“Landini, che viene da una famiglia umile e a 15 anni ha iniziato a lavorare come apprendista saldatore in una cooperativa di Reggio Emilia, ha preso di mira i leader dei due principali partiti di governo: 'Abbiamo due vicepremier che dicono di volersi occupare di povertà e di lavoro, senza essere mai stati poveri e senza aver mai lavorato' ”. (Corriere della Sera, 28.01.2019)

Il neosegretario della CGIL è un personaggio a suo modo esemplare. Il flash biografico ce ne lascia una fotografia senza ombre: di origini proletarie, ha cominciato a guadagnarsi il pane giovanissimo da metalmeccanico e ha preso a militare nel sindacato di categoria dove, per meriti e capacità, ha fatto carriera fino a raggiungere il vertice. L'estetica da prete di periferia e l'eloquio veemente ne fanno l'immagine perfetta della Classe Operaia come appare nelle rappresentazioni oleografiche. Impeccabile. Forte di un tale presenza e di un tale cursus honorum, egli si sente in diritto di gettare un'ombra sui due protagonisti indiscussi della scena politica attuale, che nel confronto impietoso fanno la figura di perdigiorno, improvvisatori, mestieranti della politica.  Quei due “non sono mai stati poveri”.

L'accusa maligna, che può toccare la sensibilità di chi stenta ad arrivare alla terza settimana del mese, si sgretola alla prova di un modesto esercizio di intelligenza. Se valesse il principio: chi ha subito un intervento per un'appendicite sarebbe più adatto a compiere la stessa operazione di un chirurgo con l'appendice sana, sarebbe sufficiente un altrettanto modesto esercizio di memoria: qualcuno ha sentito parlare dei compensi dei vertici confederali? Quelli della CGIL sono altini, non astronomici, ma tempo addietro sono trapelate notizie su quelli della CISL... Risultò che alcuni dirigenti si avvicinavano ai 300mila euro annui. L'allora neosegretaria Furlan fu costretta a rendere pubblici i dati, ma il funzionario che denunciò lo scandalo fu espulso dal sindacato. La stessa Furlan risultò percepire la cifra non modesta di circa 130mila euro lordi,  escluse però le voci accessorie (1). Può darsi che sia stata in difficoltà economiche in gioventù, ma non si può dire che non le abbia superate brillantemente. Eppure nessuno nega alla stimata segretaria il diritto di parlare a nome dei poveracci. Che dire poi delle pensioni dei sindacalisti, che si sono riservati un margine di privilegio, come ogni casta che si rispetti, ma non hanno alzato un dito a difesa di quelle dei loro “assistiti” quando è arrivata la mazzata “Fornero”? Con tutto ciò, solo i due giovanotti, a detta di Landini, farebbero esercizio abusivo della professione di “difensori dei poveri”.

La seconda accusa suona più grave: non hanno mai lavorato. Questa è una colpa imperdonabile. Se poi si considera che la coppia di sfaccendati oggi ricopre addirittura ruoli di primo piano nel Governo della Repubblica fondata sul Lavoro, allora la Costituzione corre un grave pericolo di revisione dell'articolo 1.  Comprendiamo la preoccupazione del segretario, in effetti questo Lavoro che sta alla base di tutto gioca un po' a rimpiattino: c'è e non c'è, scompare, spesso non lo vedi perché è nero, altre volte si ripresenta ma dura quel che dura, talvolta se ne va all'estero. E' un po' come un amante che ti fa penare, che ti tiene sulle spine per quanto tu cerchi di compiacergli in ogni modo. Tant'è che su questa questione del Lavoro, a Landini è venuta una specie di fissazione; ovunque vada ripete lo stesso mantra: Lavoro, lavoro, bisogna creare lavoro, creare occupazione, bisogna fare investimenti, manca una politica industriale... (2)

