A p.823 del Libro Primo del Capitale nell’edizione degli Editori Riuniti, c'è una nota, la 250, che così recita: “[…] Il capitale aborre la mancanza di profitto o il profitto molto esiguo, come la natura aborre il vuoto. Quando c'è un profitto proporzionato, il capitale diventa audace. Garantitegli il dieci per cento, e lo si può impiegare dappertutto; il venti per cento, e diventa vivace; il cinquanta per cento, e diventa veramente temerario; per il cento per cento, si mette sotto i piedi tutte le leggi umane; dategli il trecento per cento, si mette sotto i piedi tutte le leggi umane, anche pena la forca. Se il tumulto e le liti portano profitto, esso incoraggerà l'uno e le altre. Prova: contrabbando e tratta degli schiavi”.

Trasportare queste parole di circa 150 anni fa nel presente ed esattamente all'agosto del 2016 in Brasile, sede delle Olimpiadi, non è un azzardo, ma la conferma che il capitale è sempre uguale: un animale da profitto, poco importa come, quando e in che maniera; l'importante è far guadagno, anche in situazioni sfavorevoli: le Olimpiadi hanno evidenziato che la legge del “profitto” è un rullo compressore autolesionista.

 

Due considerazioni veloci

La prima. Il Brasile è in recessione, con la caduta del 3,8% nel 2015 e quest'anno, salvo sorprese, di un altro 3,5; i costi dell'evento sono raddoppiati, da 10 a 20 miliardi di dollari. La conseguenza è presto detta: lo Stato di Rio, che ha sopportato una quota importante di spesa, si è già dichiarato in “emergenza finanziaria” e le casse federali son dovute intervenire con un prestito urgente di 2,9 miliardi di real, circa 880 milioni di euro. Questa realtà non solo è di casa a Rio de Janeiro, ma in decine di amministrazioni pubbliche, costrette a raschiare il fondo del barile per pagare i debiti, lasciati anche dai Mondiali di calcio di due anni fa (la festa del pallone costò 11 miliardi di euro: tutti a carico delle casse pubbliche). Aggiungiamo che il governo federale aveva stanziato, con il Decreto “emergenza pubblica”, 828 milioni di euro a favore dello stato di Rio: soldi che sono stati spesi esclusivamente per le opere legate alle Olimpiadi, a scapito degli stipendi pagati in ritardo ai dipendenti statali, dagli ospedalieri ai.. poliziotti.

E che dire dell'occupazione?

I Giochi hanno creato 120mila posti di lavoro: ma l'80% è destinato a scomparire con la chiusura della manifestazione. Intanto, il tasso di disoccupazione continuerà a crescere per effetto della crisi economica: voci insistenti danno i senza lavoro vicini al 13%, mentre nel 2015 non superavano l'8%.

Giunti a questo punto, arrivano anche i “senza pietà”, coloro che affondano sempre più il coltello nella piaga e puntano il dito contro il Comitato Olimpico Internazionale (CIO), che sette anni fa scelse il Brasile come sede. Ora il CIO è costretto a difendere la scelta, finanziando il comitato organizzatore, in difficoltà per saldare le fatture di alcuni fornitori per un valore di alcune migliaia di euro.

Concludiamo, calando il sipario su questa tragedia greca (di Olimpiadi pur sempre si tratta!!) e citando la Banca d'affari Euler Hermes, del gruppo tedesco Alliaz: “Tra il 2015 e il 2017 il debito pubblico brasiliano passerà dal 74% al 98% del Pil”.

Seconda considerazione. Da subito era stato denunciato il metodo con il quale tutti i lavori erano svolti, che, come prevedibile, corrispondeva agli interessi di affaristi e speculatori. Gran parte dei lavori furono affidati a due grosse società di costruzione: la Carvalho Hosken e la Odebrecht, ditte che hanno dirottato i soldi nelle zone più ricche della città a scapito della periferia, dove dal 2009 gli sgomberi per far spazio alle infrastrutture nuove hanno coinvolto oltre 77mila persone (vedi Il Programma Comunista”, n.4/2015).

Ci sarà da ridere!

(I dati sono tratti da L'Espresso, del 7 e 21 agosto 2016).

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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