<![endif]-->È difficile indicare con sufficiente rigore le caratteristiche del nuovo soggetto Unione Sindacale di Base (USB), perché non esistono ancora documenti ufficiali che ne definiscano i contorni: infatti, nella kermesse celebrata a Roma nei giorni 21-23 maggio, definita “congresso fondativo”, ma che di congresso non ha avuto nessuna peculiarità o prassi, non è stato distribuito alcun documento (se escludiamo lo statuto, che per obblighi di legge non poteva non essere redatto e presentato)1. L’assenza di un documento ufficiale non è frutto del caso o di una quanto mai improbabile dimenticanza; al contrario, questa clamorosa carenza è il prodotto diretto delle contraddizioni su cui il sindacato s’è costituito: la contemporanea presenza di più anime politiche non “perfettamente coincidenti” – prime fra tutte, le due più rilevanti dal punto di vista organizzativo e numerico, che non sono d’accordo praticamente su nulla. Infatti, l’una, figlia dei variopinti movimenti tardo sessantottini, e l’altra, pronipote del resistenzialismo di stampo PCIsta, non potevano e non potranno mai trovare una sintesi politica e di prospettiva strategica comune. Tale contraddizione ha quindi determinato la necessità di non compromettere, almeno all’inizio, l’improbabile cammino comune con un problematico documento politico-sindacale su cui tentare di convergere unitariamente. È un fatto che queste due anime, quella delle RdB e quella del SdL, non molto tempo fa erano già un’unica organizzazione; oggi, dopo qualche anno di separazione, sono tornate a più miti consigli, come farebbero due coniugi litigiosi che, trovatisi soli e allo sbando, decidono di risparmiare sulle bollette e sull’affitto, tornando a vivere sotto lo stesso tetto.

Costretti dunque dalla mancanza di atti ufficiali, ci baseremo sulla registrazione effettuata sul posto, il 21/5, della relazione del “nuovo” portavoce, trasformando il verba volant in scripta manent, commentandola in questo articolo e rimandando alla “versione ufficiale” su YouTube chi volesse verificare la correttezza e veridicità di quanto andremo a dire (sia detto qui tra parentesi, e con indubbia malignità: il “nuovo” portavoce nazionale dell’USB risulta essere lo stesso portavoce nazionale della vecchia organizzazione sindacale più numerosa, la RdB).

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Il relatore inizia dunque con il legittimare il processo di nascita dell’USB agganciandolo ad un nobile evento: l’assemblea dei delegati di base tenutasi nel maggio 2008 a Milano. Nel fare questo, dichiara che l’attuale fusione di sigle “è stata realizzata sulla scorta di una spinta vera che veniva dai delegati, dalle nostre strutture, dai nostri territori e che da questi si è avuta la richiesta di fare un passaggio ulteriore che era quello della costruzione di un unico soggetto del sindacalismo di base capace ed adeguato a dare le risposte necessarie”. Tralasciamo per il momento di sottolineare la vaghezza della formula utilizzata e andiamo al nocciolo del discorso. Come abbiamo anticipato, ci si riferisce in particolare all’assemblea di Milano. Ciò che venne espresso allora fu cosa ben diversa da ciò che oggi si vorrebbe far passare: i delegati, infatti, cioè le uniche persone provenienti direttamente dai luoghi di lavoro, sostennero che l’autoreferenzialità delle diverse sigle di base, le loro divisioni capziose e soprattutto quelle volute delle varie dirigenze, avevano fatto il loro tempo e che era necessaria la nascita di un vero sindacato di classe. Ovviamente, questa istanza non era ancora del tutto chiara ed articolata, e diremmo una falsità se sostenessimo che i delegati di allora si riconoscevano in una politica “rivoluzionaria”; sta di fatto, però, che l’indicazione proveniente dal mondo del lavoro fu sufficientemente risoluta in termini generali: i delegati rifiutavano di proseguire sulle orme di un sindacato che si occupasse solo di tessere, poltrone, distaccamenti, agibilità legali, RSU, tavoli e tavolicchi fra loro e con il padronato. Conseguentemente, affermavano che era venuto il tempo di costruire un’organizzazione capace di contrapporsi nettamente e coerentemente, utilizzando in primo luogo la lotta nei luoghi di lavoro, al profondo attacco che la borghesia e il suo Stato stavano e stanno portando avanti contro le condizioni di vita e di lavoro degli operai. Non pochi in quella occasione affermarono dal palco che, se le attuali dirigenze non fossero state capaci di tornare alla lotta contro gli interessi del capitale, tali dirigenze potevano anche farsi da parte. In altre parole, al centro degli interventi non vi era la forma organizzativa, bensì la necessità e l’ineluttabilità della lotta, chiaramente sostanziata dalla nascita di un sindacato unitario numericamente significativo. Quello che fin qui si è visto è invece la nascita di una sigla sindacale, numericamente inadeguata, che ha al centro non la lotta, ma ancora una volta, come vedremo, l’autoreferenzialità, di se stessa e della propria dirigenza.

