Per non dimenticare 

 

Ripubblichiamo qui il “Manifesto” che il nostro partito diffuse nel maggio 1968, tramite la sua stampa e la sua rete di sezioni italiane ed estere. L’importanza degli avvenimenti in Francia, e in particolare del lungo sciopero generale che segnò il punto più alto della scontro di classe in Europa nel dopoguerra (nove milioni di scioperanti), è fortemente sottolineata nel n°11 de “Il programma comunista”, il cui editoriale affronta a caratteri cubitali la vera questione per i comunisti, la “Necessità del Partito politico di classe”: alla sua rilettura integrale rimandiamo i compagni,  simpatizzanti e lettori, soprattutto oggi che l’aria è appestata dalle idiozie rievocative del ’68 studentesco, dell’economicismo operaista e dello stalinismo in salsa filo-cinese.

Che allora non ci facessimo alcuna illusione circa la trasformazione di quegli avvenimenti pur straordinari in una realtà pre-rivoluzionaria è sottolineato in modo limpido nell’affermazione dello stesso articolo: “Il grande assente in Francia e nel mondo è il partito. Senza il partito, la sconfitta”. Il brano così continua: “Lo sciopero generale in Francia ha posto in modo brutale l’alternativa che il nostro partito ha indicato sin dal suo sorgere: o risorge il partito comunista mondiale o un’altra più cruda, profonda e sanguinosa disfatta attende le masse operaie internazionali. Più lenta sarà questa resurrezione politica, più doloroso sarà il cammino della preparazione rivoluzionaria. Nascondere questa verità elementare alle masse significa tradirle di nuovo, significa gettarle allo sbaraglio, significa preparare il terreno alla terza guerra imperialistica mondiale, verso cui marcia ineluttabilmente il capitalismo. Non si deve mai nascondere al proletariato la  verità, per terribile che possa essere. Si deve dire chiaro e tondo che la classe operaia, anche nelle sue lotte più generose ed eroiche, non rappresenta alcun pericolo decisivo per il capitalismo se non è guidata dal suo partito politico di classe. Si deve ripetere crudamente, senza infarcire i discorsi di latte e miele, che il ricostituirsi del partito politico, del partito comunista rivoluzionario, non è il risultato di un giorno di lotta, né della volontà di un gruppo di pensatori né tanto peggio la conseguenza di accordi, alleanze, dialoghi fra gruppi o partiti politici disparati. Il partito politico di classe è il naturale risultato di una lunga, profonda lotta senza quartiere contro tutti i nemici della rivoluzione comunista, durante la quale un’avanguardia proletaria cosciente si appropria degli strumenti programmatici, politici ed organizzativi quali sono stati tramandati dalla tradizione di lotta rivoluzionaria del comunismo marxista. E’ nel fuoco di questa lotta che si enuclea la compagine del partito di classe per misurarsi con i nemici del proletariato sul terreno della lotta di classe, dovunque questa divampi, arruolando gli operai più combattivi e decisi, per influenzare le grandi masse con i suoi organi specifici nelle fabbriche, nei sindacati, in ogni organizzazione di classe, al fine di indicare al proletariato, in un unico ed unitario indirizzo programmatico e politico, gli obiettivi immediati e finali della lotta”.

Nello stesso numero, si avverte che il giornale è “prevalentemente  dedicato a quel grandioso sintomo di risveglio delle lotte di classe […] E’ un numero i cui articoli vanno letti in connessione l’uno con l’altro, perché illuminano aspetti diversi del potente episodio, le cui conclusioni generali abbiamo cercato di trarre nel Manifesto in terza pagina [...] senza con questo pretendere di esaurire un tema che va inquadrato nella crisi mondiale”. Ricordiamo dunque, oltre ai testi dei molti volantini diffusi in Italia e in Francia e riprodotti nelle pagine interne, gli articoli “Ampiezza e limiti dello sciopero francese”, “Alla gogna”, “La contestazione, antitesi della Rivoluzione”, “Il comunismo a testa in giù dei ‘filocinesi’”. Sul n° 55 del nostro “Le Proletaire”, inoltre, gli articoli, già nei soli titoli, documentano anch’essi l’ampiezza delle questioni: “La grande ‘forza tranquilla’, formula della disfatta operaia”, “Le elezioni, funerale di prima classe della lotta proletaria”, “Che cosa significa propriamente la campagna della CGT e del PCF contro la ‘provocazione’”, “Potenza e limiti del movimento di sciopero”, “La menzogna democratica”, “Gli antagonismi, conciliati nella ‘cogestione’”, “Il proletariato e la violenza”, “Gli accordi di Grenelle”. Questo lavoro, di denuncia e chiarificazione, continuerà poi nelle settimane e nei mesi successivi, sia sulle pagine della nostra stampa internazionale sia nell’attività pratica delle nostre sezioni e dei nostri gruppi di fabbrica in Italia come in Francia: e costituisce a tutt’oggi il miglior bilancio storico del ’68 operaio, contro tutte le interpretazioni opportuniste e piccolo-borghesi da cui siamo appestati in occasione di questa ricorrenza.

