Europa e crisi economica mondiale, autonomia di classe e necessità primaria del partito rivoluzionario

 

Che l’Europa – questo mito borghese e piccolo-borghese che ha riempito di sé il secondo dopoguerra – sia sempre più a pezzi è evidente a tutti. Si moltiplicano le tendenze centrifughe, reali o minacciate; gli strappi effettuati manu militari (Ucraina) restano ferite aperte; un giorno sì e un giorno no, si parla di guerra e del ruolo “ingombrante” della Germania (come nelle recenti “esternazioni” del primo ministro inglese Cameron e dell’ex sindaco londinese Johnson); cresce, con tutti i suoi effetti disastrosi a livello individuale e collettivo, la disgregazione sociale, che comincia a colpire anche ampi strati di mezze classi, e con essa si diffondono livori populisti e sciovinisti, reazioni irrazionali, violenze e soprusi; si erigono barriere e si ripristinano confini, si sospende per mesi lo “spazio Schengen”; e la cosiddetta “crisi dei migranti”, con le sue drammatiche scene quotidiane e il continuo, osceno rimpallo di responsabilità, è utilizzata e strumentalizzata per approfondire divisioni e contrapposizioni, accuse e ricatti...

La cosa non ci sorprende. Dalla fine del secondo macello imperialista mondiale, noi parliamo dell’Europa come “giungla di nazionalismi” 1, e in quanto tale impossibilitata a darsi un qualunque assetto unitario e centralizzato. Mercato e moneta unici non sono infatti sufficienti a coprire la realtà di un capitalismo che, mentre si diffonde in ogni parte del globo (con quella “globalizzazione” che non è storia di oggi, ma che lo accompagna fin dalla nascita), conserva oggettivamente una base nazionale e questa, in tempi di crisi, fa sentire con forza il proprio peso, nel gioco complesso e spietato della competizione di tutti contro tutti.

Questa situazione è poi parte integrante della più generale crisi del sistema capitalista, e riguarda non solo l’Europa, vaso di coccio tra vasi d’acciaio: la Cina è in continua “frenata”, termine pudico usato dai media internazionali per non dire “recessione”; l’India e il Giappone non se la passano meglio; l’Africa è sempre più terra di conquista e distruzione da parte del capitale internazionale; il Medio Oriente paga con il sangue la propria collocazione geo-politica, strategica ed economica; e che dire di quei “fari del socialismo del XXI secolo”, secondo la congrega dei tanti beoti nostrani? in Brasile, il solito, penoso balletto democratico degli scandali e scandaletti non riesce a coprire la realtà di una profonda crisi economica e sociale, mentre in Venezuela serpeggia ormai la fame nuda e cruda, con i generi di prima necessità che scompaiono uno dopo l’altro…

In quest’Europa a pezzi che tormenta gli incubi notturni della borghesia e delle mezze classi, non mancano però i primi sintomi interessanti di fratture sociali. In Francia, la mobilitazione contro la “legge sul lavoro” è stata (e continua a essere, mentre scriviamo a fine maggio) ampia e decisa, con manifestazioni dure e diffuse, accompagnate (com’è naturale!) dalle consuete alte lamentazioni sui casseurs, sul “ricorso alla violenza”, sui “metodi non democratici” dei dimostranti... Altre manifestazioni (sugli stessi temi: attacco alla classe lavoratrice, licenza di licenziare, precarietà e flessibilità, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro), si sono svolte in Belgio e in particolare a Bruxelles, nonostante che la città sia stata militarizzata dopo i sanguinosi attacchi da parte del cosiddetto “terrorismo islamico”. Sono segnali incoraggianti, che noi comunisti osserviamo e salutiamo con entusiasmo, sforzandoci di essere, nei limiti delle nostre forze, presenti almeno come fattore di chiarificazione e orientamento, se non ancora di organizzazione e direzione.

A questo proposito, in merito alle lotte di questi settori “nazionali” del proletariato europeo (e domani, c’è da auspicare, mondiale), vale la pena di sottolineare una dinamica che si ripete e che va tenuta ben presente. I mezzi di comunicazione hanno dato ampio risalto alle cosiddette Nuits Debout, le “notti in piedi”: cioè, la discesa in campo di un multiforme aggregato piccolo-borghese che, in parte sul modello americano (“Occupy”), in parte su quello spagnolo (“Indignados”), ha riempito dei soliti imbelli rituali le piazze notturne di molte città francesi. Quest’evidente reazione al progressivo sfaldamento delle mezze classi viaggia parallela al riscaldarsi della situazione sociale e tende a sovrapporsi, inglobare, smorzare e infine soffocare l’acutezza e determinazione della risposta proletaria: si tratta della stessa dinamica, sia pure molto più in piccolo (perché lo “stato sociale” funziona ancora da ammortizzatore principe) di cui hanno fatto le spese i movimenti proletari tunisino ed egiziano, esplosi negli anni passati e presto inglobati e snaturati dalle “primavere arabe”.

Le avanguardie di classe devono seriamente considerare questa tendenza, implicita nella dinamica sociale che si sviluppa in risposta alla crisi profonda del sistema capitalistico: devono operare per delineare e difendere l’autonomia di classe contro l’abbraccio mortale di quel magma indifferenziato, popolare e populista, democratico e pacifista e, nella sostanza, anti-proletario, che è tipico delle mezze classi in agonia, contrapponendovi la sempre più necessaria prospettiva classista e internazionalista: il nemico è in casa nostra, ma “casa nostra” è il mondo! E’ questo, e altro non può essere, il senso del nostro internazionalismo!

Di fronte all’oscena spietatezza della “crisi dei migranti” con la quotidiana e inaudita sofferenza di masse enorme di esseri umani sradicati, feriti, dispersi, di fronte al ripresentarsi sulla scena di lotte coraggiose ma ancora fragili nell’organizzazione e limitate nell’estensione, si ripropone l’urgente bisogno di un’effettiva solidarietà internazionale alla lotta di qualunque settore proletario “nazionale” che infine prenda in mano le sorti della propria condizione – una solidarietà non a parole, con i soli proclami e le sole dichiarazioni, ma nei fatti, nei duri ma appassionati e appassionanti fatti della lotta di classe: scioperi di solidarietà, raccolta di fondi, picchetti e blocchi della produzione, delle merci e dei trasporti, nella viva percezione che l’attacco a uno è un attacco a tutti.

Ma, per difendere, ampliare e consolidare quest’autonomia di classe in una prospettiva classista e internazionalista, sempre più necessaria è la presenza del partito rivoluzionario, forza attiva e operante fondata su teoria e prassi, fattore essenziale di organizzazione e direzione. Non si può lavorare a quell’autonomia, senza operare per raggiungere quest’obiettivo con metodo e continuità, decisione e pazienza. Chiunque cerchi di aggirare, rimandare, nascondere il problema del rafforzamento e radicamento del partito rivoluzionario si pone dall’altra parte della barricata.

1 Cfr. anche soltanto “Europa, giungla di nazionalismi”, il programma comunista, n.2/1958; e “Il mito dell’Europa unita”, il programma comunista, nn. 11, 12/1962.

 

 

Partito comunista internazionale

                                              (il programma comunista)

 
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