Non sappiamo ancora se la storia che andremo raccontando in queste righe è una storia triste o meno; ovvero, non sappiamo ancora se stiamo raccontando gli eventi che hanno portato alla chiusura di una fabbrica o la vittoria (provvisoria) di un gruppo di operai che ha cercato di respingere con la lotta l'attacco del padrone. Ma procediamo con ordine.

Alla riapertura a settembre, la Titan, multinazionale americana nel campo della metalmeccanica, con stabilimenti a Valsamoggia di Crespellano (provincia di Bologna) e Finale Emilia (provincia di Modena), consegna ai propri operai la richiesta di aprire la cassa integrazione per un periodo di 13 settimane. I lavoratori rispondono con l'immediata proclamazione dello stato di agitazione e una serie di scioperi. Questa ferma risposta porta a un primo tavolo informale fra dirigenza e Rsu. I rappresentanti degli operai rigettano la richiesta dell'azienda e si dichiarano disponibili ad accettare solo 3 settimane di cassa. L'incontro si risolve in un nulla di fatto.

Ignoriamo quali ragionamenti e quali dati siano circolati negli uffici dirigenziali in quei giorni e nei giorni precedenti. Sta di fatto che la Titan decide di gettare la maschera concertativa all'incontro in Confindustria a Modena il 16 ottobre. Qui, in modo spiccio, presenta alle Rsu una serie di slides, il cui riassunto è: “Chiusura dello stabilimento di Valsamoggia”. Contemporaneamente, il padronato consegna agli operai un piano dove c'è scritto che 56 dipendenti rimarrebbero al Reparto freni a Valsamoggia, 62 verrebbero trasferiti a Finale Emilia (46 km di stradine di campagna immerse nelle nebbie della piana bolognese, un’ora e venti di strada) e 75 verrebbero licenziati. Nel frattempo, la Titan invia agli organi competenti una richiesta di “licenziamento collettivo” di 186 dipendenti a Valsamoggia, da applicarsi con mobilità a partire dal 2015.

Tornati in fabbrica, gli operai decidono di respingere le richieste della loro dirigenza e intensificano lo stato di agitazione: presidio permanente, rallentamento dei ritmi di lavoro, blocco delle merci in uscita.

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Fino a questo momento, gli operai sono uniti. Ora bisogna aprire un inciso per comprendere meglio le dinamiche intercorse al loro interno, che hanno portato dall’unità alla spaccatura. In altre parole, dobbiamo parlare del ruolo svolto dalla FIOM in questa faccenda. Il caso ha voluto che l'inizio dei fatti coincidesse temporalmente con alcune scadenze della FIOM bolognese e con la cronaca della spicciola polemica politica quotidiana. Ci riferiamo alla presenza del tutto casuale a Bologna del segretario generale Landini (che di certo non vi è accorso per dar man forte agli operai Titan: da tempo, l'agenda prevedeva la sua presenza in città), legata alle polemiche intercorse, in quei giorni, fra lo stesso Landini e il presidente del Consiglio: volendo mostrare i muscoli e avendo a disposizione a pochi km una fabbrica in lotta, il segretario decide così di non sprecare l'occasione. Si precipita davanti i cancelli e inizia a spararle grosse: “occupazione della fabbrica, lotta dura, bum... bum!”. La presenza del “capo operaio” e le sue parole roboanti confortano una parte maggioritaria degli operai Titan, che inizia a credere che forse l'aria è cambiata, che la FIOM ha deciso di scendere sul terreno della vera lotta.

