Dalla Libia all'Iran, passando attraverso la Siria e l'Irak, i venti di guerra soffiano con violenza sempre maggiore. Mentre continua il massacro di civili in Siria e Yemen (ma questo, oggi, a quanto pare fa meno notizia) e in Libia regna sempre più il caos di una guerra in gran parte per procura, con coinvolgimento militare e diplomatico dei principali attori imperialisti, i recenti episodi verificatisi su suolo irakeno e iraniano (l'uccisione mirata del generale Soleimani a opera degli USA, la reazione militare di Teheran, lo stesso “incidente” dell'aereo ukraino abbattuto “per errore”) sono altrettanti segnali di un acuirsi dei contrasti inter-imperialisti, e ciò indipendentemente dalle prevedibili svolte future o già in corso, dalle momentanee attenuazioni delle tensioni, dal costante lavorio dietro le quinte della diplomazia.

 

Come si sa (o si dovrebbe sapere), il Capitale non ama lo stato di guerra, ma vi è costretto, e ciò per questi motivi principali: la guerra agisce come controtendenza alla caduta del saggio medio di profitto, è uno dei mezzi cui ricorrono i Capitali nazionali per arginarlo o quanto meno rallentarlo (Marx, Il Capitale, Libro Terzo); la guerra può funzionare come potente fattore di mobilitazione patriottica, affasciando le classi intorno agli “interessi superiori del Paese” e soprattutto cacciando il proletariato nel vicolo cieco del nazionalismo.

Quest'ultimo punto va tenuto ben presente. La continua spettacolarizzazione della guerra e dei suoi effetti ha calcato molto la mano sulle oceaniche manifestazioni di cordoglio seguite, in Iran, all'uccisione del generale: ma in pochi si sono ricordati delle altrettante diffuse manifestazioni di piazza che da mesi hanno occupato, con morti e feriti fra i dimostranti, le strade irakene e iraniane, al cuore delle quali stava e sta il continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di grandi masse di proletari e mezze classi proletarizzate o in via di proletarizzazione. Noi abbiamo sempre accolto con entusiasmo queste manifestazioni, indicando in esse un ulteriore segnale del maturare delle insanabili contraddizioni del modo di produzione capitalistico; nello stesso tempo, però, ne abbiamo indicato lucidamente i limiti: la loro progressiva subordinazione a obiettivi democratici e piccolo-borghesi, il drammatico disperdersi di un energia potenzialmente classista nel fumo di costruzioni ideologiche riformiste e anti-proletarie. E abbiamo ribadito che, ben lontani dall'accodarci a esse o dal vedere in esse ciò che non sono e non possono essere (una del tutto immaginaria ripresa rivoluzionaria), proprio l'esplodere sempre più ravvicinato di quelle contraddizioni dimostra la necessità e l'urgenza di una seria preparazione rivoluzionaria del proletariato, e non affidata ai fuochi fatui di questa o quella, se pur generosa, “intifada”.

A fronte di questi episodi e del loro sicuro moltiplicarsi nei tempi a venire, al centro di questa preparazione rivoluzionaria, bisogna riproporre con forza l'unica posizione che permetta al proletariato internazionale di evitare d'essere trascinato ancora una volta in una guerra imperialista, come purtroppo avvenne ieri, con il tremendo massacro della Seconda guerra mondiale e il sanguinoso dopoguerra che lo seguì e in cui siamo tutt'oggi immersi. Questa posizione può SOLO essere la seguente:

-Il proletariato mondiale NON HA amici fra i briganti imperialisti e NON HA compiti nazionali o patriottici da svolgere

-Suo obiettivo è quello di schierarsi, NON da una parte piuttosto che dall'altra in un conflitto fra imperialismi, ma CONTRO la propria borghesia e A FIANCO del proletariato degli altri paesi

-Ciò implica riprendere con decisione la strada della lotta e dell'organizzazione di classe, rispondendo a ogni colpo e a ogni aggressione e sottoponendo a critica decisa il militarismo borghese e il pacifismo piccolo-borghese, premessa indispensabile per poter condurre una decisa azione di disfattismo rivoluzionario, sabotando ogni sforzo bellico della propria classe dominante.

Tutto ciò sarà possibile alla sola condizione (lo ripetiamo con decisione, consapevoli della drammaticità di un ritardo storico che ha molte cause e su cui siamo tornati più e più volte) [1]  che si rafforzi e radichi a livello mondiale il SUO partito, il partito comunista internazionale, unico punto di riferimento OBBLIGATO per le avanguardie di lotta che i crimini e i disastri del capitalismo non potranno non far maturare, spingendole a forza sulla scena della lotta di classe aperta. Solo così ci si potrà incamminare, in uno scontro necessariamente violento con il vecchio e marcio modo di produzione capitalistico, con lo Stato che lo rappresenta e lo difende e con i partiti e i movimenti che lo incarnano e lo sostengono, verso la necessaria PRESA DEL POTERE e instaurazione della DITTATURA DEL PROLETARIATO diretta dal suo partito, come ponte di passaggio verso la società senza classi, il COMUNISMO.

Se non si riconosce questa condizione e non si lavora per essa, continuando invece a credere nel “movimento” fine a se stesso, nell'automatismo fra crisi economica-crisi sociale-crisi rivoluzionaria, nel meccanico e metafisico emergere dalle lotte sindacali del partito rivoluzionario, nell'attesa messianica di un partito che, come un deus ex machina, compare dal nulla “quando la rivoluzione è matura”, allora l'ennesimo, sanguinoso disastro si abbatterà su tutto il mondo. E a farne le spese, ancora una volta, sarà la specie umana.

 

[1] Per esempio, “Profondità della crisi generale e ritardo storico della rivoluzione proletaria”, Il programma comunista, n.3/2019.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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