Ma per quanto si sforzi di far salire l'invocazione in alto loco, e tutti gli diano ragione, la situazione non si sblocca, il lavoro non riparte, gli investimenti latitano... Pur continuando a sbattere il capoccione contro un muro, il Landini non molla: forse valutando che non ha senso scioperare quando di lavoro ce n'è già poco, ricorre alle processioni, un po' come era in uso un tempo nelle campagne per scongiurare il pericolo di siccità e cattivi raccolti. Masse di pensionati, disoccupati, precari, lavoratori con famiglie sono portate a sfilare nella grande città per sostenere il mantra che viene ripetuto ossessivamente dal palco in tutte le salse. Niente da fare: come ai tempi delle rogazioni, quando, in assenza delle giuste condizioni meteo, non voleva saperne di piovere, così i grandi cortei lasciano la situazione tale e quale. Visti i progressi della conoscenza, sarebbe opportuno chiedersi se i cambiamenti non riguardino solo il clima, se ci siano davvero le condizioni per far piovere tutto questo lavoro che manca, oppure no.  Le masse tornano a casa stanche e poco convinte (e qualcuno si sarà ben chiesto perché la contrarietà alla “Quota 100” meriti una così gran sfilata, e la legge Fornero a suo tempo sia passata a piazze deserte o quasi). 

Landini non si rassegna alla realtà: il capitalismo evolve, non è più quello di ieri; il lavoro dovrebbe produrre valore, l'investimento dovrebbe generare profitti... Non funziona più, almeno non più come una volta. Il lavoro produce sempre meno valore in rapporto al capitale investito, e viceversa gli investimenti richiedono sempre meno lavoro in rapporto alla massa di capitale utilizzata, il che si traduce in un eccesso di offerta di manodopera che aumenta e si cronicizza. Ecco perché ci sono sempre meno investimenti e c'è sempre meno lavoro, e quello che rimane è sempre più precario e meno pagato. E così, mentre la Guida dei Lavoratori si attarda a favoleggiare su una ripresa dell'occupazione e degli investimenti, il capitale è andato avanti, si è spinto oltre se stesso e in questo procedere sta minando le basi della sua esistenza. Se muore il Lavoro muore il Capitale. Landini sa che per salvare il Lavoro, e con esso il sindacato che vive contrattando il suo prezzo di vendita, deve salvare il Capitale. Si accontenterebbe di salvare il capitale nazionale, di irrobustirlo nella contesa con i capitalismi concorrenti, di attrarre capitali e investimenti con una opportuna politica industriale. Vien fatto di chiedersi come mai non vada d'accordo con i sovranisti al governo, visto che egli stesso è sostenitore di un sovranismo industriale. Tanto più che, se è vero che i due vicepremier “non hanno mai lavorato”, è ben vero che il governo che rappresentano ha preso provvedimenti, per quanto timidi e limitatissimi, che da tempo immemore  nessun governo si è nemmeno sognato di mettere in atto: nelle loro parole,  un "freno allo sfruttamento senza limiti del lavoro precario" consentito dal Jobs Act, "meno anni di galera salariale" da scontare per i lavoratori più anziani,  un "reddito generalizzato per i disoccupati"… Certo, è quanto di meno assomigli a una rivoluzione: ma dopo decenni di continui peggioramenti, salariati e disoccupati vengono illusi che... cambi qualcosa in meglio. Ma Landini mobilita le masse contro, dice che ci vuole molto di più, che manca una “vera politica industriale per rilanciare il lavoro in questo Paese”. Lui vuole rilanciare l'industria, vuole investimenti, teme che il Paese con questo reddito di cittadinanza, per quanto sia ricalcato sulla ruvida legislazione tedesca detta Hartz, scivoli nell'assistenzialismo (vivere senza lavorare? siamo matti?).