Una breve cronologia ci permette di evidenziare i punti più salienti dello scontro di classe. A metà maggio, dopo la festosa rivolta studentesca (avanguardia della piccola borghesia in via di precipitosa proletarizzazione), finalmente l’iniziativa e la direzione della lotta passa nelle mani degli operai con l’occupazione delle fabbriche: prima a Nantes, poi alle officine Renault di Cléon. Gli scioperi spontanei, a tempo indeterminato, si estendono rapidamente in tutta la Francia, e le lotte non restano confinate nelle fabbriche (dove vari gruppuscoli tentano di propagandare forme di autogestione). In poco meno di 15 giorni, dai 200.000 iniziali gli scioperanti raggiungono l’immensa forza di nove milioni. La Francia è paralizzata e la frattura tra operai e studenti è compiuta. Non si torna indietro: la forza di classe ha messo in moto la sua grande energia. Dal punto di vista economico, gli operai si battono per un aumento dello Smig (salario minimo interprofessionale) e per una forte riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; ma il processo stesso della lotta li spinge oltre la dimensione economica. E’ crisi sociale e politica: loro malgrado, il Pcf e la Cgt  sono costretti a cavalcare il movimento di lotta, ma gli operai respingono gli accordi di Grenelle, che sindacato e partito stalinista concordano con il Governo: un incremento salariale dal 7% al 10% non può bastare, come non può bastare la diminuzione dell’orario di lavoro di un’ora settimanale. Nel corso degli scontri con la polizia a Lione e a Parigi, due operai vengono uccisi (la Cgt decreta la sospensione del lavoro... per un’ora!). Il governo Pompidou è a un passo dalla caduta, le sinistre politiche entrano in collisione  su chi debba salvare la patria dalla crisi e il presidente De Gaulle prepara un rientro autoritario con le truppe francesi di stanza in Germania (si schierano i carri armati lungo la frontiera tedesca). Vengono sciolte le Camere e vengono imposti gli accordi di Grenelle, il raduno di un milione di gaullisti riporta l’ordine democratico a Parigi: non prima che i partiti politici abbiano convocato, in piena concordia, le elezioni legislative per il 23 giugno. Gli operai ritornano nelle fabbriche- galere. A fine giugno, l’Udr, il partito gollista, raggiunge la maggioranza assoluta, con il 43,65% di voti.

Questo lo scenario. Prima di passare al nostro “Manifesto” (i lettori che fossero interessati anche agli altri articoli usciti sulla nostra stampa, ce lo facciano sapere scrivendo a: Edizioni Il programma comunista, Casella postale 962, 20101 Milano), un’avvertenza. Nel testo si fa riferimento alla possibilità della “riconquista della CGIL rossa. Tale obiettivo non riguardava certo la riconquista di un’organizzazione partorita dal laboratorio della controrivoluzione  europea, e da sempre considerata dal nostro partito erede legittima delle corporazioni fasciste. Ciò che era da riconquistare, attraverso l’azione dei nostri gruppi di fabbrica, era un contenuto di classe all’interno di una struttura organizzativa – contenuto che, nello scontro aperto e quotidiano con l’opportunismo sul piano della lotta di difesa economica, avrebbe spezzato vecchi involucri e vecchie catene. La verifica dell’impossibilità storica nell’epoca dell’imperialismo di una tale trasformazione porterà alle “Tesi sindacali” del 1972, e dunque alle nostre attuali posizioni che non prevedono più una lotta per conquistare spazi all’interno delle attuali organizzazioni sindacali, pur lavorandovi dentro – come dentro a qualunque altro organismo di difesa economica nato nel corso del tempo – fin quando è possibile farlo restando su un terreno classista.

