Sussidio familiare, salario minimo, lavoro temporaneo, sussidio di disoccupazione e di assistenza sociale, pensioni…

Politici e ideologi borghesi affermano di continuo che lo Stato sociale è “in crisi”: le casse sono vuote, la disoccupazione aumenta e a causa del cosiddetto “invecchiamento” della società i sistemi assistenziali nella loro forma attuale non sarebbero più finanziabili. Bisognerebbe ridurre le prestazioni e mettere sotto maggiore pressione i beneficiari affinché accettino lavori mal pagati allo scopo di ridurre la disoccupazione e i suoi costi, bisognerebbe aumentare l'età pensionabile, ecc., ecc.… Tutto ciò insieme alle campagne dei politici borghesi (e dei media filogovernativi che li sostengono) contro i cosiddetti “parassiti sociali”. L'esempio più famoso e divertente è la campagna sviluppata nel 2003 dal quotidiano “Bild” contro “Florida-Rolf”, un uomo che, grazie al sussidio sociale, avrebbe condotto “la bella vita” in Florida; segue, nel 2010, l'allora vice-cancelliere Guido Westerwelle con l’altra famosa campagna denigratoria contro i beneficiari del sussidio sociale Hartz IV 1: “Promettere benessere al popolo senza richiedere in cambio alcuno sforzo, è come lanciare un invito alla decadenza romana”2. Al momento, in Germania ci sono di nuovo richieste, da parte di istituzioni borghesi come la Banca centrale, di aumentare l'età pensionabile a 69 anni; è in discussione anche l'ulteriore inasprimento delle leggi riguardanti il sussidio sociale, mentre altri Stati europei consolidano “riforme” del mercato del lavoro sulla base del modello tedesco (ad esempio, il Jobs Act in Italia o le riforme francesi… “simili a quelle dell'Agenda tedesca del 2010”3).

Affermare che lo Stato sociale non sia più finanziabile è, proprio come la campagna denigratoria contro i “parassiti sociali”, un'ingannevole strategia che si serve di un risentimento social-sciovinista – in realtà, nella sostanza, si tratta di abbassare i salari, prolungare la vita lavorativa e obbligare i proletari per mezzo delle sanzioni ad accettare qualsiasi tipo di lavoro. È per questo che è necessaria una critica radicale alla politica di smantellamento del sistema sociale, all'ampliamento dei provvedimenti di sanzione e controllo e alla corrispondente musica d'accompagnamento politica (le varie “politiche di base”). Tuttavia, non è possibile sviluppare questa critica radicale, senza aver prima discusso della funzione fondamentale dello Stato sociale – da cui le domande: “Che cos'è lo Stato sociale? Che senso e che scopo ha?”. Soltanto partendo da questo presupposto sarà possibile comprendere le attuali modifiche dello Stato sociale e si potrà rispondere alle domande in modo adeguato, o almeno sviluppare una prospettiva di lotta di classe.

La classe dominante e l'invenzione dello Stato sociale

L'idea più sbagliata che brulica nella testa di molti è che lo Stato sociale sia stata un'invenzione o una conquista del movimento dei lavoratori che quindi bisogna difendere. Questo è non solo storicamente falso, ma rivela anche un'errata concezione della politica sociale dello Stato. Il primo a gettare le basi dello Stato sociale moderno fu Otto von Bismarck, cancelliere del Reich, con l'introduzione dell'assicurazione pensionistica-malattia-infortuni alla fine del 19º secolo. Il suo scopo era porre fine ai disordini, sottrarre terreno al socialismo e togliere le basi economiche alle assicurazioni sociali volontarie delle organizzazioni sindacali e religiose esistenti: i lavoratori dovevano essere vincolati allo Stato.

Con lo sviluppo dello Stato sociale, lo Stato ha creato uno strumento di comando e anche un organo di controllo per poter, prima di tutto, “addomesticare” per mezzo del lavoro coloro che non possiedono nulla, una pratica a cui assistiamo ancora oggi; e, in secondo luogo, per assicurarsi che il lavoro si svolga in un ambito determinato. Lo Stato detta, nell'interesse del capitale, le condizioni sotto le quali il lavoro deve svolgersi e regola a quali condizioni gli uomini possono essere esenti dal lavoro (ad esempio, in caso di lavori domestici, di provvedimenti di periodi di formazione, di malattia, per l'età, ecc.). Da allora, lo Stato sociale si è evoluto ed è stato perfezionato esattamente in questo senso.

