Nel 1848, Marx ed Engels aprivano il Manifesto del Partito Comunista con le seguenti parole: “Uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi, si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro”.

Da allora molto tempo è passato e tra varie vicissitudini, lunghe centosessantaquattro anni, lo spettro s'aggira ancora e fa paura, anche in assenza (per il momento!) di tensioni sociali. Ed è in questa quiete prima della tempesta che la borghesia, spalleggiata dall’opportunismo, cerca di demonizzare lo spettro. Rispolvera Marx e lo presenta come il classico filosofo dalle due personalità: l’economista che, come tanti suoi colleghi passati e presenti, ha avuto delle buone intuizioni e il politico che è solo un dilettante allo sbaraglio – e che ci ha lasciato in eredità... la Corea del Nord, il paese più povero del mondo.

E’ come se borghesi e opportunisti, uniti nel sacro vincolo del matrimonio, volessero continuamente compiere esorcismi contro uno spirito maligno, cercando di tenere lontano qualcosa di sgradevole o di negativo. Ecco allora che compaiono, in giornali o riviste, “articoli su Marx” – avvisando però il lettore che quanto egli diceva andava bene per il secolo passato; e così l’inizio d’ogni articolo cattura l’attenzione e la curiosità del lettore che poi, alla fine del pezzo, è messo in guardia sull’“anti-storicità del marxismo” e sulle sue immature velleità, riguardanti sedicenti lotte di classe e romantiche rivoluzioni. Divertiamoci dunque, spizzicando qua e là.

 

Espresso (6 settembre 2001), a firma di Umberto Eco. Titolo: “Rileggiamoci il Manifesto del ’48”.

Eco elogia il testo: “Su Corriere della Sera del 22 agosto scorso Luciano Canfora tornava a parlare del 'Manifesto dei Comunisti' del 1848 […] e ne lodava anche le qualità letterarie, e la prodigiosa strategia retorica. Su queste cose mi ero intrattenuto qualche anno fa proprio sull’Espresso in occasione del centocinquantenario di questo testo bellissimo […] ma l’aspetto che lo rende lettura attualissima oggi, nel vivo dei dibattiti sulla globalizzazione, è proprio l’elogio, con cui inizia, della borghesia. Gli autori del 'Manifesto', prima di scagliarsi contro il loro avversario, volevano mostrare non solo la potenza, ma gli innegabili meriti storici e le ragioni del suo successo”. L’autore continua la descrizione della parte “economica” del libro: “Davvero, è impressionante come esso avesse visto nascere, ma con anticipo di centocinquant’anni, l’era della globalizzazione, e le forze alternative che essa avrebbe scatenato”. Con l’arrivo della seconda parte del Manifesto, quella che riguarda le basi per l’organizzazione del proletariato, Eco dice: “A questo punto entrano in scena i comunisti, ed è il momento in cui il Manifesto appare ovviamente datato. E quindi, quella che andrebbe riletta oggi, è la sua prima parte”.

E bravo il nostro intellettual-letterato-e quant’altro: spigoliamo il buono, il cattivo, il superato. Diamine, quanto timore dei comunisti, senza mai capire… che cosa sia il comunismo!

 

Corriere della Sera (21 ottobre 2009). Leggiamo che Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, riporta un articolo dal titolo: “Quel che resta di Marx”, del padre gesuita tedesco Georg Sans. Esso nota che “Marx non può ritenersi superato […] non sembra finora contraddetta la tesi marxiana che alla fine è sempre il lavoro reale degli uni quello che crea la ricchezza eccessiva degli altri”. Dopo la carota, il bastone, e il nostro gesuita continua: “I poteri dittatoriali socialisti hanno sfigurato le concezioni del Marx storico fino a renderle in parte irriconoscibili […] sarebbe un grossolano errore ritenere che lo spirito che sta dietro l’avvento del comunismo coinvolga in ogni caso Karl Marx”.

Padre Georg, molto probabilmente ancora sotto i fumi della buona birra tedesca, sostiene che bisogna dividere Marx dalle brutte compagnie di Engels e di Lenin, il gatto e la volpe del povero Pinocchio.