 

 

 


La classe operaia si è levata in piedi gigantesca:

che la tensione del poderoso moto non vada perduta! [1]

 

 

Proletari, compagni!

L’ondata di scioperi che ha invaso la Francia turbando per quindici giorni i sonni di una borghesia che in tutto il mondo si era illusa di aver per sempre allontanato lo spettro dell’arresto generale e prolungato della produzione è una nuova conferma della vitalità perenne della tesi marxista secondo la quale l’esplosione del contrasti interni della società capitalistica può essere differita con tutti i mezzi della corruzione politica e della violenza fisica, ma non EVITATA; essa è nello stesso tempo una manifestazione e il preannunzio della crisi ben più vasta e profonda che va maturando a ritmo accelerato IN TUTTO IL MONDO nelle viscere di una società gonfia di illusorio benessere. Ritorna a battere alle porte della società capitalistica lo spettro della lotta rivoluzionaria di classe; ritorna ad affacciarsi all’orizzonte quel conflitto tra capitale e lavoro, al quale politici e  intellettuali, generali e tecnocrati, filosofi e preti, borghesi e servi dei borghesi, avevano potuto credere di intonare per sempre il de profundis, e che può solo concludersi, in una prospettiva che non è di oggi, ma che l’OGGI INEVITABILMENTE PREPARA, nella rivoluzione proletaria.

E’ questa la prima, grande lezione, o meglio la grande CONFERMA e la grande CERTEZZA, che scaturisce per i proletari di tutti i paesi dallo sciopero francese, uno sciopero quale da trent’anni non si conosceva e che per due settimane ha paralizzato l’intera vita economica dello Stato che, in Europa, più orgogliosamente pretendeva di aver scoperto la ricetta definitiva per conciliare le classi nella sedicente unità “suprema” della nazione.

La seconda grande conferma del marxismo che scaturisce da questo moto generoso, intorno al quale i governanti di tutti i paesi e gli opportunisti al loro seguito hanno steso una cortina di tremebondo silenzio, è che qualunque sforzo di emancipazione della classe operaia dal giogo che pesa quotidianamente sulle sue spalle è destinato a fallire se manca alla sua testa la direzione POLITICA del partito DI CLASSE: del partito cioè che si propone di riformare una società irriformabile, ma di abbatterla dalle fondamenta per costruire sulle sue macerie la società socialista, e che, insieme alla COSCIENZA di questo fine, possiede la coscienza dei mezzi per raggiungerlo – la preparazione della conquista violenta del potere e della dittatura proletaria – e la volontà, cioè l’organizzazione unitaria e centralizzata, per impugnare quei mezzi e realizzare quel fine. I proletari francesi scesi il lotta CONTRO la volontà dei loro “dirigenti” pacificatori e riformisti hanno cercato istintivamente questa gigantesca forza di guida politica rivoluzionaria e non l’hanno trovata; NON POTEVANO trovarla, perché quarant’anni di controrivoluzione l’hanno violentemente distrutta privando i proletari nello stesso tempo della chiara visione della prospettiva rivoluzionaria e dello strumento che solo può unificare le sue forze gigantesche per volgerle verso la presa violenta e totalitaria del potere. Senza teoria rivoluzionaria non v’è azione rivoluzionaria; ma teoria rivoluzionaria vuol dire partito rivoluzionario.

 

Proletari , compagni!

Quindici giorni di sciopero generale non hanno scosso il piedistallo su cui poggia il potere capitalistico, anche se ne hanno temporaneamente paralizzato gli ingranaggi, non perché questo potere abbia avuto la forza fisica di schiacciare il grandioso moto di ripresa della lotta di classe in Francia (del resto, il potere non ha tentato nemmeno di farlo), ma perché tutte le varianti dell’opportunismo sono intervenute ad impedire che il moto stesso uscisse dai binari della legalità e dell’ordine e imboccasse la strada maestra verso il suo sbocco NATURALE: lo scontro aperto col nemico. A questi autentici cani di guardia si deve se, uno dopo l’altro, i reparti di un esercito proletario, all’origine unito al di sopra di ogni limite di località  e categoria, hanno ripreso il lavoro. Sono i cani di guardia che noi abbiamo sempre denunciato e che, nei giorni della grande paura borghese, hanno ballato sulle spalle dei proletari e per conto dei padroni la loro macabra danza.