L'unità degli operai è ancora presente, la lotta continua compatta, ma in realtà inizia a correre una prima crepa: i molti credono a Landini, i pochi no, ma in nome dell'unità i pochi decidono di non esprimere apertamente i propri dubbi. Quello che, nella concitazione dei primi giorni, sfugge quasi del tutto è che, mentre Landini le spara grosse, davanti alle telecamere il grigio funzionario di zona afferma ben altro e da subito derubrica le parole del capo da “lotta” a mera “trattativa sul quanto” (1). Trasferitisi in altre lande il tonante Landini e con lui gli echi delle sue alte polemiche, sul territorio sono restati i Lanzichenecchi di sempre: ed essi, in un giro vorticoso di valzer e in un tempo brevissimo (non più di 10 giorni), ribaltano di 180° la propria originale posizione e da “occupatori e lottatori” si rivelano, come sempre accade e come è nella loro intima natura, “pompieri”.

Finito quest’inciso, ci si permetta di aprirne subito un altro. È ora di essere molto chiari e netti. Non si può trattare la FIOM con il “rispetto” che le si doveva negli anni ’20 del ‘900: quell’organizzazione manteneva una specificità operaia, tanto che gran parte dei suoi quadri veniva selezionata nel fuoco delle lotte. Da molti anni ormai la FIOM è diventata, nei suoi quadri e vertici, un “semplice” luogo di lavoro, un posto dove far carriera, spesso una rampa di lancio per carriere ancora più redditizie. La FIOM oggi è un apparato parastatale che coopta dall'alto yes-men che hanno pochi giorni di lavoro in fabbrica e, in proporzione sempre maggiore, neanche un giorno di lavoro fuori dal sindacato – uomini così avulsi dal mondo operaio, dalle condizioni reali dentro le fabbriche, da comportarsi sempre come freddi burocrati pronti a svendere le condizioni di vita e di lavoro di masse proletarie per conservare i propri privilegi e il proprio ceto. Chiusi tutti gli incisi.

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La situazione evolve velocemente. Il blocco in uscita delle merci inizia a causare significativi danni economici e così il padronato comincia a fare la voce grossa avanzando diverse minacce, fra cui l'intervento delle “forze dell'ordine”. La FIOM, a questo punto, vira. Pur continuando a sostenere a parole l'azione operaia, intraprende, contemporaneamente, un'azione di aperto disfattismo anti-operaio: dà man forte alla tesi dei padroni su un possibile intervento delle “forze dell'ordine”. Ma i lavoratori non indietreggiano, e allora la FIOM è costretta a gettare del tutto la maschera e a concludere la propria virata, diventando, da “oppositore”, primo sponsor delle richieste aziendali.

Ai primi di novembre, si entra in un’altra fase. Il sindacato, spalleggiato dalla maggioranza Rsu, diffonde apertamente sfiducia e illusioni: arriva a far circolare sottobanco voci di cifre di 50-60mila euro netti per chi non si oppone al licenziamento e accetta di abbandonare la fabbrica... Naturalmente, son tutte balle, ma il fronte operaio subisce uno sbandamento, dovuto anche al contemporaneo allentamento del blocco delle merci, giustamente interpretato dagli operai come un pericoloso cedimento alle richieste aziendali. Le maestranze Titan riescono comunque a raddrizzare la barra e fra gli operai comincia un passa parola con il rifiuto delle proposte aziendali e la volontà di continuare la lotta con i medesimi presupposti. A questo punto, l'unità operaia è solo apparente. Dieci giorni di lavoro ai fianchi da parte di FIOM e maggioranza Rsu hanno dato i loro frutti: ora non si parla più di salvare i posti di lavoro, o se ne parla molto meno; ora s’inizia a discutere se le cifre sono sufficienti per il proprio licenziamento. Altro elemento di debolezza è rappresentato dallo schieramento di chi non vuole trattare sugli esuberi – uno schieramento che in questa fase non riesce a dar vita a un organismo di lotta, perché ancora prigioniero dell'illusione dell’“unità”.