Spesso, nella discussione si denuncia lo “smantellamento dello Stato sociale”: ma lo si fa erroneamente, in quanto non sarebbe lo Stato sociale in sé ad essere smantellato – verrebbero soltanto tagliate le prestazioni e contemporaneamente aumenterebbe la pressione esercitata sulla classe dei lavoratori. Inoltre, la sinistra borghese alimenta le illusioni sullo Stato sociale appellandosi allo Stato invece di comprendere l'unica prospettiva di miglioramento delle nostre condizioni di vita e di lavoro: la ripresa della lotta di classe.

La crisi generale del capitalismo e la “crisi dello Stato sociale”

Dopo la II Guerra Mondiale, il capitalismo conobbe un'eccezionale spinta economica. La crisi del capitalismo sembrava superata, la grande disoccupazione di massa appariva come un relitto di tempi andati. Quel periodo fu caratterizzato, soprattutto per i principali paesi industrializzati, da reali aumenti dei salari, riduzione della giornata lavorativa e ampliamento del sistema assicurativo sociale, e gli ideologi borghesi provarono a venderci il capitalismo come il migliore dei mondi possibili. Ma nulla ci è stato mai regalato: le conquiste sociali sono state ottenute con la lotta.

Gli anni d'oro del cosiddetto “miracolo economico” videro una classe operaia forte e consapevole e furono caratterizzati da un’acuta lotta di classe, durante la quale si giunse anche a occupare fabbriche. Solo così fu possibile imporre al capitale un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e ricevere di conseguenza almeno un po' di briciole, cadute dalla grande tavola del capitale. Come reazione ai conflitti sociali, lo Stato cercò, insieme ai “sindacati di regime”, di pacificare la classe aumentando le prestazioni sociali statali e introducendo una politica di partenariato sociale, e quindi di attaccare al carretto della democrazia il proletariato per integrarlo al capitale – cosa che purtroppo è riuscita fin troppo bene.

In realtà, la ripresa economica fu possibile principalmente grazie alla preparazione e alle conseguenze della seconda guerra mondiale: l'ampliamento e la modernizzazione dei mezzi di produzione a seguito delle immense spese di guerra, le violente distruzioni (di forze produttive, merci e forza lavoro) in molte zone dell'Europa, Asia e Nord-Africa e la conseguente ricostruzione furono i presupposti su cui il capitalismo riuscì a dispiegare una dinamica del genere.

Durante la metà degli anni '70, tuttavia, il capitalismo è di nuovo andato in crisi: da allora, il ciclo di accumulazione del dopoguerra si è concluso. Negli ultimi decenni, abbiamo assistito e subito un susseguirsi di violente crisi (una lista sommaria: la crisi economica mondiale degli anni '70 e '90, la crisi asiatica del '97, la crisi argentina del '98, la crisi della “new economy” nel 2000, la crisi immobiliare degli Stati Uniti nel 2007 e la crisi in Europa a partire dal 2010) e tentativi di salvataggio sempre più drammatici da parte del capitale e dei suoi Stati: anzitutto, l'eccessiva politica di gestione del debito pubblico, la liberalizzazione dei mercati finanziari così come di tutti gli altri mercati, le privatizzazioni e infine la politica del tasso zero o negativo adottata dalle banche centrali; poi, l'emissione di nuova moneta da parte della BCE e della Fed, oltre ai continui attacchi a tutta la sfera sociale e a una politica estera espansiva e aggressiva da parte delle nazioni dirigenti, accompagnata da immense spese militari e numerose guerre 4… Le ditte reagiscono alla crisi rendendo la produzione più flessibile 5 (con l'outsourcing, la delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo, il just-in-time e la progressiva automatizzazione), così come con altri attacchi alle nostre condizioni di lavoro. Tutto ciò allo scopo di aumentare i profitti, incrementare in qualche modo la crescita economica e risolvere la crisi: in realtà, la crisi è stata sempre risolta solo temporaneamente, per poi scoppiare di nuovo.

