Incontri pubblici a Berlino. In data 13/2, i compagni della sezione tedesca hanno tenuto un interessante e partecipato incontro pubblico sul tema “Crisi ambientale e crisi del capitalismo: Un capitalismo verde non è la soluzione!”. Nel corso dell’incontro, e poi in risposta alle numerose domande dei presenti, i compagni hanno ribadito le nostre classiche posizioni al riguardo e criticato apertamente riformismo e ambientalismo, in tutte le loro forme. Invece, il successivo incontro pubblico sul tema (molto caldo a Berlino, ma anche, più in generale, nella Germania tutta), delle mobilitazioni per gli affitti e contro la carenza di alloggi, previsto per il 16 aprile sempre a Berlino, non potrà avere luogo a causa delle restrizioni introdotte a seguito dell’epidemia di Covid-19.

 

Intervento all'Assemblea indetta a Roma dal S.I. Cobas. Sabato 8 febbraio, promossa dal Si Cobas, si è tenuta a Roma un'assemblea contro la repressione delle lotte di difesa economica e sociale, con il dichiarato intento di creare un coordinamento per la lotta contro la repressione. E’ intervenuto anche un nostro compagno e, in un  breve ma intenso intervento, ha affermato (cosa che dovrebbe essere ovvia) che quanto da molti viene costantemente denunciato (precarietà, morti sul lavoro, malattie professionali, distruzione ambientale e ogni altra nefandezza) in realtà ha un nome: “modo di produzione capitalistico“. A poco serve indignarsi e pretendere di riparare a tutto ciò chiedendo allo Stato (l’organo che gestisce questo modo di produzione) leggi più giuste. La stessa repressione ha un nome: modo di produzione capitalistico! Ed è proprio con la repressione che la classe dominante esercita la sua dittatura, che oggi si esprime nella democrazia parlamentare. Non si parli dunque di “diritto di sciopero”, anche perché allora ci sarebbe pure il… “diritto di crumiraggio” ! Lo sciopero, sia chiaro una volta e per sempre, non è un “diritto”, ma un'ARMA e come tale va usata! Il picchetto è l'unica espressione, oggi, della dittatura proletaria (e non dirittocrazia o democrazia  proletaria!): non a caso, il picchetto è sempre stato dichiarato illegale dalla borghesia, nei suoi regimi parlamentari o dittatoriali, in questo violento sistema capitalistico. Sono le lotte a costringere a ritirare provvedimenti repressivi onde far rifluire le lotte stesse. Il compagno concludeva dicendo che la lotta contro la repressione, ovvero contro il capitale (e il suo Stato), deve tenersi lontana sia dalle illusioni democratiche e riformiste sia dalla sterile indignazione.

Dalla Riunione Generale dell’1-2-3/11/2019 (seconda e ultima parte)

Continuiamo e concludiamo la pubblicazione del Rapporto (“Questioni di tattica”), tenuto alla Riunione Genrale di Partito (Bologna, 1-2-3 novembre 2019). La prima parte è uscita sul numero 1 del 2020 di questo giornale.

Dopo aver ripreso il Che fare?, facciamo un salto di vent'anni. Passiamo cioè dagli anni di una lotta di preparazione che ha permesso ai compagni russi di guidare, nel 1917, il processo rivoluzionario che, proprio perché sono riuscuti a imporre “il punto di vista comunista” al più vasto “movimento popolare”, non solo ha abbattuto lo Stato autocratico, ma ha anche strangolato nella culla il mostro dello Stato borghese, indicando così a tutto il proletariato nel resto del mondo gli obiettivi e gli strumenti per abbatterlo in ogni altro paese – passiamo dunque da quegli anni a quelli in cui, nonostante l'assestamento del primo Stato a guida proletaria uscito vincitore ma stremato da cinque anni di guerra civile e di aggressione imperialista, la sconfitta della rivoluzione in Ungheria e in Germania e il suo abortire in Italia segnano una battuta d'arresto del movimento rivoluzionario. Sono gli anni in cui si cerca di riorganizzare sotto le bandiere della Terza Internazionale il Partito Mondiale della Rivoluzione Comunista.