 

Pochi mesi per rimettersi da quanto detto dal gesuita, ed ecco che nell’inserto de La Stampa, “Tutto Libri” (23 gennaio 2010), troviamo il titolo: “Ben scavato vecchio Marx” e come secondo titolo: “La riscoperta di Marx. Come e perché torna attuale il suo pensiero, un cantiere riaperto di fronte alla crisi del capitalismo”. E’ la presentazione di un libro dal titolo Benvenuto Marx. L’autore del pezzo rileva che Marx è ormai largamente resuscitato per merito del palese fallimento del suo nemico storico, il capitalismo occidentale (come se esistesse, per ogni emisfero, un capitalismo indigeno!).

Dopo aver esaltato la freschezza e l’audacia dell’autore del libro, nell’annunciare il ritorno del marxismo il giornalista ricorda che l’opera di Marx è sempre un cantiere aperto e il Capitale è un libro incompiuto: pretendere di cercare la verità originaria di Marx è sempre stata la tentazione dei dogmatici. Il messaggio è chiaro: il marxismo non è una dottrina dogmatica, ma aperta a libere interpretazioni, aggiustamenti vari che qualsiasi intellettuale voglia fare. Dateci sotto!

 

Il tempo passa e il Fatto Quotidiano (15 ottobre 2010) irrompe con il seguente titolo: “Karl Marx, un contemporaneo”. Leggiamo: “A giugno sono uscite due biografie, la traduzione del testo di Francis Wheen, Karl Marx. Una vita e il volume di Nicolao Merker Karl Marx. Vita e opere. Se il primo testo è avvincente, il secondo riesce a fare il miracolo – osserva il giornalista – ossia a darci una panoramica completa della vita di Marx e delle linee di fondo del suo pensiero”. Il giornalista, illustrando il libro, ricorda che Merker, anche se parla della teoria del valore e del plusvalore rilevando l’importanza delle due teorie, ammonisce: “Il marxismo attende risposte…”. Ma perché dobbiamo leggere autori vari e non l’interessato stesso? Marx ci ha lasciato pagine, pagine, pagine, pagine scritte di suo pugno; ma molto meglio prendere la parola per fargli dire… ciò che ci aggrada!

 

Dalle pagine del Manifesto del 21 ottobre 2010 (“quotidiano comunista”, non dimentichiamolo!), in un articolo dal titolo: “Intrecci tra teoria marxiana e la decrescita ipotizzata da Latouche”, apprendiamo che Marx è un mediocre economista e non tanto brillante: perfetto! Già l’inizio è chiaro: “E’ possibile, ma soprattutto è utile coniugare le teorie legate alla decrescita con il pensiero di Marx?”. Ma come?… E la teoria della sovrapproduzione? in che cosa si differenzia dalla decrescita? Il quotidiano, sordo a queste domande, continua: “Solo dall’incontro fra il pensiero di Marx e la decrescita può nascere un anticapitalismo che sia capace di confrontarsi sul piano teorico e politico con la realtà del capitalismo attuale […] Marx e la decrescita sembrano però aprire più problemi di quanti ne risolvano”. Con questa prospettiva, la borghesia può dormire tranquilla… e per conciliare il sonno, leggere anche il suddetto quotidiano, per il quale il comunismo è uno spettro... che non fa paura!

 

Il nostro cammino continua e troviamo nel Corriere della Sera (17 gennaio 2011) l’intervento di Eric Hobsbawm, studioso marxista (?) inglese che riconosce l’importanza del pensiero teorico di Marx, ma anche la... povertà delle sue proposte politiche: “Merito per aver preveduto la globalizzazione ma scarse le indicazioni su come governarla […] Marx può tuttora servire per comprendere come funziona il mondo, ma non certo per trovare il modo di cambiarlo”. Ritorna la divisione tra il buon economista e il cattivo politico… da evitare. Notare che su l’Espresso (9 giugno 2011), nella recensione dell’ultimo libro di Hosbawm (Come cambiare il mondo. Perché riscoprire l’eredità del marxismo), si legge: “Il testo raccoglie i saggi più importanti e significativi dedicati alle opere e alla diffusione delle idee di Marx e Engels. Scritti in un arco di tempo che va dalla metà degli anni cinquanta fino a oggi, sono la testimonianza di una fedeltà ininterrotta a un metodo di analisi della società […]”. Marx, Engels, non dovete temere: siete in buone mani per... essere liberamente interpretati. Diamine: siamo o no in democrazia?!