Soltanto sulla base della crisi generale del capitalismo si può comprendere l'attuale discussione sul rinnovamento dello Stato sociale. Afferma perfino la stampa: “La riforma [Hartz IV] non è stata mai un contributo al risanamento del bilancio, contrariamente alle promesse precedenti” 6. La riorganizzazione dello Stato sociale non scaturisce dalla necessità di alleggerire le finanze pubbliche, ma da quella di migliorare le condizioni di valorizzazione del capitale: è quindi una reazione immediata alla crisi del capitalismo, non alla “crisi dello Stato sociale”! Si tratta dell'aumento del plusvalore assoluto e relativo (per un aumento del tasso di sfruttamento del lavoro salariato), vale a dire: aumento dell'orario di lavoro, intensificazione del lavoro, riduzione dei salari e obbligo per tutti i lavoratori attivi di essere il più possibile a disposizione del mercato del lavoro. Lo Stato sociale è quindi, come già anticipato, LO strumento statale di comando, nonché l’organo di controllo necessario a imporre questi attacchi contro il proletariato (oltre al potenziale ricatto della disoccupazione di massa e della concorrenza in aumento, rispetto a lavori migliori).

Come di conseguenza viene ristrutturato lo Stato sociale

L'accorciamento della durata della scuola, della formazione professionale e universitaria, così come l'aumento dell'età pensionabile, un più rapido “trasferimento” dei disoccupati nel mercato del lavoro, la creazione di un settore a bassa retribuzione e la sovvenzione di forme di occupazione precarie; l'ampliamento del lavoro temporaneo, la produzione di forza lavoro di volta in volta poco o altamente qualificata in base alle esigenze del capitale, la migrazione a scopi occupazionali, il controllo dei lavori domestici e della divisione del lavoro in ambito familiare per mezzo di prestazioni per i figli a carico; assegni familiari, diritto tributario (scaglione fiscale) dei coniugi e sussidio Hartz IV e il contemporaneo aumento della pressione esercitata nei confronti dei beneficiari (le madri, ad esempio) perché siano sempre a disposizione del mercato del lavoro; un calo generale del livello salariale e l'aumento del carico di lavoro anche per proletari più o meno privilegiati, anche per mezzo di provvedimenti legislativi (per esempio, riduzione delle spese addizionali come i contributi dei padroni alla previdenza sociale), così come per mezzo di una crescente pressione verso lavori precari e per mezzo dell'Hartz IV, ecc.: tutti questi erano gli obiettivi dell'Agenda 2010, quasi completamente realizzata dal governo socialdemocratico di Schröder e portata avanti dal governo Merkel. Mentre in passato lo Stato sociale ha svolto in modo più forte il ruolo di strumento di pacificazione delle lotte di classe, in tempi di crisi diventa sempre più repressivo e viene impiegato per controllare direttamente e addomesticare il proletariato – uno sviluppo che abbiamo già potuto osservare durante il New Deal negli Stati Uniti e durante il fascismo in Germania7 e in Italia8.

Punto centrale dell'Agenda 2010 è la “quarta legge per le prestazioni di servizio moderne al mercato del lavoro”, anche detta “Hartz IV”, considerata “la più grande riforma sociale e del mercato del lavoro della storia del dopoguerra in Germania”, alla quale si sta lavorando ancora oggi9. Il nucleo della riforma consiste nella fusione del sussidio sociale e di quello di disoccupazione: la prestazione è finanziata dal gettito fiscale e spetta solo ai “bisognosi”. I lavoratori che versano contributi previdenziali hanno normalmente diritto, in caso di disoccupazione, a dodici mesi di sussidio10 (Arbeitslosengeld I) e successivamente al sussidio sociale statale chiamato Hartz IV; i lavoratori precari, invece, in caso di disoccupazione, passano immediatamente al sussidio Hartz IV, così come gli/le “Aufstocker_innen”, nome attribuito a coloro i cui stipendi non superano la soglia considerata minima per la sopravvivenza e che perciò ricevono il sussidio Hartz IV a compensare il salario insufficiente.

