In epoca capitalistica la scienza, presunto “fiore all’occhiello” di cui la classe dominante si fa continuamente vanto, è inevitabilmente sottoposta al medesimo, misero destino riservato alla società borghese stessa: vi è un iniziale periodo di fioritura, in cui viene spazzato via il lascito ideologico del modo di produzione precedente e trova spazio l’indagine quasi libera sulla realtà, si susseguono le scoperte e, sulla scorta del mutamento sociale, si fa strada una nuova visione del mondo, corrispondente alle esigenze del nuovo modo di produzione. Segue poi un periodo in cui, in conseguenza dell’emergere sempre più evidente delle contraddizioni del capitalismo e dell’insanabile contrasto tra le classi, la scienza borghese, già comunque primitiva, si sposta su un terreno fatto di visioni ristrette delle realtà, che assolutizzano i limiti imposti dall’ordinamento sociale vigente, fino ad arrivare alla vera e propria falsificazione e all’occultamento dei dati “scomodi”, nonché al più completo, interessato travisamento della realtà stessa, indirizzato alla costruzione, alla conservazione e alla fedele custodia dell’apparato ideologico finalizzato allo sfruttamento di classe.

La scienza borghese, ormai degradata a pseudo-scienza, segue inevitabilmente il corso dell’imputridimento e del declino della società stessa, sfocia nel pregiudizio e nella superstizione, tende a mescolarsi facilmente con le ideologie religiose, con le quali condivide un certo approccio fideistico, diviene mezzo che contemporaneamente ostacola la conoscenza e accelera enormemente lo sviluppo della tecnica, esaltando la produttività del lavoro e creando nuove tipologie di merce in nome del profitto.

Questo processo riguarda tanto le scienze naturali quanto le altre scienze, economia in testa. Vasta, del resto, è la letteratura marxista che dimostra come la dottrina economica borghese sia sempre perfettamente aderente agli interessi contingenti della classe che la produce (è sufficiente fare riferimento a Teorie sul plusvalore di Marx, il cosiddetto IV Libro del Capitale).

La scienza economica borghese, non potendo continuare a svilupparsi nel solco dell’economia classica, terreno su cui cozzerebbe continuamente contro l’infrangibile e inaggirabile scoglio del marxismo e su cui la borghesia rischierebbe, prima o poi, di contemplare in anticipo la propria stessa fine, si ritira con le pive nel sacco dalla vera indagine scientifica, per rifugiarsi nell’economia volgare e nel cabalismo di una pseudo-meccanica finanziaria.

Nella scienza economica come nelle altre scienze e come altrove, la borghesia è quindi costretta a rimanere incatenata alle proprie feci, come fu per il povero Iacopone da Todi, ma, diversamente da quest’ultimo, non vi è condannata dal Bonifacio VIII di passaggio, bensì da se stessa.

Uno dei massimi esponenti di questo poco nobile e certo non prometeico incatenamento è il nobile (in quanto barone) John Maynard Keynes, insigne feticcio delle superstizioni borghesi nel campo economico. Numerosi sono stati i suoi contributi all’economia volgare, il più notevole dei quali è legato alla codifica di una tendenza che ha percorso l’imperialismo soprattutto a partire dagli anni ’30, quella cioè di affrontare le crisi ricorrendo all’aumento del debito dello stato per creare occupazione ed incrementare i consumi; oggi tali politiche prendono appunto il nome di “keynesiane”. Esse si basano sul fatto che all’epoca, quando il saggio medio del profitto era, rispetto ad oggi, ancora alto, ogni ripresa economica dopo la crisi vedeva una robusta crescita dell’economia, per cui, grazie all’aumento del gettito fiscale, il debito contratto dallo stato da grande diventava piccolo. È palese, infatti, che se per affrontare le conseguenze di una crisi, uno stato è costretto ad accollarsi un debito aggiuntivo pari, poniamo, al 30% del PIL – tanto per utilizzare l’unità di misura più in voga – e i ritmi medi di incremento del PIL e delle entrate fiscali post-crisi portano ad un loro raddoppio nell’arco di 10-15 anni, la gestione del debito contratto (che nell’arco dello stesso periodo di tempo si dimezza in termini relativi) diviene piuttosto semplice. Questo elementare e modesto espediente, che nasce da sé nel corso delle cose (e che si è rivelato utile solamente in chiave antiproletaria, visto che la crisi economica degli anni’30 fu superata soltanto grazie al secondo macello mondiale e al successivo allargamento dei mercati), viene spacciato come una creazione di Keynes, che invece può, al massimo, avergli dato il proprio nome e una veste teorica apparentemente seria. Ecco il capolavoro di Keynes! Ma che mirabile intuizione, che profondità di pensiero! Il suo lavoro è un punto “cruciale” per cui passa la parabola dell’economia borghese: essa ha il suo culmine nella scoperta del valore (completata e perfezionata da Marx) e poi è costretta dalla storia a declinare verso la scoperta… dell’acqua calda! È questo il principale contributo di Keynes all’economia.