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Il portavoce continua il suo ragionamento indicando il metodo con il quale è avvenuta questa fusione: sono stati “due anni in cui non abbiamo lesinato la discussione, due anni in cui non abbiamo incontrato nessun problema con i lavoratori in generale e con SdL in particolare perché abbiamo molto discusso e molto viaggiato perché volevamo che quello che ci accingevamo a mettere in campo, cioè la nuova sigla sindacale, fosse condivisa dai lavoratori, dagli iscritti, dai militanti  e dalle militanti di queste organizzazioni. Credo che abbiamo fatto un buon lavoro”. Tuttavia, trascinato dall’enfasi, dimentica due importanti aspetti: in primo luogo, pur non avendo avuto problemi con SdL (e solo il futuro ci dirà fino a che punto questo è vero), con molte altre sigle i problemi ci sono stati, visto che nessun altro sindacato di base ha aderito a questo percorso. Altre organizzazioni di base, infatti, in tempi diversi e a vario titolo, si sono avvicinate e confrontate con i promotori dell’USB, ma all’atto di stringere nessuna di esse ha deciso di sciogliere la propria organizzazione all’interno di questa nuova “gioiosa macchina da guerra”.

Inoltre, a dispetto di una proclamata “epopea della democrazia e del confronto” da mettere a fondamento del nuovo sindacato, la realtà quotidiana è stata ben diversa: nessuna voce contraria è stata tollerata e nessun contributo è stato accettato se di origine diversa dalle dirigenze RdB e SdL! Questo è dimostrato non solo dal fatto che la nuova dirigenza è l’esatta copia di quella vecchia, più qualche novello personaggio (cooptato sempre dall’alto, s’intende) dove è stato necessario creare una nuova federazione non presente nelle vecchie (un esempio fra tutti, la USB-Scuola); ma anche dalla totale mancanza di qualsivoglia “rito democratico”, come ad esempio una votazione, o dalla impossibilità di presentare qualsiasi emendamento allo statuto durante l’intero congresso, giustificando ciò con cavilli procedurali o mancanza di spazio e di tempo. Non saremo certo noi a richiedere o a difendere i riti borghesi democratici, ma crediamo che vada comunque sottolineato, per fare chiarezza fra i proletari, la discrepanza fra le parole e gli atti della dirigenza USB.

Ma vediamo, a sottolineare l’inanità e l’inganno di questo nuovo sindacato, come continua il portavoce: “Abbiamo invitato le forze e le organizzazioni politiche a noi più affini”. Le cronache  giornalistiche ci informano che queste forze sono il Prc, Sinistra critica, Sinistra Ecologia e Libertà, e Pdci, oltre al Partito Comunista dei Lavoratori e ai Comunisti-Sinistra Popolare, ovvero i figli e figliastri di Rifondazione, i nipotini del PCI più o meno legittimi.