Siamo nel 1922, a cinque anni dal 1917. Il proletariato internazionale, nonostante sia ancora galvanizzato dal buon esito della rivoluzione in Russia, comincia a subire i colpi della reazione borghese. L’allargamento, l’estensione dell’insurrezione rivoluzionaria che, sentimentalmente, sembrava vicina e a portata di mano si affievoliscono, si allontanano. La borghesia nei paesi-chiave del suo dominio organizza la propria resistenza nazionale anti-proletaria, utilizzando tutti i potenti mezzi che ha a disposizione: dall’indispensabile attacco militare a quello economico. Ed è sul piano della riorganizzazione politica che consolida lo strumento del riformismo per rafforzare il proprio dominio. Se ai tempi del Manifesto si potevano ipotizzare altri partiti operai con uno scopo “analogo” al nostro, nel 1922 sarebbe dovuto risultare evidente che, proprio perché l’accoppiata Sindacato/Partito nella (volutamente) teoricamente confusa organizzazione di massa irreggimentava nella subordinazione all’ideologia della classe dominante la “maggioranza“ della classe operaia, i partiti “socialdemocratici” assumevano la funzione di carcerieri degli operai e l’eventuale “potere” da essi perseguito era diventato solo quello di fornire il personale meglio preparato per svolgere l’impersonale compito di garante e organizzatore dello Stato borghese: il cui governo, da “comitato d’affari” della classe dominante, è diventato l’esecutore degli interessi di uno Stato che si è trasformato nel “finissaggio” della fase imperialista: il Capitalista Collettivo. Diventa drammaticamente evidente che il proletariato è materialisticamente costretto a “fare la rivoluzione” di cui sentimentalmente percepisce gli scopi socialisteggianti, ma che non può fisiologicamente restare in uno stato di agitazione rivoluzionaria indefinita senza una vera guida che, per riuscire a indicare al momento opportuno lo sbocco necessario, sia in grado di mantenerlo [il proletariato] saldamente organizzato su obiettivi e con metodi di chiaro e assoluto antagonismo.. Nel 1922, il movimento rincula ed è lì che il Partito prova se stesso: se non è “facile” essere il partito che guida la montata rivoluzionaria, figuriamoci che cosa dev’esser stato dover agire mentre si doveva accompagnare questo primo rinculo…!

Una tetra sorta di euforico volontarismo invade allora l’Internazionale e alla concezione materialistica del rapporto tra Partito e Classe, cioè di una tattica che accompagna e dirige lo svolgimento (la Vita) del proletariato in quanto classe in sé, organizzandola e indicando come operativamente può e deve diventare classe per sé, subentra la caricatura di un partito che, come una parte della classe che si fa sempre più astratta da essa, al posto di dirigerla la manovra. La questione del Potere di Classe della dittatura del proletariato esercitata da organismi INDIRIZZATI E DIRETTI DAL PARTITO COMUNISTA, nuovi e diversi, che si strutturano mentre distruggono tutte le articolazioni del dominio borghese (compresi i partiti “operai”), si trasforma in un qualcosa di orrendamente diverso.

Aiutiamoci allora con “La tattica dell’I.C. nel progetto di tesi presentato dal PCd’I al IV congresso mondiale, Mosca, novembre 1922”. Citiamo:

“Le condizioni per il conseguimento degli scopi rivoluzionari dell’I.C. sono di natura oggettiva in quanto risiedono nella situazione del regime capitalista e nello stadio della crisi che esso attraversa, e sono di natura soggettiva per quanto riguarda la capacità della classe operaia a lottare per il rovesciamento del potere borghese e ad organizzare la propria dittatura con unità di azione: riuscendo, cioè, a subordinare tutti gli interessi parziali di gruppi limitati all’interesse generale di tutto il proletariato ed allo scopo finale della rivoluzione. Le condizioni soggettive sono di doppio ordine, ossia:

“a) l’esistenza di partiti comunisti dotati di una chiara visione programmatica e di una organizzazione ben definita che ne assicuri l’unità di azione

“b) un grado di influenza del partito comunista sulla massa dei lavoratori e sulle organizzazioni economiche di questi, che ponga in prevalenza il partito comunista rispetto alle altre tendenze politiche del proletariato

“Il problema della tattica consiste nel ricercare i mezzi che meglio consentano ai partiti comunisti di realizzare contemporaneamente queste condizioni rivoluzionarie di natura soggettiva, basandosi sulle condizioni oggettive e sul procedimento dei loro sviluppi”.