La continua diminuzione del saggio del profitto da una parte e l’esponenziale aumento delle spese dello stato (sia per consumare plusvalore che per rafforzare la macchina dell’oppressione) dall’altra, hanno portato, soprattutto dopo la crisi degli anni ’70, all’inevitabile declino della “scuola keynesiana”: le riprese economiche si sono fatte via via più deboli e non hanno consentito il riassorbimento dei debiti statali, che infatti sono aumentati ovunque sempre più. Se i ritmi di incremento del PIL e delle entrate di uno stato sono tali che il loro raddoppio avviene non più nell’arco di 10 o 15 anni, bensì di 30 o 40 e, in più, lo stato in questione è costretto a indebitarsi pesantemente anche nei periodi di non-crisi per evitare che emerga la sovrapproduzione, risulta chiaro come i margini per il varo di politiche keynesiane divengano pressoché nulli.

Le politiche keynesiane sono state allora soppiantate da quelle monetariste che, oltre a celebrare degnamente il feticcio-denaro, sono servite ai borghesi per rafforzare il tentativo di smuovere l’economia stagnante con mezzi artificiali, oltre che per depredarsi gli uni con gli altri - soprattutto per “spolpare” per bene i paesi emergenti nel corso delle crisi periferiche - e per continuare a depredare il proletariato anche attraverso l’uso della moneta.

L’ulteriore imputridimento dell’imperialismo e l’aggravarsi della crisi economica, che dal 2008 ha colpito duramente i centri nevralgici dell’imperialismo, hanno ridotto i margini di manovra della borghesia, mostrando ulteriormente i limiti sia delle manovre monetarie, che, tra le altre cose, possono incidere negativamente sull’ormai fragile equilibrio del mercato finanziario, sia delle politiche keynesiane, pericolose di fronte ad un debito complessivo ormai giunto alle stelle e alle future, bassissime prospettive di crescita. Il grembo del pensiero borghese, che conosce ogni infamia e non conosce sterilità, ha allora cominciato, rimestando nella pattumiera della storia, a tentare di prepararsi ai tempi che verranno partorendo sgorbi teorici di livello ancora più basso, tra cui quella teoria della decrescita di cui abbiamo già avuto modo di occuparci.

Ecco come il barone Keynes, l’illustre scopritore dell’acqua calda, si esprimeva nei confronti di Marx: Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx […] Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione.” E ancora: Il socialismo marxista deve sempre rimanere un mistero per gli storici del pensiero; come una dottrina così illogica e vuota possa aver esercitato un'influenza così potente e durevole sulle menti degli uomini e, attraverso questi, sugli eventi della storia.

Il barone Keynes, dall’alto della propria “sapienza”, non poté comprendere che il lavoro di Marx, questa “dottrina così illogica e vuota”, ha portato alla fondazione della scienza che, presto o tardi, servirà al proletariato per sconfiggere la borghesia in campo aperto, liberarsi dalla propria schiavitù e spazzare via la società divisa in classi. Il lavoro di Keynes, invece, è servito soltanto a far cullare ai padroni il sogno impossibile di un dominio perpetuo e ha fatto del suo autore il tirapiedi di una classe sfruttatrice, affamatrice, assassina e, nella prospettiva storica, morente.

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2011)

 

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