Grano e capitalismo

(all’aumentare della ricchezza totale prodotta aumenta la fame)

 

Tragiche conferme

Dal punto di vista dell’ideologia dominante e dell’opinione pubblica, il periodo attuale sarebbe caratterizzato dalla “fine delle ideologie”, cioè dalla tanto agognata fine della contrapposizione tra le classi, ognuna con un suo programma indipendente, riflesso di interessi inconciliabili. Questa “fine delle ideologie” è però, in effetti, la manifestazione totalitaria dell’ideologia borghese, che mistifica come “dogmatismo” la realtà della lotta di classe, della miseria crescente, della tendenza alla guerra (uno “scienziato” borghese, Amartya Sen, è stato premiato con il Premio Nobel dai suoi colleghi, proprio per aver teorizzato che le carestie non si verificano nei paesi democratici!). Eppure, i fatti sono tremendamente testardi, e danno ogni volta ragione a noi che, ostinati, rimaniamo con la testa nella realtà piuttosto che all’eclettismo della pseudo-scienza borghese, aperta e democratica.

Prendiamo, per esempio, due vecchie conquiste concettuali comuniste: la legge della miseria crescente e l’aumento del prezzo dei mezzi di sussistenza. Ebbene, proprio su due problemi così pratici, il nostro essere attaccati alle sole leggi che descrivono la dinamica del modo di produzione capitalistico – cosa che per i nostri nemici è sintomo di dogmatismo – risulta essere l’unico modo per capire i fatti e i loro sviluppi. E per i comunisti capire il mondo è una parte del lavoro necessario per cambiarlo.

E’ da diversi mesi che seguiamo l’aumento del prezzo dei cereali. In questi mesi, abbiamo studiato le analisi borghesi che cercavano di spiegare il fenomeno e di azzardare delle soluzioni; e, già di per sé, questo materiale confermava la vittoria dottrinale del comunismo e la necessità e l’urgenza pratica delle sue soluzioni, di fronte a problemi drammaticamente concreti: la fame, la diminuzione del potere d’acquisto dei salari, il maggiore sfruttamento dei proletari. Nel frattempo, i fatti e i dati si sono accumulati e la crisi alimentare, da sintomo preoccupante, si sta trasformando ogni giorno di più in problema cronico. Quel che resta da raccontare sono le cause del problema e le sue possibili soluzioni.

 

I fatti

Dal marzo 2007 a oggi, il prezzo del grano è salito del 130%, quello della soia dell’90%, quello del riso del 75%. La tendenza, secondo le massime istituzioni borghesi, è al peggioramento. Secondo un documento della Banca mondiale: “i prezzi degli alimentari resteranno sicuramente elevati per tutto il 2008 e il 2009 […] la maggior parte dei prodotti almeno fino al 2015 resterà più cara di quanto non fosse nel 2004” (IlSole-24 ore, 10 aprile 2008: “Altri sette anni di rincari per i prodotti agricoli”). E’ dal 2007 che la FAO lancia l’allarme e chiede ai paesi donatori di rispettare i loro impegni, al punto che, a febbraio 2008, visto che le donazioni dei paesi ricchi continuavano a scarseggiare, ha minacciato di razionare gli aiuti o di bloccarli del tutto. Poco importava se l’aumento del prezzo dei cereali negli ultimi due anni aveva condannato alla fame altri 100 milioni di persone (dati della Banca Mondiale). La ipocrita preoccupazione dei borghesi ha subito un’impennata solo quando la fame si è trasformata in rivolta per il pane. Vi erano già stati degli episodi sporadici in India e Messico nel corso del 2007, ma poi le rivolte sono esplose, da aprile di quest’anno, in diversi paesi del mondo, radicalizzandosi e contagiandosi: così, proprio in questo mondo caratterizzato dalla “fine delle ideologie” e dal superamento della lotta di classe, abbiamo assistito agli assalti ai forni e agli scontri con l’esercito da parte delle masse, che hanno causato centinaia di vittime in Egitto, Giordania, Marocco, Tunisia, Haiti, Messico, Salvador, Argentina, Senegal, Costa d’Avorio, Camerun, Mozambico, Burkina Faso (al riguardo, si veda il nostro articolo in un’altra pagina del giornale). La FAO denuncia che 36 paesi, in Africa, Asia e America Latina, rischiano la guerra civile.

In altri paesi, sono stati poi introdotti la tessera alimentare e il razionamento, e non solo nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo”: Stati Uniti e Gran Bretagna scoprono il razionamento alimentare, e nei supermercati Wal-Mart si possono acquistare solo 4 [chili ????] di riso per volta.

