Il 26 novembre u. s., nell’ambito di una serie di iniziative contro i licenziamenti indette da un organismo di base attivo fra Bologna e Modena (l’Assemblea Proletaria), s’è tenuto a Modena un incontro pubblico per manifestare concreta solidarietà a un lavoratore della CNH, fabbrica modenese di macchinari, licenziato il 28 ottobre per l’attività svolta in difesa delle condizioni di vita e lavoro in fabbrica. All’incontro ha partecipato un nostro compagno, che ha poi tenuto il seguente intervento.

“Il licenziamento politico di cui abbiamo parlato può sembrare un caso locale, isolato, una questione personale. In realtà la questione dei licenziamenti e la vita di fabbrica sono strettamente legate.

La condizione della precarietà economica e sociale è la condizione di esistenza normale della classe operaia. Gli operai appartengono nell’ambito della fabbrica alle necessità del profitto dei padroni.

L’acquisto della forza lavoro, dei lavoratori, sul mercato, come merce, è condizionata da un contratto che lega i lavoratori ai padroni alle condizioni del mercato. L’atto di acquisto è un atto politico, i tempi, i ritmi, l’intensità, i salari sono atti politici. Le regole di vita e di comportamento sul luogo di lavoro sono atti politici. La produzione secondo le condizioni dei padroni è un atto politico. L’assenza di condizioni di sicurezza sono atti politici, l’aumento delle uccisioni sul lavoro sono atti politici. Solo gli imbecilli possono pensare che gli schiavi salariati sono liberi.

“Non esiste il diritto di sciopero: esiste l’atto di sciopero. Non esiste il diritto al lavoro: esiste lo sfruttamento del lavoro.

“Le organizzazioni sindacali attuali non sono organismi di lotta nei confronti della dittatura di fabbrica, ma solo dei mistificatori che versano sulle catene pure ideologie, che chiamano diritti, democrazia e libertà. Non diversamente dai nazisti essi credono che ‘il lavoro rende liberi’. Per questo occorre uscire da quella trappola per topi che chiamano fabbrica. Non esiste altro terreno per i proletari che la lotta, altro terreno per la libertà che la lotta. Per questo da sempre gli operai si sono organizzati in organismi indipendenti dai padroni.

“Poiché la crisi del capitalismo è irreversibile occorre ricostruire dappertutto organismi proletari territoriali di lotta, che prendano il nome  di “assemblee”, “coordinamenti” o altro, ovvero di gruppi proletari per la difesa delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari, non importa: la cosa è urgente e non più rimandabile. La crisi di sovrapproduzione con i suoi effetti andrà fino in fondo, attacca e attaccherà ogni precedente “sicurezza” sia nell’attività lavorativa, sia nella condizione di precarietà e marginalità, sia tra i lavoratori fuori produzione. La classe proletaria è una sola e ha bisogno di uscire da una condizione di estrema divisione, da una divisione in corporazioni, imposta da organizzazioni sindacali ormai vendute al nemico di classe. Nemmeno il fascismo era riuscito a tanto: la democrazia è il regime in cui questo corporativismo è portato alla sua massima espressione dal momento che falsi diritti, false conquiste, false protezioni sociali avvolgono con la loro coltre di promesse e di illusioni l’esistenza della nostra classe. Occorre creare organismi territoriali di difesa economica e sociale fuori dalla rete degli organismi sindacali attuali: piccoli o grandi che siano.

