La divisione in classi nettamente distinte dai privilegi economici fa sì che il valore di un pronunziato maggioritario perda ogni valore. La nostra critica confuta l'inganno che il meccanismo dello Stato democratico e parlamentare uscito dalle costituzioni liberali moderne sia una organizzazione di tutti i cittadini e nell'interesse di tutti i cittadini. Essendovi interessi contrastanti e conflitti di classe non vi è possibile unità di organizzazione, e lo Stato resta, malgrado l'esteriore apparenza della sovranità popolare, l'organo della classe economicamente superiore e lo strumento della difesa dei suoi interessi. Noi vediamo la società borghese, malgrado la applicazione del sistema democratico alla rappresentanza politica, come un complesso insieme di altri organismi unitari, dei quali molti si raggruppano intorno al potente organismo centralizzato dello Stato politico, poiché sono quelli che sorgono dagli aggruppamenti dei ceti privilegiati e che tendono alla conservazione dell'attuale apparato sociale, altri possono essere indifferenti o mutare di indirizzo nei confronti dello Stato, altri infine sorgono nel seno dei ceti economicamente depressi e sfruttati e sono volti contro lo Stato di classe. Il comunismo dunque dimostra come la formale applicazione giuridica e politica nel principio democratico e maggioritario a tutti i cittadini, mentre persiste la divisione in classi per rapporto alla economia, non vale a dare allo Stato il carattere di una unità organizzativa di tutta la società o di tutta la nazione. La democrazia politica è introdotta con questa pretesa ufficiale, ma in realtà come una forma che conviene allo specifico potere della classe capitalistica e alla vera e propria sua dittatura, agli scopi della conservazione dei suoi privilegi. 
Non occorre dunque insistere molto sulla demolizione critica dell'errore per cui si attribuisce un eguale grado di indipendenza e di maturità al "voto" di ciascun elettore, sia esso un lavoratore sfibrato dall'eccesso di fatica fisica o un ricco gaudente, un accorto capitano dell'industria o un disgraziato proletario ignaro delle ragioni e dei rimedi delle sue ristrettezze, andando a cercare gli uni e gli altri una volta tanto per un lungo periodo di tempo, e pretendendo che l'aver risolto queste sovrane funzioni basti ad assicurare la calma e l'obbedienza di chiunque si sentirà scorticare e maltrattare dalle conseguenze della politica e dell'amministrazione statale.

(da “Il principio democratico”, Rassegna comunista, II, n.18, 20/2/1922)

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