Per la prima volta dal 1981, il prossimo vertice del G8 sarà costretto a discutere del problema dei prezzi dei beni di prima necessità, mentre, in ogni loro discorso, i capi di turno della borghesia internazionale sentono di dover citare questo problema, che fino a poco tempo fa si pensava definitivamente relegato nella storia passata.

 

Le analisi e le soluzioni borghesi

Davanti al problema dell’aumento dei prezzi del grano, del riso e dei cereali in genere, gli scienziati sul “libro paga” della borghesia hanno prodotto un numero enorme di studi su aspetti particolari del fenomeno. Da tutti questi studi, emergono sei cause, che sintetizziamo qui di seguito:

 

  1. L’aumento del consumo di carne e di grano da parte di paesi in forte espansione economica, come la Cina o l’India: in questi paesi, si ha un processo frenetico di urbanizzazione della popolazione, che si concentra in città con decine di milioni di abitanti; dunque, l’aumentato consumo di carne, legato anche al tipo di vita della città, determina anche l’aumento della domanda di cereali da utilizzare come mangimi;
  2. L’aumento delle terre destinate alla produzione di mais e soia per scopi energetici, cioè la produzione di etanolo e biodisel: il che comporta una diminuzione della terra destinata alla produzione per il consumo alimentare;
  3. L’aumento dei costi del gasolio e dei fertilizzanti chimici;
  4. La siccità e l’aumento dei costi dell’acqua;
  5. I sussidi all’agricoltura e il protezionismo, soprattutto da parte dell’UE e degli USA;
  6. La speculazione finanziaria: si può scommettere in borsa sull’aumento del prezzo dei cereali e questo porta a un ulteriore aumento speculativo.

 

Nel seguito dell’articolo faremo la critica della “teoria” borghese rispetto alla sua capacità di comprendere la realtà, ma è soprattutto a proposito delle soluzioni da dare che si conferma la funzione parassitaria, distruttiva e conservatrice del capitale. Dopo più di due secoli di storia del capitalismo, e di conseguente “lotta alla fame”, la borghesia oscilla ancora oggi tra soluzioni di tipo malthusiano (proponendo cioè un controllo delle nascite, sostenendo che non vi sono abbastanza risorse per tutti, ecc.) e soluzioni opposte ma altrettanto “morali” (ossia affidandosi a una tecnologia che si ponga idealmente al servizio dell’uomo, a un “mercato etico” orientato verso i bisogni dell’uomo, ecc.). Si ammette che la tecnologia e il livello raggiunto dalla scienza potrebbero consentire un incremento della popolazione e il soddisfacimento dei bisogni alimentari, ma si affida tale strumento alle mani del... mercato etico. Le due soluzioni borghesi, quella malthusiana e quella etico-progressista (che dimostra come le risorse attuali potrebbero sfamare una popolazione tre volte superiore a quella attuale) sono tra loro speculari e complementari e hanno in comune la funzione di perpetuare il sistema capitalistico. Entrambe le soluzioni borghesi rappresentano i due estremi entro cui si possono trovare tutta una serie di sfumature e combinazioni, sono vecchie di secoli e sono state continuamente smentite dalla ostinata persistenza della fame. In definitiva, sono inefficaci perché non possono uscire dai limiti della società mercantile.

In realtà, è proprio la natura di merce degli alimenti, ben evidenziata dalla critica comunista, il punto centrale e l’ostacolo storico da superare.

 

La critica comunista e la scienza borghese

La nostra teoria non ha una funzione accademica di ricerca di un vero assoluto ma risponde a una necessità pratica di arma di lotta contro il capitale. La nostra teoria è uno strumento per la lotta della nostra classe e proprio questo suo essere strumento di una classe che non ha niente da perdere tranne le proprie catene rende la nostra dottrina oggettiva, capace di guardare la realtà senza pregiudizi e, quindi, di essere scienza. Le nostre analisi scientifiche sono quindi anche risposte pratiche. E’ chiaro che al partito del proletariato il problema dell’aumento del prezzo del pane si presenta in maniera diversa da come lo può porre un accademico borghese che prepari un seminario di studio. Attraverso la lotta polemica e la critica delle tesi borghesi e opportuniste, il nostro metodo offre alla classe proletaria gli elementi per la comprensione e la soluzione di un problema: dà una indicazione d’azione.

In particolare, rispetto alla questione del prezzo del grano, tutte le cause indicate dagli studiosi borghesi sono solo fenomeni esteriori e secondari alla vera causa che nessun giornale borghese e nessuno studio accademico vorranno mai scoprire: la proprietà capitalistica della terra, la gestione capitalistica dell’agricoltura, il carattere di merce degli alimenti.

