Un articolo pubblicato dal Corriere della Sera di alcuni mesi fa, con il titolo “Lavorare meglio, lavorare tutti”, è un buon esempio di giornalismo beota, se mai ce ne fosse ancora bisogno. L’illustre pennivendolo, infatti, non cela la sua soddisfazione e il suo entusiasmo per la tendenza in atto in tutti i paesi capitalistici a prolungare l’orario di lavoro come alternativa alla disoccupazione, minaccia apertamente ventilata ai proletari per costringerli a subire l’infame ricatto. Ne sono esempi, in Germania, la Siemens, dove il sindacato tedesco ha accettato 40 ore di lavoro senza aumenti di salario, e la Volkswagen, dove l’orario per i lavoratori che hanno più di 38 anni si mantiene a 40 ore e quello dei più giovani sale a 42. Analogamente, per gli statali in Baviera l’orario di lavoro viene portato da 40 a 42 ore, mentre il premier Schroeder vuole estendere l’orario federale da 38,5 a 40 ore. In Gran Bretagna, il 16% del lavoratori lavora più di 48 ore settimanali, mentre interventi di correzione della legge sull’orario di lavoro vengono effettuati in Francia dove vigeva la legge delle 35 ore, suscitando, in queste ultime settimane, ampie mobilitazioni di protesta. Ci troviamo qui di fronte a un processo obbligato, non legato a particolare malvagità dei capitalisti, ma alle leggi ferree a cui essi stessi sono sottoposti. Il capitalismo, nella sua corsa verso la catastrofe, annulla le conquiste del passato, vanto della borghesia democratica e fascista, e ripristina le “fabbriche del sudore”, dove le ore di lavoro non sono mai troppe e i salari non sono mai troppo bassi. Il nostro pennivendolo, dimentico dei fiumi d’inchiostro che sono stati versati per glorificare le sorti magnifiche e progressive di un capitalismo capace di superare le contraddizioni interne e di ridurre la fatica e il tormento della classe operaia, vede in questo processo il “fallimento del marxismo” e della “politica delle sinistre”. Chi ha conoscenza almeno elementare del marxismo coglie in queste affermazioni una squallida operazione di transfert politico sociale: il fallimento del capitalismo viene considerato fallimento del marxismo che ha preconizzato la morte di questo stesso infame ordinedisordine, incapace di migliorare le condizioni di vita ai proletari, di cui la riduzione drastica dell’orario di lavoro è un caposaldo. Nella società capitalistica si produce tempo libero per una classe mediante la trasformazione in tempo di lavoro di tutto il tempo di vita delle grandi masse proletarie. E dunque la lotta per una riduzione sostanziosa dell’orario di lavoro è già oggi una parola d’ordine classista, volta a difendere la classe dall’attacco quotidiano condotto dal capitale e a creare un fronte compatto di lotta intorno a una rivendicazione elementare e immediata, ma di grande peso per ciò che riguarda le materiali condizioni di esistenza dei proletari. D’altra parte, ridurre davvero l’orario per ridurre il tormento d’un lavoro alienato e alienante si potrà solo fare nel comunismo, nella nuova società che scaturirà dalle macerie del capitalismo e i cui becchini saranno i proletari guidati dal partito di classe. Il programma della società comunista ci permette di affermare fin d’ora che i primi durissimi colpi saranno diretti proprio alla produttività del lavoro, con la drastica riduzione della giornata lavorativa almeno alla metà delle ore attuali, assorbendo così la disoccupazione, eliminando gli sprechi e le attività dannose e antisociali, distribuendo il lavoro su tutta la popolazione mondiale in grado di lavorare1. Quanto più cresce infatti la capacità produttiva (e non, si badi bene, la produttività!), tanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, e quanto più può essere abbreviata la giornata lavorativa, tanto più può crescere l’intensità del lavoro. Date l’intensità e la forza produttiva del lavoro, la parte della giornata lavorativa sociale necessaria per la produzione materiale sarà tanto più breve, e tanto maggiore la parte di tempo conquistata per la libera attività mentale e sociale degli individui, quanto più il lavoro sarà distribuito proporzionalmente fra tutti i membri della società capaci di lavorare, e quanto meno uno strato della società potrà allontanare da sé la necessità naturale del lavoro addossandola a un altro. Il limite assoluto dell’abbreviamento della giornata lavorativa è, sotto questo aspetto, l’obbligo generale del lavoro. Altro che miserabili ricette borghesi, volte tutte a spremere il sudore altrui fin dove è possibile!

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2005)

 

 

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