Il summit sull’occupazione, svoltosi ai primi di maggio a Praga, con i 27 leader europei, ha previsto una disoccupazione che sfiorerà l’11% nel 2010, con picchi impressionanti come quello della Spagna, dove il tasso di disoccupazione raggiungerà il 20% (già oggi è all’8,2%, pari a 13 milioni). Che cosa si è dunque deciso? L’indicazione è quella di conservare i posti di lavoro e ricorrere il meno possibile alla cassa integrazione, da un lato, e dare più sostegno alle industrie, dall’altro. In sostanza, le borghesie nazionali continueranno a dibattersi tra la necessità di licenziare e scaricare la crisi sui proletari, cercando però anche di evitare quella che loro stessi chiamano ormai “emergenza sociale”.

Ma fanno sempre i conti senza l’oste. Come succede per l’appunto in Francia, dove, nel corso del mese di gennaio, il numero dei disoccupati è cresciuto di 87mila unità; nel mese successivo, di altre 80mila; con questo ritmo, per fine anno si prevede un milione di disoccupati in più (Manifesto del 26/3/09). Le reazioni proletarie non si sono fatte attendere. Il 12 marzo scorso, l’amministratore delegato della Sony francese è stato sequestrato dai dipendenti e costretto a passare la notte nella fabbrica di Pontonx-sur-l'Adour: l’accordo successivo migliorava sensibilmente le “condizioni di allontanamento” dei lavoratori. Il 23 marzo, è invece toccato al direttore dello stabilimento della 3M di Pithiviers, liberato dietro l’impegno a riprendere i negoziati sulle “condizioni di allontanamento” di 110 dipendenti. Il 30 marzo, è stata la volta di cinque manager della Caterpillar France, rilasciati anche qui con l’impegno a riprendere i negoziati sulla ristrutturazione del gruppo, che prevedeva oltre 700 licenziamenti. Il giorno successivo, il patron della Ppr, è stato bloccato per un’ora a Parigi da un centinaio di dipendenti. L’8 aprile, tre manager della britannica Scapa sono stati sequestrati per 24 ore e rilasciati dopo che l'azienda aveva accettato di raddoppiare la cifra disponibile per le buonuscite. Il 9 aprile, è stato il turno del direttore di un impianto di componentistica per l’auto, la Faurecia, tenuto in ostaggio dai dipendenti furiosi per il piano di ristrutturazione che prevede tagli di personale. Il giorno successivo, in Belgio, all'interno del centro vendite Fiat Chausse di Louvain, tre dirigenti Fiat sono stati sequestrati dai lavoratori, mentre era in corso una trattativa sindacale per il taglio di 24 dipendenti su un totale di 90. Il 21 aprile, sono stati sequestrati due dirigenti della Molex Automotive, filiale francese della statunitense Molex, che aveva annunciato di voler chiudere l'impianto e trasferire le attività in Cina, con la perdita di 300 posti di lavoro. Il 21 aprile, dopo che la Continental, azienda tedesca di pneumatici, aveva annunciato la chiusura del sito francese di Clairoix (1120 persone), alcuni operai “già protagonisti nelle scorse settimane di un episodio di ‘sequestro’ dei manager aziendali, e di violente proteste, hanno fortemente danneggiato gli uffici della sotto-prefettura di Compiegne, nell'est della Francia, dopo che il tribunale aveva respinto una loro richiesta di annullare o sospendere la chiusura della loro azienda” (Manifesto del 22/4/09)... Dal 17 aprile, “i dipendenti di Erdf e Grdf, filiali di Edf e Gdf – gli enti pubblici dell’elettricità e del gas – in sciopero da tre settimane per aumenti salariali, tagliano con azioni selvagge e improvvise luce e gas a migliaia di case. [...] Il premier francese François Fillon dichiara: ‘Questo non è sciopero, non è azione sindacale. Dobbiamo fare attenzione a che questa situazione non conduca a un ricorso alla violenza che può colpire ognuno di noi’” (Panorama, 18/4/09).

Noi comunisti salutiamo con entusiasmo la rottura della pace sociale, l’incrinarsi della fiducia nelle istituzioni democratiche e nei sindacati opportunisti, il ritorno alla combattività, la generosità e abnegazione dimostrate nel compiere azioni che necessitano di coraggio, nell’isolamento in cui si verificano. Il percorso tuttavia che porta dalla spontaneità delle lotte alla loro direzione organizzata è lungo e difficile e procede a strappi. Nelle rivendicazioni attuali, vi sono ancora limiti locali, la chiusura in una visione aziendale, l’incapacità di collegarsi nel territorio: solo episodicamente si sono messe in campo vere azioni di sciopero e di boicottaggio senza però mai cercare di allargarle oltre i limiti della categoria. Anche gli operai più combattivi sono ancora imbrigliati in false soluzioni, come la riduzione degli stipendi ai manager o la richiesta di nazionalizzazioni, senza cogliere le vere contraddizioni del sistema capitalistico. In definitiva, sono ancora il risultato di un lungo periodo vissuto all’insegna della solitudine, dell’isolamento e del tradimento da parte delle forze politiche e sindacali.

Il proletariato possiede tuttavia una grande forza: essa sta nel numero sempre più grande di proletari colpiti dalla crisi, sta nella rabbia e abnegazione di chi non ha più nulla da perdere, sta nella percezione diretta, materiale, dello sfruttamento e della repressione esercitati da padroni e Stato, sta nel recupero “istintivo” di metodi e obiettivi di lotta che da secoli sono il patrimonio e la tradizione del proletariato mondiale. E’ vero, ciò non basta: compito dei  comunisti è di stare al fianco dei proletari in lotta, perché solo il loro intervento permette di fargli superare i limiti inevitabili dell’azione spontanea. La comprensione di questa necessità non è il frutto meccanico delle esperienze che via via esso compie. Il movimento spontaneo ha bisogno del partito e questo incontro tra spontaneità e coscienza dei compiti storici passa proprio dalla ripresa delle lotte di difesa intransigente. Di cui queste prime istintive ribellioni sono solo un incoraggiante annuncio.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°03 - 2009)

 

 

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