 

Ancora sul Corriere della Sera (3 giugno 2011), in un articolo dal titolo: “Aveva ragione Karl Marx. I veri rivoluzionari sono i borghesi”, l’autore apre con pomposità: “In effetti, a rileggere oggi le pagine marxiane, non si può non rimanere colpiti dal fatto che il pensatore di Treviri aveva colto con una lucidità impressionante (e con un secolo e mezzo di anticipo) le linee fondamentali di quel processo economico-sociale e culturale che noi oggi chiamiamo ‘globalizzazione’. In questo senso le stesse pagine del Manifesto sono estremamente preveggenti e più che mai valide oggi. Vale la pena di soffermarsi un poco su di esse”. Quale onore!! Seguono alcune citazioni dal capitolo “Borghesi e proletari”, dove Marx ed Engels descrivono una borghesia giovane, spavalda, piena d’energia, alla conquista del mondo. Il giornalista ci parla poi dei marxisti successivi che, teorizzando la stagnazione produttiva del capitalismo, manifestano “Una costante ostilità verso la ‘globalizzazione’, che è vista come l’origine di tutti i mali. In questi ambienti si vorrebbe ritornare al passato [si vorrebbe cioè, per parafrasare Marx, “far girare all’indietro la ruota della storia”, diciamo noi!]. Certo, la globalizzazione ci pone di fronte ad un mare di problemi e di difficoltà, ci richiede infiniti cambiamenti e trasformazioni (anche nella mentalità), che non potremo fare senza sacrifici e senza sforzi; ma essa ci offre anche opportunità nuove, scenari nuovi, realtà assai più complesse e più ricche”. Ci risiamo! L’autore del pezzo (ma sono in molti, moltissimi, a farlo), crede nella giovinezza eterna della borghesia… Buon per lui!

 

E’ la volta di Repubblica (11 ottobre 2011), con un articolo dal titolo: “Marx a Wall Street”. Che inizia così: “C’è un nuovo guru i cui testi sono diventati un’ispirazione per Wall Street: è un tedesco barbuto, si chiama Karl Marx: a riscoprire l’autore del Capitale e del Manifesto del Partito Comunista non sono solo i giovani che da tre settimane protestano contro i soprusi dei banchieri. Il movimento 'Occupy Wall Street' è arrivato secondo in questa riscoperta. Il revival di Marx era già iniziato altrove: ai piani alti di quegli stessi grattacieli di Downtown Manhattan, contro cui i manifestanti gridavano i loro slogan. Michael Cembalest, capo della strategia d’investimento per la JP Morgan Chase, in una lettera riservata ai clienti Vip della sua banca scrive che i margini di profitto sono ai massimi storici da molti decenni e questo si spiega con la compressione dei salari. Cembalest riecheggia ampiamente l’analisi di Marx sulle crisi di sovrapproduzione provocate da un capitalismo che comprime il potere d’acquisto dei lavoratori”. L’articolo continua ancora per un po’ citando riviste che esaltano l’immagine di Marx e sentenzia con gravità: “Il pensiero marxiano torna a fiorire nelle aule universitarie e non solo nei corsi di scienze politiche e di storia che non lo avevano mai completamente dimenticato”.

A questo punto, il lettore intuisce che negli Usa, attorno all’immagine di Marx, ci sia un forte dibattito che coinvolge, se non tutta, una grossa fetta di società. Ma si scopre che non è la realtà. Le riflessioni sul marxismo rimangono chiuse nelle stanze ad uso e consumo dell’intellettuale. Infatti l’articolo ci avvisa che: “Per il grande pubblico di massa, la tv ha appena lanciato due serial praticamente sovversivi […] storie di ragazze spiantate che faticano per sopravvivere con i magri salari da cameriere e protagonisti che tramano vendette contro i banchieri”. Sempre lo stesso articolo (ancora potere della plurinformazione democratica?) continua col parlare del Movimento “Occupy Wall Street”, dell’era reaganiana, perdendo per strada, piano piano, il soggetto iniziale: Karl Marx. Grammatica o ignoranza?