Sono i partiti che ancora osano chiamarsi “comunisti” ma che hanno ereditato il peggiore bagaglio teorico e pratico della vecchia socialdemocrazia imbelle e servile, predicando come essa la via “pacifica” al socialismo e additando nella democrazia NON L’OPPIO col quale il capitalismo addormenta l’istinto di classe del proletariato, ma, al contrario, il mezzo, IL SOLO MEZZO, col quale essi possono emanciparsi. Partito Comunista Francese e Confederazione  Generale del Lavoro hanno prima SUBITO passivamente uno sciopero che NON volevano e del quale hanno sconfessato fin dall’inizio il carattere GENERALE e ILLIMITATO, poi sono corsi rapidamente a imprigionarlo nei confini della fabbrica e dell’orizzonte ristretto di vaghe rivendicazioni salariali, creando intorno alle fabbriche un cordone sanitario, perché non contagiassero la “ piazza” e non si lasciassero a loro volta contagiare dalla propaganda rivoluzionaria marxista, hanno vilmente accettato di trattare coi padroni mentre lo sciopero toccava il vertice  della sua compattezza, e infine, NON ESSENDO RIUSCITI subito ad ottenere dagli operai il ritorno al lavoro per la maggior gloria della “ patria” francese, l’hanno trasformato in un ignobile strumento elettorale, in un trampolino per la raccolta di voti, in scalata al parlamento, l’ennesimo turno di “ riforme”: il ritorno alla normalità era ed è per essi, esattamente come per De Gaulle, l’imperativo dell’ora. Questi partiti che si vantano di aver conciliato il tricolore e la bandiera rossa, la Marsigliese e l’Internazionale, il patriottismo e... l’internazionalismo, hanno essi stessi indicato la ricetta per ottenere che un moto potenzialmente eversivo e, nei fatti, spintosi al di là dei limiti della legalità borghese si trasformasse – per usare la loro indegna parola – in una “grande forza TRANQUILLA”, preludio (nelle loro intenzioni ed illusioni) alla creazione di un “nuovo” governo, di un governo “migliore” più efficiente, “più popolare”, dunque più capace di salvare la pericolante baracca dell’economia nazionale, della repubblica di lor signori, della patria di sua maestà il Capitale. Il voto venne offerto come valvola di sfogo della collera proletaria: il governo non si è lasciato pregare ad accettarlo – era la sua àncora di salvezza.

A quest’opera nefanda di sabotaggio del salutare illegalismo e della sacrosanta collera dello sciopero generale francese hanno dato mano coloro che, come i “ filocinesi”, predicano bensì la violenza, ma per gli stessi obiettivi popolari, democratici, interclassisti, che i falsi comunisti del Cremino si propongono.

Noi denunciamo oggi, COME ABBIAMO DENUNCIATO SEMPRE, questi falsi pastori opponendo violentemente alla loro ideologia bastarda la chiara parola della dottrina marxista: La società capitalista non può essere “riformata”, ma deve essere distrutta dalle fondamenta; l’obiettivo del proletariato non è un “buon salario” o una “giusta mercede”, ma l’ABOLIZIONE DEL SALARIATO; non è il “progresso dell’espansione democratica” ma LA DISTRUZIONE DEI RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI, del mercato, della concorrenza, della produzione sottomessa alle esigenze del profitto; l’unica via per raggiungere questo obiettivo è la via della rivoluzione e della dittatura proletaria, e questa PASSA SOPRA IL CADAVERE DELLA DEMOCRAZIA, del parlamento, delle riforme, del rispetto della legalità, del rifiuto della capitolazione di fronte alle “esigenze dell’economia nazionale”, della servile adorazione del feticcio della patria.