 

Primo fenomeno: il consumo di carne e di grano da parte di paesi in forte espansione economica, come la Cina o l’India

E’ vero che si hanno l’aumento della popolazione delle città e lo spopolamento delle campagne: ovvero, i contadini (che prima producevano la propria stentata sussistenza) diventano proletari e devono acquistare gli alimenti sul mercato; e che, corollario di questo fenomeno, la vita urbana consuma una alimentazione più ricca di proteine di origine animale. Ma tutto questo è noto al comunismo scientifico come un effetto della legge della miseria crescente, come effetto della separazione tra città e campagna, con il predominio della prima sulla seconda.

 

Secondo fenomeno: i biocarburanti

Anche il “fatto nuovo”, per cui la coltivazione delle terre è destinata a produzioni non alimentari, come l’etanolo o il biodiesel, è solo una conseguenza della gestione capitalistica dell’agricoltura, per cui i bisogni umani passano in secondo piano rispetto alla produzione per il profitto. Nonostante tutti i piagnistei etici dei borghesi filantropi, il comunismo ha dimostrato che il capitale ha le sue leggi economiche, che determinano la sua traiettoria destinata a entrare in crisi perché incapace di sfamare la totalità dei propri salariati. Il “fatto nuovo” per cui la terra è dedicata alla produzione di etanolo e di biocarburante, e non di grano, è vecchio come il capitale: è solo una conseguenza delle leggi del sistema capitalistico, mercantile, che da sempre deve preoccuparsi più di sfamare le bocche dei motori che gli stomaci degli uomini.

 

Terzo fenomeno: l’aumento dei costi del gasolio e dei fertilizzanti chimici

Anche qui, niente di nuovo. Per affrontare la questione in maniera seria, bisogna ricorrere alla teoria marxista della rendita, dato che anche il prezzo del petrolio e dei suoi derivati ne è influenzato. Questo vuol dire che anche le risorse energetiche sono soggette alla proprietà capitalistica e alle leggi del suo mercato, ed è per questo motivo che la società nel suo complesso e in particolare le classi sfruttate devono pagare un prezzo a una classe proprietaria, che monopolizza le risorse della terra, necessarie alla vita. Per quanto riguarda l’uso dei fertilizzanti, l’esercizio capitalistico dell’agricoltura, avendo di mira solo il profitto immediato e non la conservazione della fertilità del suolo per le generazioni future, ha incrementato la produttività grazie soprattutto all’utilizzo dei concimi chimici che, oltre a enormi problemi di tipo sanitario e ambientale, ha comportato un continuo, crescente ed esponenziale impoverimento della fertilità stessa, con il parossistico bisogno di continuare a “fertilizzare”. A ciò contribuisce anche la separazione tra città e campagna, per cui i residui organici che potrebbero servire a ricostruire la fertilità del suolo vengono dispersi nell’ambiente in maniera irrazionale. Gli scienziati borghesi scoprono tutto ciò... solo ora, e come fatto di per sé isolato, ma già nel Capitale di Marx si constatava che “Grande industria e grande agricoltura a conduzione industriale agiscono di conserva. Se in origine si separano nel senso che la prima devasta e rovina più la forza di lavoro e perciò la forza naturale dell’uomo, e la seconda più la forza naturale del suolo, in seguito le due si tendono costantemente la mano, nel senso che il sistema industriale delle campagne svigorisce anche gli operai e, da parte loro, industria e commercio forniscono all’agricoltura i mezzi per esaurire il suolo” (Il Capitale, libro III, Cap. 47, “Genesi della rendita fondiaria capitalistica”).

 

Quarto fenomeno: la siccità e l’aumento del costo dell’acqua

Siamo sempre sullo stesso punto fondamentale del monopolio capitalistico. Fino a pochi anni fa, si discuteva ancora , tra gli scienziati borghesi, a proposito di cambiamenti climatici e di distruzione dell’ambiente: ma, ora, quelli che sono ancora dubbiosi sono sempre meno, benché sia sempre sulla soluzione che inciampano e non possono capire. La proprietà capitalistica dell’acqua (la natura di merce dell’acqua) è uno di quei casi che meglio permettono di porre in evidenza l’assurdità storica di questo sistema: “Una parte della società pretende qui dall’altra un tributo per il diritto di poter abitare la terra, come in generale nella proprietà fondiaria è incluso il diritto del proprietario di sfruttare la terra, le viscere della terra, l’aria e quindi la conservazione e lo sviluppo della vita”(Il Capitale, ibidem), mentre “dal punto di vista di una più elevata formazione economica della società [cioè, dal punto di vista del comunismo, NdR] la proprietà privata del globo terrestre da parte di singoli individui apparirà così assurda come la proprietà privata di un uomo da parte di un altro uomo”(ibidem).