 

Repubblica (8 gennaio 2012) ritorna su Karl Marx. L’autore dell’articolo comunica che in un bel palazzo di Berlino, al numero 22/23 della Gaegerstrasse, si trova l’Accademia delle Scienze, che sta riordinando scritti inediti (oltre 114! che ci sia anche la lista della spesa?) di Marx: “Sono scritti che i contemporanei di Marx vollero ignorare e che il marxismo-leninismo ufficiale preferì censurare”. Questa ci mancava! Il giornalista inizia il pezzo con questo tono: “Agitatore, rivoluzionario, profeta inflessibile della lotta di classe. Così è rimasto nella memoria del mondo. Invece no, fu soprattutto teorico e scienziato, politologo e pensatore critico sempre curioso, attentissimo persino alle scienze naturali e alle nuove tecnologie. Credeva nella democrazia e nella libertà di parola molto più di quanto non si pensi, le riteneva irrinunciabili”. Parafrasiamo: democrazia, democrazia, quanti delitti in tuo onore! Cita poi Hubmann, il responsabile di Mega (Marx-Engels Gesamt Ausgabe) che sottolinea: “Volume dopo l’altro, noi curatori di Mega scopriamo un altro Marx che non credeva nel materialismo storico e addirittura, in uno scritto, disse. ‘Tutto quello che so è che non sono un marxista’”. Insomma, un incrocio tra Socrate e chissà chi (oltre a citare in modo errato, ma soprattutto non inedito): dovremmo dilungarci sulla dialettica, ma non ci pare il caso, visto il livello medio dei narranti! Hubmann continua poi affermando che Marx ed Engels non teorizzavano un totalitarismo, ma erano per... la libertà di parola e il libero confronto tra le forze politiche e sociali. E dài! L’articolo conclude con: “Bentornato, caro vecchio Marx, e scusaci: troppi opposti estremismi del Ventesimo secolo ti avevano tramandato male. Arrivederci al 2020 (anno della pubblicazione degli inediti). Forse ci servirai quando chi sa che volto avrà il capitalismo”. Aspettiamo con ansia…l’uscita degli scritti? No, la ripresa della lotta di classe, che metta al posto giusto tutte queste fesserie.

 

Il Corriere della Sera (29 gennaio 2012) pubblica un pezzo che non lascia attenuanti al rivoluzionario Marx. A lui è riconosciuto “Il merito di aver analizzato e denunciato il carattere di ‘spietato sfruttamento’ del capitalismo ottocentesco […] i dieci punti programmatici elencati da Marx nel Manifesto, punti senza i quali non potremmo capire le democrazie in cui viviamo, si sono realizzati tutti e anche di più […] in una parola, il contributo di Marx alla democrazia”. Ci sentiamo tutti più buoni dopo questa profonda rilettura del Manifesto.

 

Concludiamo questa piccola rassegna stampa restando al Corriere della Sera (8 marzo 2012). Il titolo dell’articolo è: “La borghesia falso bersaglio”. Inizio filosofico-problematico: “Che significato ha oggi la parola borghesia? […] nel Manifesto del Partito Comunista Marx affermò che la società capitalista è incardinata fondamentalmente su due classi sociali: i borghesi (cioè i detentori dei mezzi di produzione) e i proletari (che vendono ai primi la sola cosa che posseggono: il loro lavoro). Questo schema dicotomico non veniva messo in discussione, secondo Marx, dall’esistenza di numerosi ceti intermedi […] perché questi sarebbero stati travolti assai presto dallo sviluppo capitalistico e sarebbero sprofondati nel proletariato […] a proposito […] la sociologia moderna ha parlato, più che di divisione in classi nettamente delimitate, di stratificazione sociale […] dunque la borghesia (se si vuole conservare questo termine, di dubbia utilità analitica) comprende vari e diversi strati sociali […] e perciò è svuotata del suo originario significato unitario”. Il messaggio è chiaro: senza borghesia non può sopravvivere né il proletario né la lotta di classe…Ma…sarà poi vero?

 

Eh, lo spettro: che paura!

 

 Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°05 - 2012) 

 

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