Marx riprende a mero scopo polemico dagli economisti borghesi la tesi del capitalismo nel quale capitalisti e salariati intervengono in posizione egualmente libera sul mercato e dimostra con la sua analisi economica del capitale che questo svolgimento libero condurrebbe non ad un equilibrio sociale ma alla crescente concentrazione dei mezzi di produzione e della massa dei prodotti nelle mani della classe capitalistica da una parte, alla miseria crescente dei lavoratori dall'altra parte. Ma la contesa è dal primo momento d'ordine sociale, la sua dinamica anch'essa non è tra categorie economiche, tra capitale costante e capitale variabile, e le due non combaciano. Il proletariato non sa a quanto ammonti il capitale variabile che egli rivendica, ma lotta per ottenere una quantità superiore di prodotti, e quindi salario maggiore per meno sforzo.

La lotta unitaria di classe è per tutto il prodotto. Mentre l'economista corrente definisce capitale il valore del fondo della fabbrica o dell'impianto e macchinario e del denaro con cui far fronte all'anticipazione di acquisto di materie prime e salari, formula che ben collima con quella della proprietà titolare del “mezzo di produzione”, l'economia marxista chiama capitale tutto il valore della massa del prodotto di un dato ciclo lavorativo, di un giorno, di un anno o delle generazioni (il “fatturato” dei contabili).

Tale valore del prodotto si smista in tre parti nella dottrina del plusvalore: capitale costante = valore della materia prima lavorata e dei logorii diversi di attrezzatura; capitale variabile = valore dei salari pagati; plusvalore = margine che si aggiunge ai primi due termini, in modo che la somma dei tre è il valore del prodotto sul mercato, che va all'imprenditore. La lotta del proletariato non è, come dice Marx distruggendo le illusioni lassalliane dei socialisti germanici, lotta per “l'intero frutto del lavoro” personale. Non si tratta di conquistare il solo campo del plusvalore.

D'altra parte, non tutto questo in una economia collettivista andrà al consumo: occorrono cento utili servizi sociali e il nuovo investimento per il progresso produttivo. Infatti, solo in parte il plusvalore va al consumo personale dei borghesi, il più va a nuovo investimento; ma il disastro dell'economia capitalista supera di gran lunga la massa dei plusvalori e consiste nelle masse di prodotti che vanno a distruzione con l'intero capitale costante, variabile, e margine.

La vera lotta proletaria è per la conquista sociale di tutto il prodotto. Il capitale costante è frutto del lavoro di generazioni passate: esso deve essere strappato alla classe borghese e andare al proletariato vincitore, ossia tendenzialmente alla società senza classi; il capitale variabile è il lavoro degli elementi sociali attivi, ossia della classe operaia oggi, della società domani. Il plusvalore sorge dalle energie di lavoro attuali e dalle risorse tecniche organizzative che anche sono “eredità” del passato e che devono essere a disposizione sociale. La classe operaia al potere oggi, la società domani, useranno ai fini generali tutta la massa del prodotto antico e immediato.

Antagonismo quindi di classi e di loro formazioni armate e politiche, non di cifre che rappresentino la spartizione tra classi della ricchezza.

 

(da “Lezioni delle controrivoluzioni”, Punto 44, 1951; ora in Lezioni delle controrivoluzioni. Classe, partito, stato nella teoria marxista, Edizioni Il programma comunista, Milano 1994)

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista)

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