 

Quinto fenomeno: i sussidi all’agricoltura

Anche Bush, così come i maggiori capi di stato, nei suoi ultimi discorsi ha dovuto dire qualcosa sulla crisi alimentare. Ma, nonostante la loro ipocrisia, gli imperialismi dominanti conoscono molto bene il modo di sfruttare e ricattare i paesi fornitori di materie prime, afferrandoli letteralmente per la gola. Le varie leggi di sussidio all’agricoltura sfornate dagli imperialismi dominanti costituiscono un vero e proprio sistema protezionistico, con il quale essi riescono a tenere alti i prezzi quando la produzione è “troppo buona” (assurdità e contraddizione in termini, possibili solo nel sistema del profitto!), a vincere la concorrenza dei paesi non industrializzati e a conquistare il controllo di mercati strategici dal punto di vista delle materie prime, imponendo le loro contrattuali condizioni-contrattuali, in cambio di aiuti alimentari (per esempio, il piano “Oil for Food”). Sono anni che gli imperialismi dominanti impongono agli stati economicamente più deboli di aprire i mercati, proprio mentre loro continuano a litigare, ad esempio all’interno del WTO, soprattutto in merito alle leggi sugli aiuti di stato all’agricoltura, in particolare negli USA e nell’UE. Gli ultimi episodi hanno accentuato il protezionismo: risulta infatti evidente, per ogni stato, il ruolo svolto dal prezzo degli alimenti dal punto di vista della capacità di controllo delle tensioni sociali.

 

Sesto fenomeno: speculazione finanziaria sui cereali

Quello che si può dire è soprattutto che questo è uno dei casi tipici in cui la borghesia mostra di avere una visione capovolta della realtà e scambia le apparenze esteriori con le cause che le hanno prodotte. Se è possibile fare della speculazione finanziaria sul grano, è solo perché la struttura economica ha determinate leggi di produzione e di mercato, che portano all’aumento dei prezzi: non è la speculazione finanziaria che ha determinato questo aumento dei prezzi, bensì l’aumento dei prezzi come legge economica di fondo, che guida la speculazione finanziaria. Al limite, la speculazione finanziaria può aggravare il fenomeno, ma non lo determina. L’imperialismo è l’epoca del dominio del capitale finanziario su quello produttivo, e conferisce nuove forme sovrastrutturali al capitale: ma il capitale finanziario si basa sempre sulla produzione, deve sempre fare i conti con essa.

 

In definitiva, dunque, di tutte le “cause” indicate dalla borghesia ci importa non tanto trovare qual è quella determinante, ma considerarle come aspetti parziali di un processo generale. Ciò di cui si ha bisogno è scoprire il filo rosso che passa attraverso questo intreccio di fatti molteplici, cioè studiare le tendenze fondamentali che agiscono alla base dei fenomeni.

 

La teoria della rendita

Sotto questo nome, si analizzano gli aspetti particolari della produzione capitalistica nei settori agricolo, minerario ed estrattivo in generale: cioè, in tutti quei settori che hanno a che fare con la proprietà di porzioni di terra e con le risorse e le forze produttive annesse.

Per il comunismo scientifico, non vi sono solo due classi fondamentali: proletari e borghesi; a essi bisogna aggiungere la classe dei proprietari terrieri. Senza voler fare qui una trattazione completa, ci interessa solo rilevare che, come legge fondamentale della teoria della rendita, Marx aveva già evidenziato che la tendenza storica sarebbe stata l’aumento del prezzo del grano, in contrapposizione con la diminuzione del prezzo dei prodotti manufatti. Ciò avviene perché la terra è uno strumento di produzione del tutto particolare, che non può essere aumentato a piacimento: per lo meno non nella stessa misura in cui ciò avviene nella produzione di manufatti, grazie all’introduzione delle macchine. Anche il capitalista industriale può, in certi casi, pagare una rendita al proprietario del terreno o dell’immobile in cui ha sede la produzione, ma nella produzione agraria ed estrattiva il capitale destinato a questo scopo costituisce una parte molto maggiore del capitale totale. In definitiva, il proprietario della terra si trova nella posizione del monopolista, che può impedire l’accesso al proprio fondo e può dettare al mercato il prezzo, dato che il prodotto della terra è anche un prodotto indispensabile, di cui non si può fare meno. Lo confermano oggi la sproporzione enorme tra offerta e domanda, il minimo storico raggiunto dalle riserve alimentari. La proprietà capitalistica della terra consente dunque di speculare sulla fame, già al momento della produzione e poi sul mercato dei prodotti alimentari, ancora prima che in Borsa. A questi aspetti fondamentali – la limitatezza del suolo, la sua proprietà capitalistica, la natura di merci degli alimenti indispensabili - si aggiungono poi tanti altri fattori, tra cui è sufficiente qui ricordare l’aumento della popolazione urbana e la separazione tra città e campagna. Tutti fenomeni spiegati dal comunismo da più di un secolo.

