In data 14/5, la Commissione Garanzia sullo Sciopero, “in risposta alla nota prefettizia […] con la quale veniva richiesto un parere in merito alla eventuale qualificazione giuridica, in termini di servizio pubblico essenziale, dell'attività svolta dalla Cooperativa Work Project di Sasso Marconi (Bo), presso i magazzini CTL di Cadriano-Granarolo dell'Emilia (Bo)”, ha ritenuto che “le operazioni di scarico e carico della merce deperibile e dei generi alimentari di prima necessità, ai fini di dell'approvvigionamento della collettività (ed, in particolare, per l'approvvigionamento di mense, scuole, asili, cliniche e grande distribuzione), costituiscono, a tutti gli effetti, una attività di carattere 'strumentale' rispetto all'erogazione del servizio pubblico essenziale del Trasporto merci”. In quanto tali (continua il “parere” della Commissione), esse rientrano nel “settore disciplinato – quanto alle modalità di esercizio degli scioperi – dal Codice di autoregolamentazione del 20 giugno 2011”.

Per una volta, diamogli ragione e facciamo finta che sia vero: la lavorazione di latte e latticini, il loro confezionamento, il carico e lo scarico dei prodotti, sono servizi essenziali per i bambini, per gli anziani, per gli ammalati, sono mezzi di alimentazione che non possono mancare nelle case e negli ospedali. E infatti, con pedante solerzia, la Commissione di Garanzia sullo sciopero nei servizi ha emesso il suo… paterno parere. Ma chi sono i soggetti cui la Commissione di Garanzia intende offrire la sua Santa protezione? Sono la S.p.A. Granarolo di Carpiano, l’Aster Coop del Gruppo Centrale Adriatica di Anzola (Bo), la Cooperativa Trasporto Latte. Per la loro “intrinseca moralità” produttiva, le raccomandiamo al giudizio “severo ma giusto” dei proletari che ne subiscono il peso. Le lotte che da quasi un anno si svolgono nella logistica, da Pioltello a Carpiano, da Piacenza ad Anzola, e che vedono i proletari al centro di dure manifestazioni organizzate dal S.i. Cobas hanno raggiunto lo stato visibile dello scontro di classe per quanto limitato sia il fronte di lotta. Il padronato ha chiamato all’appello lo Stato perché impedisca gli scioperi e s’imponga la regolamentazione d’urgenza: la lotta sarebbe lesiva del diritto della cittadinanza di ricevere i prodotti alimentari. E per provare la sua determinazione licenzia quaranta lavoratori. Come rispondere a quest’ultima, ennesima provocazione, dopo che le squadre dell’Ordine hanno attaccato ripetutamente i lavoratori in lotta? La prima mossa è smentire qualunque presunta “finalità sociale” della produzione. Quelle “entità” chiamate “ditte” non producono latte e latticini, non li confezionano, non trasportano, non scaricano e caricano, non hanno alcuna cura della bontà dei prodotti. Esse investono solo denaro-capitale, che gli Istituti di credito prestano loro. Quelle figure societarie che si avvalgono di un concreto diritto di sfruttamento e di appropriazione dell’energia lavorativa non hanno alcuna parte nella questione, se non quella della “funzione parassitaria” del capitale nel processo produttivo. La loro pretesa di essere parti giudicanti e quindi titolari di una fantasiosa “responsabilità sociale e morale” a protezione dei bimbi e degli anziani, è una menzogna. In quanto tale, questa pretesa deve essere schiaffata in faccia ai responsabili dell’azienda. Essi rappresentano la parte più inutile del processo produttivo, la parte interessata solo ai dividendi, responsabile di tutti i disastri che avvengono nelle attività produttive e in particolare dei sacrifici che lo sciopero comporta per gli stessi lavoratori che difendono le proprie condizioni di vita e di lavoro.

 

No alla regolamentazione dello sciopero, sostenuta e approvata da organizzazioni sindacali  trasformate in Corporazioni dello Stato! Lo sciopero non è un diritto, ma un’arma di lotta. Chiunque osi togliere dalle mani dei lavoratori in lotta questo loro mezzo di difesa va attaccato e punito duramente.