La quota normale ammonta a 404 euro mensili (nel 2016) escluse spese “adeguate” per l'alloggio che, incluso il riscaldamento, a Berlino per esempio, con riscaldamento a gas, non possono superare i 444 euro11. Si possono guadagnare fino a 100 euro extra senza ritenute; guadagnando da 100 a 1000 euro extra, si potrà tenere solo il 20% (per un totale massimo di 280 euro); dai 1000 ai 1200 euro solo il 10% (per un totale massimo di 300 euro). Con l'Hartz IV lo Stato sociale tedesco si trasforma in un rigido organo di controllo e repressione, dato che a queste prestazioni sociali si può accedere soltanto a determinate condizioni. Innanzitutto, bisogna aver prima consumato il cosiddetto “patrimonio accumulato” (i trentenni ad esempio possono possedere massimo 4500 euro) e a tal fine dare prova di tutto l'attivo (con estratti conto bancari, ad esempio). Quindi, chi in tempi migliori è stato previdente e ha risparmiato viene penalizzato. Inoltre, il richiedente deve dimostrare di non avere nessun familiare nella stessa casa (figli, genitori o partner) che provveda al suo sostentamento (che non esista un cosiddetto “nucleo sociale assistito”). Se nello stesso nucleo sociale assistito vivono più persone, le prestazioni si riducono: partendo dal presupposto che la necessità sia minore rispetto a quella di un single, vengono calcolate e ridotte anche le prestazioni per i figli a carico e tutti gli aiuti per il mantenimento. Per evitare “abusi”, degli addetti visitano senza preavviso l'appartamento dei conviventi non sposati e controllano regolarmente il traffico bancario dei beneficiari per verificare “incongruenze”...

E, last but not least, si richiede al beneficiario di rispettare l'obbligo di collaborare al collocamento firmando un “accordo di inserimento” con il Job center (se si rifiuta di firmare, lo si impone per procedimento amministrativo: quindi è praticamente la stessa cosa). Questo significa che, per esempio, dovrà candidarsi a offerte di lavoro mandate dal Job center e sarà obbligato a fare regolarmente domanda di lavoro (non mancano nemmeno le telefonate da parte del Job center per controllare!); tutti i tipi di lavoro sono accettabili, indipendentemente dalla propria qualifica professionale. È richiesta, inoltre, la partecipazione a “provvedimenti atti all'attivazione e all'inserimento lavorativo” (provvedimenti di qualificazione professionale, ma ad esempio anche l'obbligo a lavori “di utilità pubblica” pagati un euro l'ora, per provare la propria disponibilità al lavoro); infine, si dovranno rispettare gli appuntamenti regolari con il Job center per giustificare la propria situazione. Chi non rispetta i propri “obblighi” corre il rischio di essere sanzionato drasticamente (la prima volta ha una riduzione del 30%, la seconda volta del 60% e infine completa).

Per l'assistenza, la mediazione e il controllo di un esercito di 6 milioni di beneficiari del sussidio Hartz IV (2016)12 del Job center, più gli 800.000 beneficiari del sussidio di disoccupazione delle agenzie per il lavoro (Arbeitslosengeld I)13 e tutti i richiedenti respinti, è stato creato un apparato amministrativo gigantesco, per poter eseguire l'ininterrotta elaborazione di tutti i dati, provvedimenti e sanzioni, la suddivisione in diverse categorie, il profiling e infine l'integrazione forzata nel mercato del lavoro. In questo modo, il rinnovamento dello Stato sociale tedesco adempie al suo vero compito, contrariamente a quanto promosso dalle campagne inscenate dai media che hanno un grande impatto sull'opinione pubblica, secondo le quali lo Stato sociale non sarebbe più finanziabile. Stigmatizzati pubblicamente come parassiti e perseguitati dagli addetti, i proletari sono costretti ad accettare qualsiasi lavoro disponibile: il settore a bassa retribuzione sovvenzionato dallo Stato crea i lavori corrispondenti. Tutti coloro che si trovano ancora in situazioni di lavoro cosiddette regolari sono sottoposti a forte pressione e in parte spaventati e minacciati dall'idea di declino sociale: la forza combattiva collettiva del proletariato, così come le forme individuali di resistenza, sono state indebolite dal rinnovamento dello Stato sociale, il livello salariale si è abbassato mentre il carico lavorativo è aumentato. Negli ultimi anni, queste conseguenze volute dall'attacco da parte dello Stato sociale si sono fatte sentire in modo permanente, sul posto di lavoro e al Job center, così come in discussioni con colleghi/e e sindacalisti/e nelle aziende, e sono state documentate anche da numerosi articoli (ad esempio, quello sulla Opel a Bochum)14, libri e film (come quello sullo stabilimento Bosch-Siemens di Berlino)15.