L'azienda e la FIOM decidono di imprimere un’ultima accelerazione. L’incontro previsto per il 17/11 viene anticipato al 10: al tavolo, l'azienda ribadisce la propria richiesta e la FIOM, ora in compagnia degli altri due porcellini (FIM e UILM, presenti a Finale), accetta gli esuberi (saliti ora a 85) e i trasferimenti e tenta una prima forzatura nello stesso pomeriggio. Nell'assemblea successiva, con gli operai, i sindacati subiscono una prima delusione: l'accordo viene ampiamente contestato e, vista la malaparata, i sindacati decidono di annullare ogni votazione e di aggiornarsi alla mattina successiva.

Stessi attori, stessa recita: tavolo di confronto sindacati-padrone, riproposizione dell'accordo, ma con cifre alla mano. Ebbene, non più 60mila netti, ma 45 o 30 lordi, a seconda della prontezza con cui si accetta la proposta, e poi fuori con non più di un anno di cassa integrazione (e va sottolineato come non solo i sindacati accettino quattro soldi, ma, cosa più grave, avallino l'infame meccanismo che, se un operaio non decide della propria vita in soli 20 giorni, gli si decurta un terzo della “buonuscita”: pesante ricatto per metterlo immediatamente con le spalle al muro). Ma le responsabilità della FIOM sono ancora più pesanti. Questi signori, che si riempiono tutti i giorni la bocca di parole come “diritti”, “democrazia”, “rappresentatività”, continuano senza alcun mandato fino alle 3 di mattina del giorno 12 la compilazione dell'accordo da imporre agli operai cheek to cheek con i padroni.

Quella stessa mattina, con l'inizio del primo turno, le Rsu convocano la prima assemblea. Ai partecipanti distribuiscono l'accordo in 14 punti, lo spiegano, naturalmente infarcendolo di un sacco di cose che sull'accordo non ci sono e omettendone altrettante che invece ci sono, e poi chiedono l'immediato voto con scrutinio segreto da effettuarsi nelle successive 24 ore, e così ripetono per le assemblee dei due turni successivi. Il fronte degli oppositori, pur contestando apertamente l'accordo, non è in numero sufficiente per impedire che il voto avvenga o non avvenga in un così breve lasso di tempo.

Si passa quindi alle chiamate individuali, si cercano le persone con situazioni precarie o prossime alla pensione per convincerle a firmare, non ci si trattiene da alcuna meschinità, si continua a parlare di oppressione e di possibili denunce, si ridicolizzano le forze (poche in verità) che dall'esterno solidarizzano con gli operai, e si passa poi decisamente alle “minacce”: se dalle urne dovesse uscire vincitore il no all'accordo, la FIOM abbandonerebbe a se stessi i lavoratori. Insomma, nulla è troppo lurido per questi Lanzichenecchi.

E siamo alla notte del 13/11. Le urne si aprono e da esse esce il seguente responso: 111 sì, 58 no. Tolti gli impiegati calcolati in circa una trentina, la situazione è di una netta frattura fra gli operai. La battaglia è stata persa, ma forse non era nemmeno mai iniziata. Fino alla notte del 13, il maleficio FIOM ha funzionato: ma ormai è rotto, e così entriamo nella terza fase della lotta.

Nella stessa notte dello spoglio, fuori i cancelli, una trentina di operai improvvisa una lunga assemblea insieme ai compagni presenti: si assiste forse alla nascita di un fronte operaio deciso a continuare la vertenza. Durante l’assemblea, vengono denunciate con forza e con dati alla mano gravi irregolarità nel voto, tali da poterlo invalidare – che non è un cedimento a rivendicazioni democratiche, poiché, pur di intralciare padroni e sindacati, è giusto che tutto faccia brodo... E qui ci dobbiamo fermare, perché “del futur non v'è certezza”. La cronaca s’interrompe per il momento al 15 novembre, ma torneremo sulla vicenda.

Note

(1) http://www.youtube.com/watch?v=m60sVhFvkAw

I compagni della sezione di Bologna, che hanno seguito da vicino tutte queste fasi della lotta alla Titan, hanno distribuito il seguente volantino:

TUTTI A CASA SI... MA SU BASE VOLONTARIA!