 

 

 

Le aziende intascano il profitto, le banche intascano l’interesse sul capitale, prodotti dello sfruttamento. Sindacati, presidenti, impiegati di vario grado hanno il compito della Sorveglianza e del Controllo affinché la Produzione vada avanti senza intoppi. L’azienda è parte essenziale e integrante del Libro Paga del Capitale finanziario. L’obiettivo della Ditta non è il consumo sociale, ma il Profitto. Se così non fosse, “i tempi di produzione” dovrebbero essere allungati per avere prodotti di qualità, la “massa produttiva” dovrebbe essere commisurata al Bisogno effettivo, i lavoratori dovrebbero lavorare un numero di ore enormemente inferiore e complessivamente un numero maggiore di lavoratori dovrebbe alternarsi nell’attività lavorativa e godere della luce, godere del riposo, invece d’essere costretto alla catena a vita per 8-10 ore (più gli straordinari). Lo sfruttamento dei lavoratori è la causa prima dell’attuale crisi di sovrapproduzione, della disoccupazione di massa, dei licenziamenti, della miseria generale, della lotta per la sopravvivenza, della repressione. Ciò che importa ai padroni è il consumo schizofrenico e forzato dei lavoratori, carne ed energia da dissipare e logorare senza alcuna interruzione per poter accumulare profitti crescenti (produttività, intensità del lavoro, orari, ritmi ne sono i parametri).  Lo si veda dalle migliaia e migliaia di morti e feriti ogni anno a causa del lavoro da schiavi.

 

L’obiettivo del capitalismo non è il consumo, non è il bisogno, ma unicamente il profitto, ottenuto con lo sfruttamento del lavoro umano. La Granarolo e i suoi servi sindacali e politici osano in modo infame servirsi dei bambini, degli anziani, degli ammalati, come Scudi umani per il loro profitto, attaccando le lotte in difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori.

 

 

Solo dei servi e dei miserabili agli ordini dei padroni (in primo luogo, le organizzazioni sindacali di regime, ormai Corporazioni dello Stato, da cui intascano prebende, mazzette) possono esibire Piani di lavoro (=Piani di sfruttamento) in piena concordia con i padroni della Confindustria e contrattare “Codici di autoregolamentazione degli scioperi”, definendo “obbligo verso la società” da parte dei lavoratori la consegna dei prodotti del lavoro, quando è chiaro che la proprietà sui prodotti non è sociale, ma un affare privato, e che la vendita dei prodotti non è diretta al fine del consumo “dei bimbi, dei vecchi, degli ospedali” (e non potrebbe mai esserlo), ma a quello di riempire il portafogli delle Associazioni a Delinquere  chiamate S. p. A., associazioni senza scrupoli, per le quali produrre Alimenti, Auto, Armi, Droghe e Merda, non hai mai fatto alcuna differenza.

 

Il Capitale non ha l’obbligo della riconsegna gratuita dei prodotti del lavoro umano alla Società: la proprietà sui prodotti non è sociale, ma privata, la loro distruzione è ancora un affare privato.  Tutto è nelle mani di una minoranza: mezzi di produzione, materie prime, energia, prodotti. Tutta la terra è nelle loro mani: si abbatta il Capitale una volta per tutte!

 

 

I protagonisti di diritto privato, Sindacati e Confindustria, e quelli pubblici con la mediazione dello Stato organizzano la massa immensa dei lavoratori salariati e impongono il loro sacrificio di lavoro per il profitto delle decine di migliaia di capitalisti e strozzini. Il denaro non ha la virtù di rigenerarsi e produrre profitti. Senza lo sfruttamento del lavoro non ci sarebbero né latte né latticini. Il denaro non crea latticini e formaggi, non crea mozzarelle. Tutti sanno che i veri creatori della ricchezza sono i lavoratori. I padroni o i sorveglianti sindacali interni e quelli politici esterni alle fabbriche, come tutti i negrieri, hanno il compito di forzare l’uso intensivo della forza lavoro.  Le organizzazioni sindacali, il cui compito dovrebbe essere quello della difesa dei lavoratori dallo sfruttamento, si danno a contrattare, delimitando le “pretese operaie” e impedendo ai lavoratori di difendersi. Le organizzazioni politiche e la magistratura che a livello centrale curano gli interessi degli sfruttatori, i prefetti e le forze di polizia che eseguono gli ordini, si prendono cura perché la lotta rimanga entro i limiti della “pace sociale” per la classe dominante.  E tuttavia, alla fine del ciclo produttivo, questi parassiti s’impossessano dei prodotti tentando di realizzare il profitto, come se quei prodotti fossero usciti dalle loro mani e dalla loro fatica.

 

Lo sciopero è un’arma di lotta e come tale va considerato e usato. Senza organizzazione e centralizzazione della lotta, senza la creazione di una direzione forte e coesa, tutto crolla. Niente va lasciato alla spontaneità.

 

 

I padroni e le autorità, la polizia e i crumiri, non hanno altra funzione all’interno dell’azienda che la sorveglianza, la punizione (le multe) e il controllo arrogante sui tempi e sui ritmi, sulla produttività e sull’intensità del lavoro. I padroni, e non lo sciopero, impediscono che il prodotto del lavoro umano venga distribuito gratuitamente: in base al loro ordine, essi riducono alla fame e alla povertà la popolazione. Che il mondo perisca, se non si ha Profitto! Gli imprenditori e i loro servi rappresentano i kapò della fabbrica, una razza miserabile.