Aver perso questo orientamento, aver sostituito una tattica indiretta di preparazione rivoluzionaria legata all’obbiettivo della futura conquista del potere mediante la disarticolazione (abbattimento) degli organi del potere borghese con una tattica di manovre e alleanze con le espressioni politiche democratoidi e socialisteggianti delle mezze classi per “giungere” al potere (meramente governativo), hanno favorito la sconfitta del movimento operaio invece di accompagnarlo in un momento di ripiegamento, a partire dal cuore dell’imperialismo. E hanno preparato l’ascesa della controrivoluzione staliniana fino al definitivo sacrificio del proletariato nei suoi ultimi slanci potenzialmente rivoluzionari: 1926, sciopero dei minatori inglesi divenuto sciopero generale e, 1927, insurrezione proletaria in Cina.

Il consolidarsi della controrivoluzione democraticamente nazifascista nei principali Stati di vecchio capitalismo e staliniana in Russia durato circa 12 anni e culminato nella tragedia del secondo macello inter-imperialistico, proprio perché ha militarmente sconfitto l’avanguardia rivoluzionaria ha profondamente condizionato il movimento “spontaneo” del proletariato internazionale.

L’istituzionalizzazione delle organizzazioni sindacali non ha solo limitato al “livello tradunionistico” le rivendicazioni economiche, subordinandole alla sopravvivenza del modo di produzione capitalistico, ma ha anche trasformato il modo e il sentire con cui i lavoratori entrano in relazione con “Stato e padroni”.

Ora, compagni, non scandalizzatevi se utilizzeremo qualche intuizione di Errico Malatesta che anticipa alcune conseguenze della natura sociale della controrivoluzione :

“I borghesi, ed i governanti che li rappresentano e li difendono, lo sanno e veggono [vedono] la necessità, per evitare di essere sommersi in un terribile cataclisma sociale, di provvedere in qualche modo, tanto più che non mancano borghesi intelligenti i quali comprendono che la presente costituzione sociale è assurda ed in fondo dannosa a coloro stessi che ne sono beneficiari. […]

“La società attuale è divisa in proprietari e proletari. Essa può cambiare abolendo la condizione di proletario e facendo tutti comproprietari della ricchezza sociale, o può cambiare conservando questa condizione fondamentale, ma assicurando ai proletari un trattamento migliore. [...]

“Tutta la cosiddetta legislazione sociale, tutte le misure statali intese a ‘proteggere’ il lavoro ed assicurare ai lavoratori un minimo di benessere e sicurezza e così pure tutti i mezzi adoperati da capitalisti intelligenti per legare l’operaio alla fabbrica con premi, pensioni ed altri benefizi, quando non sono una menzogna e una trappola, sono un passo verso questo stato servile, che minaccia l’emancipazione dei lavoratori ed il progresso dell’umanità.

“Salario minimo stabilito per legge; limitazione della giornata di lavoro; arbitrato obbligatorio; contratto di lavoro avente valore giuridico; personalità giuridica delle associazioni operaie; misure igieniche nelle fabbriche prescritte dal governo; assicurazioni statali per le malattie, la disoccupazione, le disgrazie sul lavoro; pensioni per la vecchiaia; compartecipazioni agli utili; ecc., ecc., sono tutte misure per far sì che i proletari restino sempre proletari e i proprietari sempre proprietari, tutte misure che danno ai lavoratori (quando lo danno) un po’ più di benessere e di sicurezza, ma li privano di quel po’ di libertà che hanno, e tendono a perpetuare la divisione degli uomini in padroni e servi.

“Certamente è bene aspettando la rivoluzione – e serve anche a renderla più facile – che i lavoratori cerchino di guadagnare di più e di lavorare meno ore od in migliori condizioni; è bene che i disoccupati non muoiano di fame, che i malati e i vecchi non siano abbandonati.

“Ma questo, ed altro, i lavoratori possono e debbono ottenerlo da loro stessi, con la lotta diretta contro i padroni, mediante le loro organizzazioni, con l’azione individuale e collettiva, sviluppando in ciascun individuo il sentimento di dignità personale e la coscienza dei suoi diritti.