Da questa palude del riformismo e del democratismo hanno preteso di sollevare i proletari francesi quelle forze che non da oggi il marxismo denunzia anche quando ne difende contro la canea dei benpensanti la generosa aspirazione a scavalcare con la violenza la muraglia dell’Ordine borghese: le forze che negano la necessità dell’organizzazione della violenza DI CLASSE nel partito politico rivoluzionario comunista; le forze che parlano bensì di rivoluzione, ma la scambiano per la rivolta dell’individuo e della massa informe degli individui che è “il popolo”, e la confondono con la “protesta” della “coscienza individuale” o “collettiva”; le forze che respingono il principio fondamentale della dittatura proletaria, quindi dello Stato del proletariato diretto dal Partito come interprete dei suoi fini storici e dei suoi interessi anche immediati; le forze che cianciano di “presa del potere”, ma negano che il potere è UNO SOLO, lo Stato centrale e centralizzato della classe nemica, e illudono i proletari che esso si trovi e quindi possa essere conquistato LOCALMENTE, nella fabbrica, nell’azienda, nel comune, nel villaggio, nei mille istituti PERIFERICI della dominazione borghese, magari… nella scuola, nell’università, nei templi della ruffianatissima “cultura”. E’ il vecchio nemico piccolo-borghese, individualista e anarchico, ritorni esso con la sua classica bandiera o nella sua nuovissima veste di “movimento studentesco” o di “potere operaio”.

Tutte queste forze, fra le quali i trotzkisti hanno fatto la spola accodandosi ora a questa ora a quella e servendone ognuna, hanno contribuito obiettivamente a privare gli operai di un indirizzo preciso ANCHE SOLTANTO sul terreno delle rivendicazioni economiche; anche quando si combattevano fra loro, tutte hanno collaborato – chiedendo “più democrazia” o negli istituti costituzionali o nella fabbrica o negli enti di categoria e annegando il sano moto di classe del proletariato nell’irrequietudine informe del “popolo” – a spianare il terreno al ritorno in scena dei politicanti in cerca di un posto al sole del parlamento o del governo; tutte, coscientemente o incoscientemente, hanno offerto al potere centrale dello Stato e al suo oracolo in veste di generale-presidente la possibilità di riprendere in pugno senza colpo ferire le redini che per un momento erano sembrate sfuggirgli. Per un verso o per l’altro, tutte hanno salvato la democrazia, vecchia o “nuova”, falsa o “vera”, parlamentare o “diretta”. Al suo seguito, è rinata, avvolta nel tricolore della Francia, sua santità l’Ordine: frantumata l’agitazione, apertasi la campagna elettorale, isolati i nuclei ancora scioperanti, è cominciata la repressione violenta nelle piazze e nelle fabbriche.

E’ anche questa una conferma, nascente dai fatti stessi ai quali tutto il mondo ha assistito fremendo o di paura o di speranza, della dottrina marxista.

 

Proletari, compagni !

La classe proletaria francese si è levata in un gigantesco slancio di collera: le briciole economiche con le quali si è voluto “accontentarla” e la mistificazione democratica in nome della quale le si è fatto riprendere il lavoro, segnano la sua INEVITABILE MA TEMPORANEA sconfitta. Ma non per questo la sua splendida lotta è stata vana, e SARA’ ANZI, come tante volte nella storia, IL PRELUDIO DELLA RISCOSSA E DELLA VITTORIA se coraggiosamente i proletari di tutto il mondo ne trarranno la grande lezione.

Questa lezione l’ha già tratta e la trae il Partito Comunista Internazionale, perché ha difeso nei tempi anche più bui della controrivoluzione, solo contro tutti, l’integrale e immutabile programma rivoluzionario marxista. Questa lezione, che per il partito E’ UNA CONFERMA DI VERITA’ CONOSCIUTE PRIMA DEI FATTI, voi sarete costretti a trarla per conto vostro dalla terribile realtà della vostra condizione di classe sfrutta e derisa. Essa vi dice:

Ogni giorno più, in tutti gli angoli del mondo uscito dalla seconda guerra imperialistica e immerso nella seconda pace democratica, nella Francia dello sciopero generale recente o nell’Inghilterra governata dal laburismo sabotatore degli scioperi, nei paesi ex coloniali assurti ad una fittizia indipendenza o eroicamente in lotta per conquistarla e nell’America in preda ai travagli di una crisi che nessun partito e nessun uomo della classe dominante può risolvere, nella Russia in cerca di competizioni mercantili e di coesistenza pacifica o dovunque, la crisi galoppante del regime capitalista vi mette di fronte all’alternativa che invano gli agenti del riformismo e del collaborazionismo hanno tentato o tentano di mascherare dietro la cortina fumogena dell’illusione pacifista e democratica: O DITTATURA DEL PROLETARIATO O DITTATURA DEL CAPITALISMO, O RIVOLUZIONE COMUNISTA O GUERRA MONDIALE FRA GLI STATI.

