Circola da alcune settimane, a uso e consumo di giovani generazioni attratte molto più dall’immagine veloce che dal noioso lavoro di documentazione, un filmaccio che pretende di narrare, romanzescamente, un buco nato nero (e nero rimasto) della storia italica: la strage di piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969. Per farlo, mette in scena, nella peggiore tradizione del melodramma di bassa lega, buoni e cattivi – con i cattivi che possono diventare anche buoni (non tutti: solo alcuni – basta che si confessino), mentre altri cattivi rimangono tali, intimamente, nel profondo; con servizi segreti che son “deviati” non si sa da chi e perché , lontani da uno Stato che è lindo e pulito come l’han fatto papà Risorgimento e mamma Resistenza; con commissari di polizia dubbiosi e con famiglia a carico e uomini politici torturati dall’indecisione (o dalla cattiva digestione)… E soprattutto con anarchici un po’ coglioni e fascisti fetentoni: entrambi appassionati di valigette con esplosivo annesso (ma quelle dei fascisti – con tutti i soldi che gli arrivano – ne contengono di più: gli anarchici, si sa, sono pur sempre un po’ spiantati). Insomma, un colpo al cerchio e uno alla botte e la balla colossale della “doppia bomba”, e via che si fa il filmaccio… a uso e consumo!

Basta così. Invece, vogliamo parlare di un’altra storia, accaduta molti anni prima: il 3 maggio 1920, a New York.

Flashback (tanto per restare in ambito cinematografico): nei due anni precedenti, un’ondata repressiva s’è abbattuta sul movimento operaio americano e sulle organizzazioni di sinistra, tale da far impallidire quella che metterà in piedi (all’acqua di rose) il senatore McCarthy un quarto di secolo abbondante più tardi. Perquisizioni, arresti, incursioni in sedi e tipografie, pestaggi, uso di provocatori, vigilantes e killer prezzolati, assassinio di agitatori, linciaggi, rimpatri forzati, chiusura di giornali e riviste… Insomma, il fascismo democratico in camicia bianca. Poi, guarda un po’, in quei primi mesi del 1920, proprio mentre si sta imbastendo la montatura che porterà all’esecuzione (nel 1927) di Sacco e Vanzetti, ecco un’improvvisa sequenza di misteriosi attentati, in varie città del paese, lontane fra loro: bombe e pacchi-bomba, fino a colpire la casa stessa del ministro della giustizia Mitchell Palmer (senza torcergli un capello) – un’operazione molto coordinata ed efficiente, che presuppone un’organizzazione di prim’ordine, ben strutturata e munita di fondi. E che, naturalmente, è subito attribuita a un piccolo gruppo di anarchici guidati da Luigi Galleani.

Nell’ambito delle operazioni di polizia che seguono (in cui si distingue un giovane ispettore dalla faccia da bulldog, destinato a celebrità nel mezzo secolo successivo: J. Edgar Hoover, futuro capo dell’FBI), è arrestato l’anarchico Andrea Salsedo e condotto nei locali del Bureau of Investigation – al quattordicesimo piano di un edificio su Park Row, a New York. Purtroppo, a quanto pare, Salsedo soffriva di una malattia, che – come il favismo per i sardi – risulterebbe tipica degli anarchici: il cosiddetto MMA, “morbo del malore attivo”, che induce chi ne è sofferente e si trovi in ambienti stretti e chiusi, specie se a parecchi piani d’altezza, e se sia sorvegliato a vista da poliziotti, ad avvicinarsi irresistibilmente alla finestra e a lasciarsi cader giù – cosa di cui gli agenti del Bureau non erano al corrente. Com’è, come non è: Salsedo viene colto da una crisi di MMA e nulla poterono fare i premurosi poliziotti per impedirgli l’insano gesto. Fine di quella storia.

La storia si ripete!, direbbe qualcuno, molto maligno. Anche i filmacci spesso si ripetono, aggiungiamo noi: e questo l’abbiamo visto davvero troppe volte.

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°04 - 2012)  

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