“Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente. L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci. […] La realizzazione del lavoro [nel prodotto, NdR] si presenta come annullamento in tal maniera che l'operaio viene annullato sino a morire di fame. L'oggettivazione si presenta come perdita dell'oggetto in siffatta guisa che l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande sforzo e con le più irregolari interruzioni. L'appropriazione dell'oggetto si presenta come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale. […] Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso. L'operaio ripone la sua vita nell'oggetto; ma d'ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questa attività, tanto più l'operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all'esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per sé stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea. […] (Secondo le leggi dell'economia politica [borghese – NdR], l'estraniazione dell'operaio nel suo oggetto si esprime nel fatto che quanto più l'operaio produce, tanto meno ha da consumare; quanto maggior valore produce, tanto minor valore e minore dignità egli possiede; quanto più bello è il suo prodotto, tanto più l'operaio diventa deforme; quanto più raffinato il suo oggetto, tanto più egli s'imbarbarisce; quanto più potente il lavoro, tanto più egli diventa impotente; quanto più il lavoro è spirituale, tanto più egli è diventato materiale e schiavo della natura).

L'economia politica [borghese – NdR] nasconde l'estraniazione insita nell'essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l'operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l'operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l'operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l'altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l'operaio idiotaggine e cretinismo. […]

E ora, in che cosa consiste l'alienazione del lavoro? Consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l'operaio solo fuori del lavoro si sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. E’ a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione. Infine l'esteriorità del lavoro per l'operaio appare in ciò, che il lavoro non è suo proprio, ma è di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, non appartiene a se stesso, ma ad un altro. Come, nella religione, l'attività propria della fantasia umana, del cervello umano e del cuore umano influisce sull'individuo indipendentemente dall'individuo, come un'attività estranea, divina o diabolica, cosi l'attività dell'operaio non è la sua propria attività. Essa appartiene ad un altro; è la perdita di sé. Ne viene quindi come conseguenza che l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare, e tutt'al più ancora l'abitare una casa e il vestirsi; e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale”.

 

(da K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Primo manoscritto, “Il lavoro estraniato”, Einaudi, pp.71-75)

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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