Tralasciamo poi i ricorrenti pistolotti “politici”: sulla crisi, che avrebbe “messo a nudo” l’incapacità del capitalismo di funzionare (alla buon’ora! Marx, Engels, Lenin hanno lavorato invano, e milioni di proletari in tutto il mondo si sono battuti invano per un secolo e mezzo, se solo ora la crisi “mette a nudo” ciò!), sull’89-’90 che vede il dilagante trionfo del modello capitalista (su che cosa, poi? ma sul “socialismo reale”! ah, volevamo ben dire... ), sull’America Latina che “ci ha dato un segnale importante di inversione di tendenza in uno dei posti più difficili in cui fare [udite! udite!] una rivoluzione incruenta” (ahinoi! i proletari dovrebbero dunque rispondere, pacificamente, a Marchionne o alla Merkel o a Sarkozy, affidandosi a... Chavez? Oppure, come sempre, a Castro? a quale dei due, poi: Fidel o Raul?...). Non entriamo più di tanto nel contenuto di questi discorsi “politici”, che fanno davvero pena. Limitiamoci a chiederci: capiranno mai, questi signori, la differenza fra un organismo politico (un partito, che deve delimitarsi programmaticamente, in maniera netta e intransigente, da qualunque altra formazione politica) e un organismo sindacale di base (che, in maniera netta e intransigente, deve difendere con la lotta le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, senza introdurre fra le loro file ulteriori divisioni “politiche”, oltre a quelle che già creano ad arte la borghesia, la sua ideologia e i suoi reggicoda opportunisti)? No, loro devono per forza cucinare insieme la capra e i cavoli, con il risultato di sfornare un pasticcio indigesto da scodellare a mestolate ai loro iscritti. 

Ma non è certo su questo piano (di una pseudo-politica di bassa lega) che noi intendiamo criticare la dirigenza USB, invitando i suoi iscritti a ragionare seriamente, bensì sul piano del ruolo e delle finalità che il “nuovo” organismo sindacale si propone. Dunque, il relatore ci mette al corrente di quanto importante e fondamentale sia questo “nuovo soggetto sindacale”, fornendoci al contempo l’unità di misura da utilizzare per soppesarlo: “Un sindacato si pesa sulla scorta di quanto incide sulla realtà del  paese in cui opera”, e non contento di ciò prosegue affermando che tutti noi li dovremo “pesare sulla scorta delle lotte, della resistenza, della capacità di essere propositivi. Noi faremo in modo di proporre non solo la difesa dei diritti dei lavoratori ma di avanzare l’emancipazione e la conquista di ulteriori diritti dei lavoratori attraverso il conflitto e non attraverso la concertazione”.  Noi non ci vogliamo certo sottrarre al compito che il portavoce dell’USB ci ha assegnato, quello di pesarli, e dunque li pesiamo immediatamente: per fare ciò, metteremo su un piatto della bilancia la manifestazione dell’USB del 5 giugno, ampiamente pubblicizzata durante la kermesse primaverile, e sul piatto opposto quella del 25 giugno indetta dalla GCIL. Purtroppo, tale esperimento non ha dato l’esito auspicato dal relatore: a guardare i numeri, la strada che l’USB dovrebbe percorrere è ancora molto, molto lunga. Ma non è questo il metro che a noi interessa utilizzare; al contrario, il passaggio che più ci lascia intendere l’aleatorietà ed inconsistenza dell’analisi sindacale e politica della dirigenza dell’USB è ben rappresentato dalla frase successiva del discorso. Infatti, ci si dovrebbe spiegare che senso ha oggi, nella fase contingente, parlare di “conquiste di nuovi diritti” e fesserie del genere là dove ogni diritto. ogni parvenza di democrazia e soprattutto salario, sicurezza del posto di lavoro e pensioni, sono ormai quotidianamente smantellati in un continuo attacco al proletariato, che non si presta a nessun fraintendimento. La borghesia elimina ogni briciola che precedentemente aveva concessa e la dirigenza dell’USB, del tutto fuori della realtà e quindi in modo del tutto surreale, parla di “conquista di nuovi diritti”… Ma in che mondo vive? Come si può avere un programma apparentemente così offensivo, se non si ha neanche la capacità di difendere dal processo di logoramento delle condizioni di vita e di lavoro, che sta facendo arretrare le condizioni del proletariato di almeno 60 anni?