A scanso di equivoci, non saremo certo noi a prendere le difese dei due giovanotti che il segretario ha preso di mira. Entrambi sono espressione dello stato confusionale in cui è caduta la politica borghese, della sua incapacità di dare risposte al dramma sociale provocato dalla crisi. Il cinquestelle fantastica su un imminente boom economico e lo sradicamento definitivo della povertà dal Paese, il leghista proclama di passare con la ruspa su tutti i problemi di ordine pubblico senza andare tanto per il sottile. I disastri sociali della lunga fase neoliberista sono affrontati da un lato con modesti provvedimenti di stampo socialdemocratico, dall'altro con una dura stretta repressiva contro le manifestazioni di lotta operaia e le varie forme di “antagonismo”. Per quanto si stiano allargando le crepe di questa stramba unione contrattuale di governo, entrambi i contraenti fanno a gara a chi si mostra più deferente verso il padrone di sempre, l'Impresa, che si affannano a rassicurare con ogni sorta di promessa. Quello che i due perseguono per via governativa, Landini vorrebbe affidare alla concertazione, convinto che la collaborazione capitale-lavoro non solo sia auspicabile, ma necessaria per salvare entrambi, che sia possibile tutelare i “diritti” del lavoro e nello stesso tempo far marciare la valorizzazione e il profitto. Questa idea, sostanzialmente corporativa, è entrata in crisi da quando, con la fine della fase di sviluppo post-bellico, il capitale ha cominciato a scaricare sui proletari e sulle classi di mezzo le conseguenze della crisi sui profitti. Da allora i “diritti” del lavoro sono stati progressivamente erosi dai cambiamenti legislativi introdotti dai governi di tutti i colori e quelli che sopravvivono sono appesi a un filo. In tutti questi anni la collaborazione capitale – lavoro non è certo mancata (anzi!) e ha prodotto ottimi frutti... per il capitale. La concertazione ha fatto la sua parte nella liquidazione di ogni forma di lotta che si proponesse di andare oltre il limite della compatibilità con gli interessi capitalistici. Quello che è rimasto è un deserto che chiamano pace sociale. Evidentemente Landini vuole continuare su questa strada, vuole recuperare un ruolo attivo del sindacato nella gestione dei processi capitalistici, mentre i governi di ogni risma tendono a intervenire direttamente su questioni cruciali che riguardano lavoro, previdenza, ecc. (Jobs Act, Bonus, gli 80 euro di Renzi; oggi, i provvedimenti “sociali” del governo in carica e il salario minimo). La chiamano “disintermediazione sociale”. Succede che i rapporti di forza sono talmente sbilanciati a favore del capitale, che la funzione sindacale di pompiere delle lotte ha perso rilevanza. E paradossalmente, tanto più il sindacato svolge egregiamente il suo compito di contenimento e controllo e la lotta operaia latita, tanto meno il capitale gli attribuisce riconoscimento e importanza.

In questo quadro, a Landini interessa prima di tutto riaffermare il ruolo del sindacato. Quanto alla volontà di salvaguardare i “diritti del lavoro”, non possiamo negare a nessuno la buona fede, almeno in via di principio (3). Tuttavia,  entro questo processo inarrestabile di riduzione relativa e assoluta della forza lavoro applicata alla produzione, l'unica rivendicazione sensata sarebbe la riduzione generalizzata dell'orario di lavoro a parità di salario. Un sindacato che avanzasse una simile pretesa, e la sostenesse con la lotta organizzata, sarebbe assai poco concertativo... Invece no, la lotta “per il lavoro” vede andare a braccetto sindacati e Confindustria, solidali nel trasversale “partito del Pil”, per il quale ciò che conta è produrre più che si può, meglio ancora se con finanziamenti pubblici, come nel caso della insensata TAV.

