dei prodotti del lavoro passato sul plusvalore vivo dura soltanto quanto dura il rapporto capitalistico; quel determinato rapporto sociale in cui il lavoro passato si contrappone in modo autonomo e preponderante al lavoro vivo” 4.

“Non c’è fiducia, non c’è credito”, vanno ripetendo gli esperti del nulla. “Fino a quando non sarà ristabilita la fiducia il sistema non può ricominciare la sua corsa in avanti. Il denaro nella sua forma del credito – dicono – si è sciolto, si è svalorizzato, volatilizzato”. I famosi “risparmiatori” fanno fatica a capire che esso non ha mai avuto valore, che si tratta di denaro fittizio: di un “pagherò” che fonda la sua esistenza sulla certezza che l’alienazione della forza lavoro porterà ancora all’ammasso quel plusvalore di cui si nutrono tutte le classi proprietarie; di titoli di credito che basano la propria realtà su un diritto di proprietà sulla forza lavoro; e, in sostanza, del diritto di appropriazione di parte del plusvalore.

Chi pagherà per il salvataggio delle banche, per il crollo dei titoli immobiliari senza copertura? Saranno le imposte su tutta l’attività produttiva, cioè sui salari operai, imposte che dovranno servire a pagare oltre al debito pubblico precedente, che le fameliche bocche del capitale hanno già inghiottito, anche la classe dei nuovi creditori dello Stato, autorizzati a prelevare a loro favore grosse somme sul gettito delle nuove imposte per i titoli comprati ed emessi dallo Stato per risanare i rinnovati deficit di bilancio.

Sembra del tutto illogico pensare che un’accumulazione di debiti possa apparire come un’accumulazione di capitali, cui fare affidamento; ma il sistema del credito manifesta qui la pienezza dei suoi nonsense: i duplicati cartacei di capitale inesistente esercitano, per chi li possiede, la funzione di capitale, in quanto sono merci vendibili e perciò possono essere trasformati in capitale. Essi circolano come valori-capitali, sono fittizi: ma il loro valore può accrescersi o diminuire con un movimento del tutto indipendente dal valore del capitale effettivo di cui sono titoli di appropriazione del plusvalore. Innanzitutto, però, deve ripartire la macchina produttiva, deve essere ricreato ancora e ancora il plusvalore: per questo la classe operaia dovrà essere rimessa ai lavori forzati. Proprio in questo momento la dittatura della borghesia dovrà mostrare pienamente il proprio ruolo politico... L’esperienza non le manca, come non mancano le forze addette all’ordine pubblico.

 

1 Marx, Il Capitale, Ed. Riuniti, Libro III, cap XXIV.

2 Idem.

3 Idem.

4 Idem.

 

  Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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