 

Coloro che producono morte tra i lavoratori, coloro che inquinano distruggendo la vita di tutte le specie viventi, coloro che affamano e spingono al suicidio, che producono miseria e guerra, osano intimidire i lavoratori! La si faccia finita con un modo di produzione distruttivo!

 

 

E’ ormai un luogo comune: tutti costoro distruggono quel che toccano, perché impongono una fatica del tutto asociale – la mancanza di protezione, l’insicurezza, l’assenza di igiene. In nome del profitto, permettono che i prodotti siano spesso avariati e scaduti, impongono una condizione irrespirabile, tossica, cancerogena nei luoghi di lavoro. Il loro disprezzo per la nostra specie nasce dallo sfruttamento dei lavoratori, da cui scaturisce anche la sfiducia dei lavoratori in se stessi, la paura di lottare, il senso di colpa, l’inerzia e l’assuefazione. Per questo motivo, la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari è una condizione primaria, la più coerente azione di difesa della vita umana, della socializzazione, dell’umanizzazione. Ma quella classe che distrugge quel che tocca ha creato purtroppo anche una parte del proletariato a propria immagine e somiglianza: un suo clone, un’aristocrazia operaia micidiale. Nella sua miserabile schiavitù fisica e morale, essa deve non solo assoggettarsi e assoggettare i compagni di lavoro, ma deve anche rappresentarsi come affermazione positiva del Lavoro salariato, come affermazione progressiva della propria Ascesa sociale. L’aristocrazia operaia e produttiva è un esempio della condizione della vita operaia ridotta a servitù.

 

 

1) Istituire immediatamente una cassa permanente di sciopero. 2) Allargare il fronte di lotta dei lavoratori a tutte le categorie e a tutti i settori a livello nazionale, creando organismi territoriali di lotta unitari. 3) Stabilire contatti di lotta tra i lavoratori d’ogni nazione.

 

 

E’ condizione primaria che i lavoratori non cadano nella trappola metafisica, moralistica, operaista: “Si diano le fabbriche agli operai, si faccia in modo che i lavoratori dirigano  le fabbriche,  che vengano  organizzate da ‘gente per bene’, e tutto si risolverà! Lo schiavo salariato avrebbe il potere di risolvere il problema: la sua mano, il suo lavoro, la sua sensibilità, il suo disinteresse, la sua professionalità possono  dare alla merce un carattere ‘umano’. I latticini e le mozzarelle assumerebbero allora la sostanza di un umano bisogno”. E’ falso! Finché le merci avranno un Valore, un Prezzo, fino a quando lo stesso Lavoro umano come merce avrà un valore, non avverrà la “rivoluzione del bisogno”, perché nel capitalismo il bisogno è la sostanza stessa della “produzione per nessun bisogno”. Nemmeno i lavoratori, in quanto tali, possono sfuggire alla contraddizione di tutte le merci, alla loro stessa essenza disumanizzata.

 

Che fascismo e democrazia si incontrino non è un “difetto”, ma la normale espressione di una società divisa in classi, una delle quali oppressa. L’abbattimento del modo di produzione capitalistico trascinerà con sé anche fascismo e democrazia, facce della stessa medaglia.

 

 

Dopo aver trasformato i lavoratori pubblici in sudditi dello Stato restringendone le azioni di difesa, ora si vuole allargare a tutti i lavoratori quella regolamentazione. La regolamentazione del “diritto di sciopero” è solo un mezzo di transito verso il divieto dello sciopero: esso è scritto nei princìpi del riformismo. Quando nacque, lo sciopero non era un diritto: era un atto di ribellione, un’arma contro i padroni, contro lo sfruttamento, contro condizioni di vita e di lavoro divenute insopportabili. Non si trasforma una forza vitale, una necessità imperiosa di difesa delle proprie condizioni di vita, in un diritto, in un codice di leggi, che imponga limiti a quella difesa. La regolamentazione legale di un rapporto di lavoro  schiavistico o il suo divieto rappresentano l’affermazione della sua necessità ineluttabile. Nel divieto dello sciopero o nella sua regolamentazione, l’oppressione schiavistica si definisce eterna. Che fascismo e democrazia s’incontrino non è un “difetto”, ma la normale espressione di una società divisa in classi, una delle quali oppressa da un modo di produzione giunto al capolinea, contro cui non esiste altra strategia che il suo abbattimento violento.

 

 Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°04 - 2013) 

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