L’impetuosa crescita della Cina, motivo dominante dell’economia mondiale degli ultimi decenni, è avvenuta, fino all’ultimo crollo economico, in un contesto che ha visto, nonostante le ricorrenti crisi, la contemporanea crescita speculativa dei più vetusti capitalismi occidentali. L’incremento della produzione industriale cinese ha fornito “carburante” per le bolle speculative in Occidente, le quali, a loro volta, hanno fornito nuovo terreno per la crescita cinese, sotto forma di un continuo aumento dei consumi.

Ora, il meccanismo che ha sostenuto l’economia globale negli ultimi 30-40 anni potrebbe essere vicino al capolinea, nel senso che l’afflusso dei capitali potrebbe non essere più sufficiente ad alimentare la crescita della bolla speculativa globale a ritmi che possano “occultare” la sovrapproduzione.

 

 

In questo caso, potremmo assistere ad una crescita della Cina (e, in qualche misura, degli altri capitalismi emergenti) a scapito dei capitalismi più maturi (USA, Europa e Giappone in primis): la Cina potrebbe essere nella posizione di drenare non solo i capitali investiti nella produzione, che proprio in Cina trovano condizioni assai favorevoli alla propria valorizzazione, ma anche quelli investiti nella speculazione. Le bolle speculative dell’economia cinese, compresa quella immobiliare [1], potrebbero ulteriormente lievitare, sottraendo capitali alla speculazione in Occidente [2], in uno scenario che potrebbe vedere la contestuale stagnazione dell’economia globale e un rallentamento, se non un arresto, della crescita della speculazione mondiale nel suo complesso. La produzione cinese potrebbe iniziare ad essere sostenuta, più di quanto non avvenga oggi, da una crescita del mercato interno su base speculativa. Lo stesso surplus commerciale cinese potrebbe riversarsi sempre più nella speculazione interna, invece che sui mercati finanziari internazionali.

Le economie occidentali verrebbero quindi colpite non solo dal disavanzo nella bilancia commerciale, ma da un’ulteriore fuga di capitali, che depaupererebbe ulteriormente i vecchi capitalismi a vantaggio dei paesi emergenti.

Fondamentale, nell’ambito di questa dinamica, è il ruolo di uno Yuan sottovalutato, vera e propria arma monetaria, che crea un contesto economico che facilita la vendita delle merci cinesi e, contemporaneamente, funge da forte attrattore di capitali esteri, i quali, una volta entrati in Cina, risultano aumentati di valore solo per effetto della conversione nella moneta nazionale cinese. Una simile situazione non potrebbe che inasprire ulteriormente le tensioni internazionali, soprattutto tra USA e Cina [3], in tempi relativamente brevi.

Non è detto che lo scenario dominante nell’immediato avvenire debba essere quello appena descritto: la bolla dell’economia cinese potrebbe sgonfiarsi [4], oppure potrebbe esserci ancora spazio per il perdurare di una crescita globale sul modello, anche se più a rilento, di quella avutasi degli ultimi decenni, fino al completo esaurimento del meccanismo che vede, semplificando all’osso, la produzione in Cina e la speculazione in Occidente. O potrebbe presentarsi uno scenario alternativo, partorito dalla fantasia della Storia, ma sempre nei limiti delle ferree leggi a noi note. Come al solito, saranno i fatti ad avere l’ultima parola.



[1]Cfr. “Why China Can't Cool Its Overheated Real Estate Boom”, Daily Finance, 27/02/2010; “The trouble with China’s economic bubble”, Washington Post, 10/03/2010; “China, worried about a real estate bubble, moves to restrain bank lending”, Los Angeles Times, 13/02/2010; “China: No one home”, Financial Times, 21/02/2010; “China's Huge Economic Bubble To Trigger Another Major World Crisis”, Pravda online, 10/02/2010.

[2] Cfr. “Contrarian investor sees economic crash in China”, The New York Times, 07/01/2010.

[2] Cfr., ad esempio, “China rejects Barack Obama's call to change yuan policy”, BBC News online, 12/03/2010; “The China Bubble's Coming -- But Not the One You Think”, Foreign Policy online, 23/07/2009; China denies currency undervalued, BBC News online, 15/03/2010.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2010)

[4] “Contrarian investor sees economic crash in China”, cit.

 

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