La ripresa della lotta di classe è l'unica prospettiva

Considerati il forte attacco e il peggioramento delle condizioni sociali degli ultimi decenni, una buona parte della sinistra borghese continua a insistere nell'idealizzazione dello Stato sociale o propone presunti concetti alternativi come la conquista di un reddito di base incondizionato (BGE), un mondo del lavoro “autodeterminato” e una divisione “equa” del lavoro e della ricchezza materiale disponibile in eccesso: con il capitalismo, il lavoro finirebbe lo stesso a causa della robotizzazione. Cade intanto nell'oblio il vero carattere del capitalismo, quello di società classista antagonista, il cui unico senso e scopo è generare costantemente profitto sfruttando la merce forza lavoro e accumulare capitale. Responsabile della crisi strutturale del capitalismo è l'obbligo di dover utilizzare sempre più capitale e a questo scopo sfruttare sempre di più la forza lavoro umana, e dover aumentare sempre più velocemente la produttività. A ciò si aggiunge una quantità sempre maggiore di merci che sul mercato capitalista non si riesce a vendere. Questo processo si spinge sempre più al limite e negli ultimi decenni è stato offuscato da crisi di valorizzazione sempre più forti e dalla caduta del saggio di profitto. Questo (e non la mancanza di uguaglianza né la robotizzazione) genera sempre più attacchi alle nostre condizioni di vita e di lavoro, sempre più guerre, sempre più fuga, miseria e distruzione in tutti i Paesi del mondo. In un mondo del genere, non solo non c'è posto per le illusioni sopra citate, ma le cose possono solo andare ancor peggio…

Innanzitutto, la società borghese all'occorrenza è molto abile a fare propri concetti come il “reddito di base incondizionato” e a dimostrarne l'assurdità: ad esempio, nel presentare il BGE (Bedingungsloses Grundeinkommen, o reddito di base incondizionato) come il “reddito di cittadinanza” promosso dal partito favorevole alle imprese FDP (Partito Liberal-Democratico). Siccome sarebbe troppo poco per vivere in maniera decorosa, sarebbero tutti portati ad accettare lavori del settore a bassa retribuzione, con i quali nessuno potrebbe più sopravvivere. Si tratta di una sovvenzione e ridistribuzione del lavoro come tentativo “più creativo” di risolvere la crisi capitalista e la progressiva svalutazione di buona parte dei settori lavorativi: una nuova forma di gestione della povertà. I sostenitori di sinistra del BGE in questo contesto insistono invece su quote più elevate rispetto al sussidio per i cittadini; tuttavia, illudersi che lo Stato del capitale divida equamente lavoro e ricchezza “nell'interesse della maggioranza dei suoi cittadini” o che elimini totalmente il lavoro come condizione esistenziale della società dello sfruttamento, è da ingenui. Il problema centrale del capitalismo è proprio questo: che abbiamo a disposizione abbastanza ricchezza, progresso e benessere, ma questi vanno sempre meno a beneficio della popolazione e sempre più a beneficio di un meccanismo produttivo distruttivo.