Questa alternativa non l’ha “inventata” il marxismo: essa scaturisce dalle leggi inesorabili dell’economia basata sul vostro sfruttamento. Accetti il proletariato la sfida suprema che il nemico le lancia, PREPARANDO LE CONDIZIONI DELLA RIVOLUZIONE MONDIALE E DELLA SUA VITTORIA.

La preparerà, sotto la guida del Partito comunista mondiale, cacciando dalle proprie file i multicolori profeti del pacifismo, del riformismo, del democratismo, imbevendo le organizzazioni sindacali dell’ideologia comunista e facendone la cinghia di trasmissione dell’organo di guida politica, il Partito, scavando in seno ad esse una trincea invalicabile, fra proletari rivoluzionari e servitori opportunisti del capitale, strappandone la direzione dalle mani dei bonzi cresciuti alla greppia del “dialogo” coi padroni e con lo Stato, stringendosi intorno alla bandiera del Partito il cui programma rivoluzionario non conosce confini di categoria e di Stato e che, dal 1848 del MANIFESTO DEI COMUNISTI, nella buona e nella cattiva fortuna, ha giurato morte al capitale.

Premuto dalle sue crescenti lacerazioni interne, ossessionato da esplosioni che ogni giorno eruttano incontenibili dal suo fradicio terreno, il capitalismo sarà costretto ad inasprire ancora la sua dittatura su di voi, proletari, nel disperato sforzo di salvarsi; DOVRA’ scatenare contro di voi, contro le vostre più elementari esigenze di vita e di lavoro, un’implacabile offensiva. La lotta sarà dura e l’avversario della vostra classe la condurrà senza esclusione di colpi, ma si concluderà con la vostra vittoria se FIN DA OGGI, stretti intorno ai nostri gruppi di fabbrica e di sindacato per la ricostruzione del Sindacato Rosso, per il ritorno della CGL alle tradizioni di un lontano passato di formidabili lotte di classe [2], vi batterete:

 

 

  • PER L’UNIFICAZIONE DI TUTTE LE LOTTE E DI TUTTE LE VERTENZE ECONOMICHE, al di sopra dei confini di categoria, di azienda, di località e anche di Stato, IN UNA SOLA LOTTA E IN UNA SOLA VERTENZA;
  • Per l’unità e totalitarietà della loro DIREZIONE POLITICA DI CLASSE, che solo il Partito comunista può dare;
  • Per le sole rivendicazioni capaci di unire tutte le vostre forze e nello stesso tempo di intaccare alle fondamenta il regime sfruttatore del capitale:
  • Riduzione generale e radicale della giornata di lavoro,
  • Aumento generale e drastico dei salari, più forte per le categorie peggio retribuite, con eliminazione dei premi, dei cottimi, degli incentivi,
  • Corresponsione del salario completo ai disoccupati.

 

 

Sono per voi le condizioni MINIME di esistenza. Strillino i padroni che rivendicarle significa pregiudicare le condizioni di vita delle aziende e le basi dell’economia nazionale. Crepino dunque le aziende! Crepi l’economia nazionale!

Sono OBIETTIVI IMMEDIATI MA DI CLASSE; battendovi per essi, stringendovi intorno al nostro partito – che lega queste rivendicazioni immediate ALLA PROSPETTIVA FINALE RIVOLUZIONARIA – voi ricostruirete l’esercito internazionale del proletariato diretto dal suo partito, e preparerete quell’assalto rivoluzionario al potere internazionale borghese che si concluderà con la distruzione dell’apparato nazionale e internazionale di oppressione della vostra classe – lo Stato borghese – , e con l’instaurazione della dittatura proletaria, per la realizzazione del Comunismo!

 
 
 
Note:

 
1 Da “Il programma comunista”, n° 11, 16-30 giugno 1968, nel supplemento “Spartaco – Pagina di impostazione programmatica e di battaglia dei militanti del Partito comunista internazionale iscritti alla Confederazione generale del lavoro”.
 
 
 
Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2008)

 

 
 

 

 

 

 

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