La Confindustria e le tre sigle sindacali di categoria dei metal-meccanici non riescono a contenere la propria soddisfazione per aver chiuso il contratto, mimando davanti agli occhi di tutti un’inesistente contrapposizione. Da Montezemolo a Epifani fino ai più remoti gazzettieri, è tutto un inno al futuro prossimo dei rapporti politico-aziendali. Nessuno ha perso, dicono in coro, tut-ti abbiamo vinto: “Questo contratto è importante perché riporta un po’ di pace sociale, ma anche perché apre una prospettiva sul nuovo modello contrattuale”. Che la pace sociale sia stata turba-ta è un falso. Epifani non perde tempo a confermare il valore del-la responsabilità della Fiom “nel saper controllare la sua forza”, e aggiunge: “anche queste forme di lotta anomale si sono svolte in modo contenuto grazie alla comprensione delle forze dell’or-dine e dei cittadini cui hanno provocato disagi [latte e miele!]”. La seconda affermazione, che la lotta vertesse sulla questione sa-lariale, è solo parzialmente vera: la natura taccagna è sempre un attributo ineliminabile della “razza padrona”, gli puzza addosso come un abito lercio. Ma quello che era principalmente in ballo non era tanto l’accordo sull’aumento salariale, quanto la garan-zia di un terreno unitario di regole sulla flessibilità e sulla pro-duttività. “E’ stato fatto un buon affare”, dice il presidente della Federmeccanica, “adesso la contrattazione deve cambiare, il sin-dacato deve trasformarsi in un vero partner dell’impresa […]; i sindacati hanno avuto la vittoria simbolica di 100 euro [piglia e porta a casa!], ma noi abbiamo dato alle aziende la soddisfazio-ne di sostanza. Sono inondato di telefonate e messaggi di colleghi che mi ringraziano [!!!]”. Con straordinario tempismo, gli ordini di scuderia padronali e sin-dacali sono venuti a mettere una pietra sopra a una serie di lot-te, con blocchi stradali e ferroviari, che erano state messe in cam-po più per chiudere rapidamente la vertenza che per un’obietti-va volontà di lotta. La pantomima attorno all’aumento (da _60 a _100, da aprile a gennaio) doveva coprire gli accordi molto più importanti sottoscritti verbalmente sulla questione dell’appren-distato e dell’orario di lavoro. Una volta giocata la sporca partita, era urgente rimettere il basto sulle spalle di lavoratori, sfiancati da scioperi disarticolati, e quindi inutili, sull’arco di 13 mesi. La “vittoria dell’unità” delle tre sigle di categoria, contro gli accordi separati dei due anni passati, doveva essere festeggiata con un battesimo nel quale i padrini erano a buon titolo i padroni. Esaminiamo brevemente quest’accordo “vincente per i lavorato-ri”. Intanto i _100 sono l’aumento della V categoria (sulle 8 pre-senti) distribuito in tre tranches (60; 25; 15) fino al marzo del 2007 (tempo perché finisca per essere assorbito dall’inflazione: non per altro è stato allungata di sei mesi la durata del contratto, fino a giugno 2007), mentre l’aumento per i lavoratori di I categoria è di _62 scaglionati (37,5; 15,63; 9,37). Come arretrati, per il 2005 i lavoratori riceveranno _320 onnicomprensivi e non incidenti sul TFR (in due tranches): dopo 60 ore di sciopero! Il recupero sala-riale dunque non è più aleatorio: è una… schifosa certezza!