Il sindacato ha a cuore la collaborazione, nella convinzione che ciò che è buono per il capitale è buono per gli operai, a patto che “si investa in innovazione”, si accettino “le nuove sfide produttive”, e via dicendo... Non essendo uno sciocco, Landini sa bene che gli investimenti in innovazione tecnologica, se da un lato generano nuove qualifiche professionali, dall'altro distruggono una quantità di lavoro maggiore di quella creata. Come la mettiamo allora con la “difesa del lavoro”? La contraddizione del sindacato è la stessa del capitale: il lavoro, fonte della valorizzazione, progressivamente scompare, mettendo in discussione la base stessa dell'organizzazione sociale. In un certo senso si comprende l'insistenza del sindacato sulla collaborazione: i destini dei due contraenti sono inseparabili finché si rimane entro questi rapporti di produzione.

Ma questi rapporti sociali, orientati al profitto e all'incremento della produzione senza alcun riguardo alle necessità reali della società, possono sopravvivere solo al prezzo dell'intensificazione dello sfruttamento, dell'aumento della miseria, della devastazione dell'ambiente. Ciò fa sì che una politica che promuova la collaborazione capitale-lavoro abbia i tratti della reazione. Reazionario è chi, in nome di un passato che non può tornare o di un presente senza futuro, vuole riaffermare o consolidare rapporti sociali superati dallo sviluppo storico. Reazionario è oggi chiunque voglia salvare una società indissolubilmente incatenata alla pena del lavoro salariato, quando è la stessa dinamica del capitale, suo malgrado, a minarne le fondamenta. La dinamica del capitale ha ridotto ormai il “diritto al lavoro” ad una utopia, ben miserabile di fronte alla prospettiva reale del passaggio all'attività libera e creativa che si svilupperà nella futura società di specie. I proletari che oggi lottano per il “diritto al lavoro” o per difendere con i denti quello che hanno, si scontrano quotidianamente contro questa dura verità: ogni piccola conquista, ogni piccola garanzia strappata all'avversario di classe sopravvive sotto la spada di Damocle del superiore diritto del mercato, delle sue presunte leggi “obiettive”. Ma in ogni lotta parziale c'è il germe della battaglia per la società futura, in ogni resistenza alle dure leggi del capitale si affermano le necessità vitali di uomini e donne reali che oggi combattono per riuscire a campare in questa società, domani saranno spinti a lottare per spezzarne le assurde catene.

Non è poi così casuale che Landini, in questa sua esecrazione dei fannulloni, si trovi nell'imbarazzante compagnia di Silvio, un altro che tuona contro gli incapaci che non hanno mai lavorato, mentre lui, si sa, lavorando giorno e notte, ha costruito un impero...  Incolmabile è invece la distanza che separa il segretario, uomo dall'immagine “di sinistra”,  da un tale che dovrebbe conoscere bene: Carlo Marx. La spiegazione più plausibile è che il gigante di Treviri non rientri nelle simpatie di Landini perché anche su di lui grava la colpa imperdonabile: non ha mai lavorato.

NOTE

1- Per notizie sull'argomento rimandiamo a “Landini versus Di Maio: sulle pensioni dei sindacalisti, chi ha ragione?” (Blog del Fatto quotidiano, 1 marzo 2019); “Le pensioni dei sindacalisti”, Inps (www.inps.it); “Maxistipendi dei dirigenti CISL. Com'è andata a finire?”, Contropiano.org,, 20 marzo 2018.

2  - “Landini: con le imprese un patto su lavoro, salari e investimenti”, Il Sole24ore del 3 marzo 2019.

3 - Per dirla tutta, qualche esempio di malafede l'ha dato anche l'Irreprensibile. In una recente trasmissione serale, rispondendo alle accuse su veri o presunti privilegi dei sindacalisti ha affermato, tra l'altro, che i loro compensi provengono dai versamenti degli iscritti (con la modalità già per noi deleteria della trattenuta in busta paga). E' una verità parziale. Per i dipendenti con distacco sindacale è prevista anche la retribuzione del datore di lavoro. Questa modalità è molto più diffusa nel pubblico che nel privato, ma è pienamente in vigore.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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