Forse le parole che seguono ci possono meglio illuminare su tale dilemma: la loro “stella polare è il conflitto come strumento di regolazione degli interessi fra soggetti contrapposti, fra capitale e lavoro ma una capacità di utilizzare il conflitto per non renderlo fine a se stesso ma di utilizzarlo perché nei tavoli ci sia la capacita di incidere ed avere… ad avere funzioni”. Ecco, appunto: “avere funzioni”. Questo lapsus indica esattamente che cosa persegue questa dirigenza: essa vuole “avere funzioni”, cioè vuole essere riconosciuta dalla borghesia e dai sui governi come una delle organizzazioni da invitare ai tavoli delle trattative. Tutta la mistificazione intorno alla parola “conflitto” altro non vuole dire che costoro aspirano a vedersi assegnare delle funzioni dallo stato borghese. Non gli interessa difendere in modo intransigente le condizioni di vita e di lavoro del proletariato; al di là dei proclami, non gli interessa neppure migliorarle. Essi proclamano di essere diversi dalla CGIL: in realtà, sono fatti della stessa pasta e la necessità di rivendicare il conflitto come “strumento di regolazione” è solo il prodotto della loro inconsistenza numerica, non certo della loro vicinanza alle istanze proletarie. Essi pensano: “se non abbiamo i numeri per imporci, dobbiamo essere più rumorosi e più aggressivi”. A tanto si riduce la tattica di questi signori. Non vi è altro: solo vuote parole che vogliono nascondere la piena appartenenza al mondo delle regole “democratiche, repubblicane e costituzionali”. Come è scritto nel primo articolo dello statuto, “dirimere democraticamente i conflitti prodotti dalle contrapposte visioni”.

Di altro non si tratta e di altro non si deve trattare e questo deve essere chiaro a tutti, soprattutto a tutte quelle voci (che pur esistono) di dissenso a questa dirigenza e alla sua linea politica (sottolineiamo: politica) e sindacale.

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Se non fosse ancora chiaro quale sia la linea e come questa debba essere assolutamente rispettata, il relatore sottolinea il concetto con molto vigore. Egli infatti ci informa che l’omogeneità del pensiero fra tutti i dirigenti USB è il massimo dei valori perseguibili; infatti, “una lente di lettura della realtà comune al gruppo dirigente di questa confederazione significa avere da Bolzano a Ragusa una stessa capacità di contrapporsi, la stessa capacità di interlocuzione, la stessa lettura degli avvenimenti e quindi dotarci di una forza che molti altri non hanno”. Capite? E’ solo per essere più forti e capaci che si esclude ogni dissenso e, se su questo altare deve saltare qualche testa, che dire? salterà!

Infine, per meglio nascondere tanta pochezza e rozzezza, il relatore conclude con il filippotto culturalista, che sempre affascina le platee: Noi dobbiamo riprendere a fare cultura. noi dobbiamo portare dentro la società la cultura del lavoro, la coltura dei diritti, la cultura dei bisogni, la cultura dell’ uguaglianza della solidarietà, non è più possibile che oggi passi unicamente una cultura che è la cultura dell’intolleranza, della xenofobia, del razzismo…”. Eccolo, il tradimento: non si lavora per superare questa società, ma solo per inserire al suo interno tutta una serie di parole vuote. Secondo costoro, le istanze sulle quali ci si dovrebbe immolare sono istanze nuove, che mai avevano fatto capolino nella storia del proletariato nazionale ed internazionale! Cultura, cultura ed ancora cultura: un bel pizzico di “cultura del lavoro” (degli altri, s’intende!), un pizzico di conflitto “strumento di regolazione” e la pozione è pronta: i lavoratori sono belli e sistemati.

Ci aspettavamo qualche posizione più concreta da questo nuovo soggetto sindacale. Il tono canzonatorio ci è venuto spontaneo di fronte a simili saltimbanchi, professionisti della vuota retorica – altri articoli su questo nostro organo affrontano la questione sindacale in modo più pregnante e preciso. Naturalmente, è chiaro che le nostre critiche non sono rivolte ai lavoratori e alle lavoratrici che in tutta sincerità hanno creduto nella possibilità di costruire una vera organizzazione di difesa della classe: non possiamo che ripeterci, e chiediamo loro di essere conseguenti a quello che essi stessi hanno affermato nel maggio del 2008 a Milano: liberarsi di dirigenze che ripetono fino alla noia robetta che non ha alcun senso.

                                                                                                                                                                                             

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°05 - 2010)

 

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