“I doni dello Stato, i doni dei padroni sono frutti avvelenati che portano con loro i semi della servitù. Bisogna respingerli” (E. Malatesta, “Le due vie. Riforme o Rivoluzione? Libertà o Dittatura”, da Umanità Nova, n°136/142/145, 1920).

Un anarchico può intuire, ma è difficile che dall'intuizione passi alla comprensione materialista, che troviamo invece nella sintesi potente del nostro Partito. Citiamo dunque un paio di passi da “Partito rivoluzionario ed azione economica” (1951), sempre per ricordarci contro che cosa dobbiamo combattere:

“Nella ripresa del movimento dopo la rivoluzione russa e la fine della guerra imperialista, si trattò appunto di fare il bilancio del disastroso fallimento dell’inquadratura sindacale e politica, e si tentò di portare il proletariato mondiale sul terreno rivoluzionario eliminando con le scissioni dei partiti i capi politici e parlamentari traditori, e procurando che i nuovi partiti comunisti nelle file delle più larghe organizzazioni proletarie pervenissero a buttare fuori gli agenti della borghesia. Dinanzi ai primi vigorosi successi in molti paesi, il capitalismo si trovò nella necessità, per impedire l’avanzata rivoluzionaria, di colpire con la violenza e porre fuori legge non solo i partiti ma anche i sindacati in cui questi lavoravano. Tuttavia, nelle complesse vicende di questi totalitarismi borghesi, non fu mai adottata l’abolizione del movimento sindacale.

“All’opposto, fu propugnata e realizzata la costituzione di una nuova rete sindacale pienamente controllata dal partito controrivoluzionario, e, nell’una o nell’altra forma, affermata unica e unitaria, e resa strettamente aderente all’ingranaggio amministrativo e statale. Anche dove, dopo la seconda guerra, per la formulazione politica corrente, il totalitarismo capitalista sembra essere stato rimpiazzato dal liberalismo democratico, la dinamica sindacale sèguita [continua] ininterrottamente a svolgersi nel pieno senso del controllo statale e della inserzione negli organismi amministrativi ufficiali. Il fascismo, realizzatore dialettico delle vecchie istanze riformiste, ha svolto quella del riconoscimento giuridico del sindacato in modo che potesse essere titolare di contratti collettivi col padronato fino all’effettivo imprigionamento di tutto l’inquadramento sindacale nelle articolazioni del potere borghese di classe […].

“Queste radicali modificazioni del rapporto sindacale ovviamente non risalgono solo alla strategia politica delle classi in contrasto e dei loro partiti e governi, ma sono anche in rapporto profondo al mutato carattere della relazione economica che passa fra datore di lavoro e operaio salariato. Nelle prime lotte sindacali, con cui i lavoratori cercavano di opporre al monopolio dei mezzi di produzione quello della forza lavoro, l’asprezza del contrasto derivava dal fatto che il proletariato, spogliato da tempo da ogni riserva di consumo, non aveva assolutamente altra riserva che il salario quotidiano, ed ogni lotta contingente lo conduceva ad un conflitto per la vita e per la morte.

“E’ indubitabile che mentre la teoria marxista della crescente miseria si conferma per il continuo aumento numerico dei puri proletari e per l’incalzante espropriazione delle ultime riserve di strati sociali proletari e medi, centuplicata da guerre, distruzioni, inflazione monetaria, ecc., e mentre in molti paesi raggiunge cifre enormi la disoccupazione e lo stesso massacro dei proletari; laddove la produzione industriale fiorisce, per gli operai occupati tutta la gamma delle misure riformiste di assistenza e previdenza per il salariato crea un nuovo tipo di riserva economica che rappresenta una piccola garanzia patrimoniale da perdere, in certo senso analoga a quella dell’artigiano e del piccolo contadino; il salariato ha dunque qualche cosa da rischiare, e questo […] lo rende esitante ed anche opportunista al momento della lotta sindacale o peggio dello sciopero  e della rivolta”.

Quest'ultima citazione conclude il Rapporto di oggi, ma non esaurisce certo la dinamica della tattica del nostro partito nel lavoro “a contatto con la nostra classe” e in quello di incontro/scontro con i “movimenti popolari e interclassisti”, inevitabilmente suscitati dall'instabilità, economica prima e sociale poi, del simpatico mondo del Capitale, nel quale abbiamo la ventura di sopravvivere!

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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