In secondo luogo, questa illusione è proprio per questo fuorviante, pericolosa e del tutto assurda: né l’invocazione a un ipotetico stato borghese neutrale, né la collaborazione con organizzazioni filo-governative né la mistificazione della democrazia né i modelli ben intenzionati di rastrellamento e ridistribuzione riuscirebbero a contrastare gli attacchi del capitale. Essendo il capitalismo una società classista, le nostre condizioni di vita e di lavoro sono sempre una questione di rapporti di forza sociale tra le classi, quindi una questione di forza del proletariato e della sua lotta.

Per questo, la ripresa della lotta sociale è l'unica prospettiva. Il proletariato deve rendersi conto della propria forza e potenza e condurre una lotta di classe collettiva contro il capitale! Solo in questo modo sarà ancora possibile ottenere qualche concessione nei confronti del capitale in tempi di crisi. Per arrivare a tale obiettivo, è necessario chiudere con i sindacati di regime che, in quanto estensioni dell'apparato statale, tengono in conto solo il bene dell'economia nazionale e della società borghese, schierandosi sempre al fianco del capitale, là dove la classe dei lavoratori insorge più arrabbiata e agguerrita, e cercando di sabotare e pacificare le lotte. Per poter condurre con successo, le proprie lotte la classe dei lavoratori deve darsi nuove strutture sindacali, veri sindacati che non nascano attorno a una tavola rotonda, ma come risultato di lotte concrete.

Solo così sarà possibile di arrivare a mettere in discussione la società dello sfruttamento e dell’oppressione che si trova in una grave crisi strutturale e por fine a un sistema che attacca continuamente le nostre condizioni di vita e di lavoro, produce solo guerre, povertà e distruzione in tutto il mondo e istiga così i proletari gli uni contro gli altri con idee nazionaliste, razziste, sessiste, religiose e scioviniste, mettendoli in forte concorrenza tra loro e dividendoli in una disperata e sanguinosa lotta per la sopravvivenza.

E’ in questa prospettiva che opera il nostro partito, il Partito comunista internazionale.

1 Il nome deriva da Peter Hartz, un ex-direttore del personale della VW condannato per corruzione, che nel 2002 aveva creato una commissione omonima per trasformare il mercato del lavoro ai sensi dell'Agenda 2010.

4Per ulteriori informazioni sul ruolo della guerra nell'economia capitalista, cfr. il nostro articolo: “Capitalismo: un'economia per la guerra”, Il programma comunista, n.5/2013.

5https://www.produktion.de/technik/it/flexibilisierung-als-gelebter-standard-122.html

6http://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/wirtschaftspolitik/zehn-jahre-hartz-iv-deutschlands-groesste-sozialreform-als-dauerbaustelle-11855926.html

7Lo storico Götz Aly parlò a tal proposito di “Appeasement socio-politico” ed ha scritto un libro su questo argomento (Hitlers Volksstaat).

8Si veda anche il nostro articolo: “Esiste oggi un pericolo fascista?”: http://internationalcommunistparty.org/index.php/articles/1881-existiert-heute-eine-faschistische-gefahr

9http://www.faz.net/aktuell/wirtschaft/wirtschaftspolitik/zehn-jahre-hartz-iv-deutschlands-groesste-sozialreform-als-dauerbaustelle-11855926.html

10A partire da 24 mesi di contributi versati; da 50 anni in poi e 30 mesi di contributi fino a 15 mesi, da 58 anni e 48 mesi di contributi fino a 24 mesi.

11http://harald-thome.de/media/files/kdu,-ae,-but-rilis/KdU-Berlin---01.12.2015.pdf

12https://de.statista.com/statistik/daten/studie/242062/umfrage/leistungsempfaenger-von-arbeitslosengeld-ii-und-sozialgeld/

13https://de.statista.com/statistik/daten/studie/1377/umfrage/leistungsempfaenger-von-arbeitslosengeld-jahresdurchschnittswerte/

14http://www.rp-online.de/wirtschaft/unternehmen/opelaner-frust-uns-erwartet-hartz-iv-aid-1.1611831

15http://www.videowerkstatt.de/nc/detailseite_film/artikel/es-geht-nicht-nur-um-unsere-haut/

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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