E passiamo alla parte normativa, quella su cui puntavano le due parti – la questione dell’apprendistato. Le nuove regole del reclutamento sono una vera e propria opera d’arte: si arriva a una durata di 5 anni per la V categoria, a 4 anni e sei mesi per la IV e a 3 anni e sei mesi per la III. Tutta forza-lavoro a disposi-zione, da tenere in attesa, disponibile e a bassi costi, che non ha proprio nulla da apprendere (le macchine incorporano la forza-lavoro senza alcun bisogno di esami!), ma deve solo sognare un’as-sunzione a tempo indeterminato: che non verrà mai, perché i ci-cli economici di crisi si susseguono uno dopo l’altro. L’operazio-ne consiste in realtà nella programmazione anticipata… dei li-cenziamenti, non delle assunzioni. Le riduzioni di sei mesi per diplomati o laureati è solo fumo ideologico. L’altro capolavoro è “l’orario plurisettimanale”. I lavoratori sa-ranno messi di fronte a orari flessibili a seconda delle ragioni “produttive e di mercato”, che oscilleranno tra 32 a 48 ore set-timanali e che possono partire da subito in tutte le aziende in-teressate (altro precariato, altra flessibilità!). Per quanto riguar-da la retribuzione, si passerà attraverso tre livelli: inizialmente, si sta nel minimo contrattuale di inquadramento; in un secondo tempo, ci si dovrà accontentare di un inquadramento inferiore di un livello a quello di destinazione; in un terzo tempo, il sala-rio sarà uguale a quello previsto. Non insisteremo sulle moda-lità di assunzione e sulla formazione, anche queste perle di “sag-gezza contrattuale”, funzionali alla precarietà. Mettete insieme tempo di apprendistato e flessibilità e avrete l’idea della collaborazione concertativa, dell’attività antioperaia che le due parti esercitano in piena armonia. Il dessert finale è rappresentato dalla “Commissione permanente di confronto” che si dovrà creare in febbraio sui temi della competitività, del-la produttività, dell’orario, del mercato e delle condizioni del la-voro. Su questa commissione, c’è una tale unanimità che nep-pure esisteva al tempo delle corporazioni fasciste…! Si discuterà di tutto, forse prima ancora delle elezioni, fornendo al prossimo governo l’agenda programmatica delle nuove relazioni indu-striali. La vera questione, che verrà messa all’ordine del giorno nella prossima legislatura, sarà la riforma del contratto di lavo-ro. “Serve un contratto nazionale che dia il minimo [!?] e rinviare tutto il resto alla contrattazione aziendale […], devono cambia-re il sindacato e le relazioni industriali, deve cadere la contrap-posizione, il sindacato deve e può essere un partner”, ripete il presidente della Federmeccanica. “Non più una contrattazione territoriale [...] il sindacato deve essere più liberista, l’impresa deve vedere il sindacato come un collaboratore, soprattutto c’è da tener presente che nelle piccolissime imprese i contratti so-no ad personam”. Gli fanno eco tutti i leader sindacali, Cisl in testa: “occorre trac-ciare una nuova cornice di regole che consenta di chiudere i con-tratti in tempi più rapidi e attenuare la conflittualità”, avviando “un modello a doppia velocità; il contratto nazionale stabilirà i diritti universali [!?], poi bisogna accentuare una procedura in azienda decentrata e dove non è possibile, territoriale”. E gli fa eco il vicepresidente della Confindustria: “Così pagheremo i la-voratori secondo la produttività, il merito e le condizioni locali dell’economia. Serve poi una flessibilità concordata che non de-ve essere rinegoziata in azienda e un sistema di relazioni che di-minuisca la conflittualità, ampliando le clausole di tregua sin-dacale e il ricorso a procedure di conciliazione e arbitrato: allo sciopero si deve ricorrere solo in casi estremi”. Il contratto capestro è già operativo, dunque: manca la Riforma del contratto di lavoro. La “sinistra”, presto al governo, non man-cherà di fare il suo sporco lavoro. Ci auguriamo, in assenza di un vero movimento di ripresa della lotta della classe che la faccia finita con una razza di autentici servi, che “qualche duro argo-mento critico” faccia per lo meno la sua piccola parte.

(Le dichiarazioni degli alti papaveri sono tratte dal Sole-24 ore e dal Manifesto del 20/1/2006)

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2006)

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