“Non si possono lasciare gli operai nella solitudine delle fabbriche, sotto minaccia di licenziamenti economici e politici: occorre imparare a misurarsi con le proprie forze su un terreno più ampio del luogo di lavoro, altrimenti si è costretti a rischiare il tutto per tutto come si trattasse dell’ultima battaglia (suicidi, gru, carroponti, etc). Non si tratta di passare dalle mani sindacali al vuoto organizzativo, rimediando al più un qualche segno di solidarietà. La solidarietà è un affare serio, implica un legame di classe. La saggezza di classe, che è antica, chiede una responsabilità e una solidarietà reale, organizzata, non moralistica – non aspettando che qualcuno, oltre a noi, venga ad aiutarci. Il nemico è veramente organizzato e anche noi dobbiamo esserlo. Non dobbiamo rischiare nessuna vita operaia, capace di battersi, agitando illusioni di rivalsa personale su burocrazie, crumiri e paraculi. La lotta o è un fatto collettivo o non serve a nulla! Coloro che si tengono in disparte, per paura o opportunismo, sono un prodotto dell’isolamento generale, si sentono veramente schiacciati, impauriti e inadeguati. La lotta non è la somma di atti eroici, di atti di ribellione individuale. La lotta di classe, anche quella di difesa, non è una faccenda che si sbroglia con un’arma giocattolo o a salve, come l’incazzatura personale.

“Occorre autorganizzarsi. Ma l’autorganizzazione non è un’ideologia: è una necessità materiale per la classe operaia – non certo per fare la rivoluzione, che ha bisogno di ben altro che la lotta economica e che va oltre la lotta economica. E’ una necessità materiale il cui compito è quello di raccordare gli strumenti di difesa e i metodi di lotta per difenderci dagli attacchi economici e politici. Il primo compito è portare solidarietà, trasferire da un luogo di lavoro all’altro il segno dell’unità di classe. L’autorganizzazione è una necessità, perché gli operai sono stati espropriati di tutti gli strumenti di lotta, economici, sindacali e politici. L’autorganizzazione è una necessità organizzativa: se si rifiuta la delega alle organizzazioni sindacali attuali, occorre che gli operai riprendano collettivamente su di sé la difesa dei propri interessi economici e quindi spostino la delega agli operai combattivi dentro la fabbrica e agli organismi territoriali. L’autorganizzazione è una necessità perché gli operai hanno disimparato a lottare per i loro interessi, delusi dalle finte lotte sotto controllo sindacale.

“L’Assemblea Proletaria di Bologna vuole essere e diventare un tale organismo territoriale di lotta, riunisce gli operai che vogliono battersi per sé e per gli altri ovunque essi si trovino. Occorre riconoscere come un dato di fatto l’attuale debolezza e solitudine della classe: chi vuole ricostruire i suoi organismi di lotta territoriali, i suoi metodi e le sue rivendicazioni, non può fondarsi sulla buona volontà senza sacrifici personali. Peggio ancora: se crede che si possa davvero lottare dall’interno delle attuali organizzazioni sindacali per conquistare qualche posizione di rilievo e ricostruire un’organizzazione già morta, è solo un povero illuso! E, se s’illude di costruirvi magari un’alternativa di classe, è solo uno che scambia lucciole per lanterne.

“Non si tratta di rifondare, rimodellare, riorganizzare i contenuti borghesi  sindacali all’interno della classe. Sono sessant’anni che organismi politici e sindacali hanno imposto l’educazione forzata della classe operaia: moralizzare, istituzionalizzare, contrattualizzare, isolare, nazionalizzare, statalizzare, disarmare, fascistizzare, con tutto l’armamentario dei diritti, della democrazia, della giustizia redistributiva, etc. Si tratta oggi di smontare, disarmare, denunciare tutto l’opportunismo e la svendita delle condizioni operaie. 

“Occorre riprendere tutte le rivendicazioni di lotta della classe proletaria sull’orario di lavoro, sul salario, che lo stesso Marx agitava tra gli operai, perché senza la lotta economica organizzata come guerriglia quotidiana, come abilitazione allo scontro, come allenamento, non si potrà salire allo scontro politico. Occorre denunciare le attuali modalità degli scioperi, per regioni, per province, per località, per categoria, e porre in ogni settore proletario la necessità dello sciopero ad oltranza, la cui conclusione non può darsi fino a quando non sia stato raggiunto l’obiettivo prefissato, nel corso del quale non si contratta in alcun modo e sono i delegati degli operai in lotta a farlo, non le attuali istituzioni parastatali. Gli organismi territoriali di lotta devono provvedere alla solidarietà di classe con il blocco della produzione. Solo un atteggiamento aggressivo potrà permetterci l’assalto al cielo”.   

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2012)

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