La “grande confessione” (“qui non si fa comunismo, qui si fa capitalismo!”), dopo essere filtrata in maniera graduale e quasi implicita dalla Russia (prima, l’apertura – sotto l’incalzare della crisi economica di metà anni ’70 – al mercato mondiale; poi, il crollo dell’“impero russo” e le sue implicazioni socio-economiche; infine, i fasti del “regime affaristico-mafioso” di Putin-Medveev), ci giunge ora – apertamente, esplicitamente – dalla Cina, il nuovo miracolo economico che strabilia il mondo intero. Il Sole-24 ore del 20 ottobre u.s. c’informa (?) che tutti i paradigmi correnti vanno... rovesciati! L’occasione è offerta da un incontro a Pechino con alcuni imprenditori cinesi, in occasione della pubblicazione della “Hurun List”, “imitazione asiatica dell’esclusiva classifica ‘by Forbes’” – insomma, la classifica dei Paperon de’ Paperoni mondiali. Scrive dunque il povero cronista spaesato: “La loro [dei Paperoni cinesi] determinazione non ha eguali, come la spregiudicatezza e la serietà con cui perseguono le ambizioni. Il risultato è che davanti all’interlocutore cui avevo chiesto di spiegare lo strano [!] rapporto tra ideologia e ricchezza – la Cina si proclama ancora un paese comunista [!] – la sensazione è di un imbarazzante scavalcamento a destra [?]”. Infatti, proclama uno dei Paperoni (tal Zhong Changfu, master ad Harvard, “quattro fabbriche di componenti per computer che lavorano quasi esclusivamente per brand americani”): “L’ideologia è nominale, la ricchezza è reale”. E, alla domanda “Ma una volta non eravate comunisti?”, risponde, esperto com’è in marketing e in finanza: “Il termine comunismo è rimasto solo nel logo [!] del partito, come l’effige di Mao sulle banconote [!]”. Finalmente!, vien da dire a noi, che quella confessione ci aspettavamo per la Russia dal 1926 e per la Cina dal 1949!

E poi aggiunge altre ciliegine sulla torta: “I veri capitalisti siamo noi, non voi che state lì a baloccarvi col mito dell’uguaglianza dello stato che vi fa da balia. [...] I veri comunisti siete voi occidentali, cittadini di paesi dove i governi danno soldi alle aziende che a loro volta vi finanziano per comprare le loro merci...”. A questo punto, il povero cronista “occidentale” non ci capisce più nulla, e azzarda che forse “in Cina si è passati con stupefacente [!] rapidità dal comunismo (che nominale lo è soltanto da poco) [e chissà poi com’è andata!] al capitalismo – ora nella fase di frenetica efficiente accumulazione [ma guarda un po’!] – senza un sano bagno di socialdemocrazia [parla il quotidiano della Confindustria, badate bene!], sarebbe bastato anche nella versione tremontiana [!!!] stile economia sociale [in Cina si diceva: socialista... ] di mercato”.

Che bel guazzabuglio, vero? I comunisti che son capitalisti, i capitalisti che son comunisti, i socialdemocratici lì in mezzo, a far da terzo incomodo, come una fetta di salame tra due fette di pane... Insomma, ma che mondo è questo, dove nessuno sta più al proprio posto?

Ora, noi non abbiamo bisogno di un qualche Paperone dell’ultima ora (russo o cinese che sia) per dire che “lì non si fa socialismo, li si fa capitalismo!”. L’abbiamo già dimostrato, scientificamente, fin dagli anni ’30, ’40, ’50 per la Russia, e ’50 e ’60 per la Cina, analizzando di entrambe la struttura economica e sociale. Che poi qualcuno degli “addetti ai lavori” scucia più o meno implicitamente la confessione, ci può far solo piacere. Quanto a quelli che proprio si ostinano a non capirlo, be’, peggio per loro!

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2009)

 

 

 
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