L’aumento del prezzo del grano è sempre stato un punto debole del capitale, che lo condanna a essere combattuto dai suoi stessi schiavi salariati, e i teorici borghesi hanno provato in tutti i modi a confutare questa tendenza. Ma il comunismo scientifico li ha sbaragliati tutti: diffondendosi, il mondo storico capitalistico di produzione fa scemare il prezzo dei manufatti e salire quello degli alimenti. O, in altri termini: all’aumentare della ricchezza totale prodotta aumenta la fame.

 

Le soluzioni del comunismo scientifico

Tutto quanto abbiamo detto potrebbe essere svolto in modo più analitico, dedicando più spazio alle leggi fondamentali della rendita. Ma, davanti all’evidenza dei fatti di questi ultimi mesi, al continuo aumento del prezzo del grano, alle rivolte per il pane, al razionamento alimentare, alla caduta relativa dei salari, anche se non abbiamo sviluppato tutti i possibili aspetti teorici e i problemi pratici, abbiamo dato comunque abbastanza elementi per dimostrare la necessità del superamento di questo putrido modo di produzione. Niente da aggiungere al nostro programma di sempre:

 

  1. Abolizione della amministrazione della produzione per aziende
  2. Abolizione della distribuzione col mezzo dello scambio mercantile o monetario, sia per i prodotti merci che per la forza lavoro umana
  3. Piano sociale unitario (misurato da quantità fisiche e non da equivalenti economici) della assegnazione delle forze di lavoro, materie prime, strumenti, ai vari settori produttivi e della assegnazione dei prodotti nei settori di consumo.

 

 

Il che significa che, in una società comunista, non mercantile, la produzione sarebbe pianificata su scala mondiale e distribuita su scala mondiale. La distribuzione non sarà locale e aziendale, lo sforzo complessivo della società e quindi la sua contabilità saranno in termini di quantità di prodotto e di sforzo di lavoro effettivo necessario. Il territorio che produrrà di meno parteciperà alla produzione totale, ma riceverà non in funzione di quanto ha prodotto, bensì in funzione delle sue necessità. Solo in tali condizioni, eliminato il mercato, la produzione agraria potrà conservare e migliorare di volta in volta le proprietà organiche del terreno, aumentando la sua produttività ben oltre il livello raggiungibile nella società capitalistica e permettendo di soddisfare la richiesta di una produzione ben maggiore di quella attuale. Tale possibilità presuppone anche l’eliminazione della separazione tra città e campagna, perché è proprio nell’abolizione della separazione tra città e campagna la chiave di volta che consente un equilibrio tra aumento della produttività (materie organiche sottratte alla terra e consumate) e miglioramento della fertilità (restituzione alla terra delle materie organiche, che ora, nei grossi centri urbani, vengono distrutte). Inoltre, non vi sarebbe lavoro estorto da classi parassite e prodotto dilapidato.

Questo programma, naturalmente, è attuabile solo dopo la presa del potere da parte della classe proletaria diretta dal suo partito e attraverso la dittatura del proletariato.

Nel frattempo, lottando per prepararsi in tale prospettiva, ciò che occorre fare è tremendamente evidente: difendersi dagli attacchi del capitale, sfruttare tutte le occasioni di lotta, a cui il capitale stesso ci costringe, per migliorare l’organizzazione dei proletari e la loro unità. Questo compito di unione internazionale e di indirizzo verso obbiettivi e finalità ultime può assolverlo solo il partito comunista. Di fronte alle migliaia di proletari rimasti sulla strada, senza vita, solo perché pretendevano di mangiare, si rinnova la volontà di lottare per realizzare le necessità della nostra classe, e quindi, attraverso l’emancipazione del proletariato, le necessità di una società finalmente libera dalla fame, premessa a sua volta necessaria di uno sviluppo veramente umano.

 

 

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2008)
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