Tre settimane sono passate da quando la dirigenza Titan ha inviato a tutti voi operai di Crespellano una lettera di mobilità. Ai vostri rappresentanti, nel corso del tavolo di Confindustria tenutosi a Modena il 16 ottobre, è stato presentato un piano che prevedeva: 75 esuberi, 62 trasferimenti nello stabilimento di Finale Emilia, mentre 56 operai dovrebbero rimanere nel reparto freni a Crespellano.

La reazione iniziale di tutti voi è stata unitaria e determinata: sciopero bianco, con relativo forte rallentamento della produzione e blocco delle merci in uscita. Per ben due settimane avete reagito in maniera incisiva e poi... E poi sono arrivati i pompieri, i pompieri mascherati da amici e da compagni. Ma al di là dei fatti nudi e crudi, la vostra energia è stata incanalata su un binario morto. Secondo le loro scellerate abitudini hanno strombazzato ai quattro venti una “prima” vittoria: pagamento degli stipendi di ottobre (capirai! E’ atto dovuto!) e in seguito hanno esposto, quasi fosse un miracolo, un “nuovo” piano: 75 esuberi, 62 trasferimenti nello stabilimento di Finale Emilia, mentre 56 operai dovrebbero rimanere nel reparto freni a Crespellano.

Quale la differenza con le richieste iniziali padronali? I 75 esuberi saranno su base volontaria!
Ecco la grande vittoria FIOM, "su base volontaria", e si badi bene che l'accordo è ancora più scellerato in quanto, per ottenere quel "su base volontaria", si è dovuto mettere nero su bianco ciò che prima aleggiava solo nell'aria, l'azienda pretende di inserire da subito nell'accordo anche 90 esuberi nello stabilimento di Finale Emilia.


Operai! Compagni!
Guardate in faccia la realtà così com’è, fuori dalle macchinazioni padronali e sindacali. La Titan Italia non da oggi ha iniziato la procedura di totale chiusura degli stabilimenti (già 100 di voi pochi anni fa sono stati espulsi). Ieri 100, oggi altri 160, domani i rimanenti 200. Ogni volta la vostra forza è stata dimezzata e il piano padronale presto o tardi coinvolgerà tutti voi.
Che cosa vi aspetta fuori da questi cancelli? Miseria, disoccupazione cronica, precarietà con salari e stipendi da fame. Non lasciate nelle mani di altri il vostro destino. Non lasciate che la vostra combattività sia resa vana da accordi che non sono accordi ma sono solo la volontà padronale mascherata.
Costruite con le vostre forze il vostro futuro. Lottate con la stessa determinazione di ieri ma per un futuro diverso da quello che domani, lunedì 10 novembre, padroni e sindacati vorrebbero imporvi.
Non dimenticate che la condizione di miseria e disperazione ha accompagnato e accompagna tutti i proletari che hanno avuto in passato fiducia in loro. Quante chiusure di fabbriche hanno sulla loro coscienza?
Lottate determinati e organizzati: in questa lotta non siete soli. Tutti noi lavoratori siamo ormai nella stessa barca e solo unendoci troveremo la via per respingere oggi l’attacco e rispedire al mittente l'amaro calice della miseria che ogni giorno ci servono.

- Azzeramento di ogni attuale delega

- Rifiuto di ogni accordo che preveda anche un solo licenziamento

- Creazione di un comitato di lotta con l'assemblea permanente dei lavoratori come unico ambito decisionale

- Designazione dei vostri nuovi rappresentanti nell’attuale vertenza


- Revocabilità immediata di ogni delega per chi dovesse tradire la volontà di lotta espressa dai lavoratori

- Unità di lotta con i compagni di Finale Emilia

- Rottura dell’isolamento imposto dai funzionari sindacali e unione con le altre realtà in lotta nel territorio

Queste le premesse organizzative necessarie per condurre la vostra lotta in modo determinato ed efficace in difesa delle vostre condizioni di vita e di lavoro.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2014)

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