Da parecchi anni, la Corea del Nord sembra voler giocare un ruolo di “destabilizzatore” nel mondo e nell’Asia pacifica in particolare, allo scopo dichiarato di ottenere continui sostegni economici per la propria economia. Le sue minacce militar-nucleari rappresentano ormai un deterrente – e nello stesso tempo una sorta di rendita o assicurazione politica ed economica – da parte di un paese economicamente in ritardo nei confronti dei più potenti vicini, come la stessa Corea del sud, o di quelle potenze regionali come il Giappone, la Cina, sua alleata, e, “ovviamente”, rispetto agli USA (il 29/2 scorso, ad esempio, con il cosiddetto “Leap Day Agreement”, gli statunitensi si impegnavano ancora a fornire 240 mila tonn. di aiuti alimentari in cambio del “congelamento” del programma militare e missilistico).

Secondo indagini della CIA, la Corea del nord avrebbe un reddito pro capite al 194° posto nel mondo, 1/3 rispetto a quella del sud (con un 48% del PIL che deriva dall’industria, il 31,5 dai servizi e il 20,7% dall’agricoltura). Certamente, a nessuno degli Stati della regione converrebbe per il momento una “destabilizzazione” al livello degli scenari militari e nucleari evocati dalle minacce della Corea del nord. La “destabilizzazione”, che di certo nella regione (e nel mondo) procede ormai sempre più in direzione anti-USA, conviene un po’ a tutti sul piano dei soli processi economici e non ancora su quelli militari. Conviene alla Cina, che può proseguire la sua corsa economica verso traguardi sempre più ambiziosi (e, in prospettiva, non solo economici), divenuta di recente seconda potenza economica mondiale, anche se con pericolose battute d’arresto per via della crisi economica che attanaglia le vecchie potenze. Conviene al Giappone (terza potenza economica mondiale), che accentuando di recente il proprio nazionalismo cerca di avere le mani maggiormente libere nella regione, rispetto ai tradizionali vincoli economici e militari posti dagli USA a partire dal dopoguerra. Conviene certamente anche agli USA, che rimangono ancora la prima potenza economica e soprattutto militare e non sono disposti a rinunciare tanto facilmente, o comunque in tempi brevi, al loro ruolo e primato. Le grandi potenze economiche regionali sono tra l’altro, fra di loro, anche forti partner commerciali, seppure con un nazionalismo sempre più rinfocolato e bene espresso di recente dalle contese (con relative manovre) su alcune isole nell'Oceano Pacifico. Un’accelerazione della destabilizzazione in chiave militare e nucleare creerebbe certamente uno sconvolgimento degli attuali “piani strategici” (per quanto possano valere) delle grandi e meno grandi potenze mondiali e regionali.

E’ proprio sulla paura di tale sconvolgimento che ha sempre giocato e vorrebbe continuare a giocare la Corea del nord, per ottenere prestiti e aiuti economici. Questo suo modo politico di agire non nasce però dalla testa più o meno bacata di uno Kim Jong-un, ma deriva dal ruolo che essa ha dovuto giocare di necessità, dopo la guerra e la divisione della Corea tra le due potenze di allora (USA e URSS), come “cuscinetto” tra l’alleata Cina e la Corea del sud, rimasta tradizionale alleata degli USA (la cosiddetta dottrina del Songun, che significa: “l’esercito al centro”). Questo ruolo, che le ha procurato un armamento e quindi un esercito smisurati rispetto alla modesta crescita economica complessiva (secondo dati del 2004 del Dipartimento di Stato americano, la Corea del nord destina il 20% del PIL agli armamenti), è ormai usato come costante arma di ricatto per riacquistare dall’“esterno”, quei sostegni economici alla propria crescita economica che le sono venuti, e sempre meno le vengono, dall’“interno”. Una sorta, insomma, di continua “resa dei conti” presentata alle grandi potenze, per i vantaggi che avrebbe loro arrecato mantenendo un certo equilibrio, una certa stabilità, ecc. – un’altra creatura mostruosa, tra le tante altre, prodotta dal capitalismo e dagli stati imperialisti, dalle loro guerre, spartizioni territoriali, ecc. – una creatura che, come la scopa dell’apprendista stregone, pare sempre più sfuggire di mano a coloro che l’hanno generata, creando altri problemi, acuendo le contraddizioni generali in un’area e in una situazione mondiale già gravida di forti tensioni. Il recente lancio con esito positivo di missili balistici fa ora temere alle grandi potenze del mondo e della regione che la Corea del nord possa disporre presto di tecnologie atte a trasportare le proprie armi nucleari, già “testate” con le due esplosioni del 2006 e del 2009. Si tratta, per intenderci, di armi nucleari del tipo di quelle lanciate sul Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale, meno potenti di quelle più moderne, “termonucleari” o all’”idrogeno”, di cui la Corea del nord pare ancora non disporre. Data la situazione di forte tensione venutasi a determinare, acuita maggiormente dalle contro-esercitazioni militari USA-Corea del sud, finite il 30/4 scorso, il Segretario di Stato americano J. Kerry, il 13/4 era dovuto intervenire nella regione, facendo la spola tra Seul, Pechino e Tokio, per cercare di ridimensionare le pretese nordcoreane.

In questa intricata vicenda, la Cina ha sempre visto in pericolo i propri interessi strategici. Essa è infatti la principale fornitrice di beni e servizi alla Corea del nord: il 90% dell’energia, l’80% dei prodotti di consumo, il 45% dei prodotti alimentari, con un interscambio commerciale che nel 2010 valeva 3,4 miliardi di dollari e nel 2012 è salito a 5,9 miliardi. Finora, si vedeva costretta a continuare il proprio sostegno perché temeva un collasso economico dell'alleata, con un suo pericoloso (e da scongiurare) “riassorbimento” da parte dell’altra Corea, più potente economicamente: qualcosa di simile a ciò che è avvenuto alle due Germanie dopo la caduta del muro di Berlino. La Corea del nord, infatti, oltre a bassa produttività e bassi profitti della sua economia (a fronte di una Corea del sud con apparato economico iperproduttivo) e un tipo di statalismo soffocante, è sommersa da una montagna di debiti cui non riesce a far fronte: 20 miliardi di dollari presi in prestito soprattutto nei confronti della ex URSS e satelliti prima della caduta del muro di Berlino – un’economia che dopo gli anni ’90 si è poi ulteriormente deteriorata, nonostante la Russia abbia “stralciato” circa 8 miliardi di dollari in cambio di una compartecipazione coreana allo sfruttamento di risorse naturali e la proposta fatta dalla stessa Corea del nord a Ungheria, Repubblica Ceca e Iran di fare altrettanto in cambio di beni naturali, quali ginseng e… piccoli sottomarini (una sorta di scambio in… natura). Un collasso e un riassorbimento alla Corea del sud, con gli USA a fare economicamente la parte del leone, avrebbero infatti esposto i confini cinesi alle truppe americane, attualmente stazionate nel vicino paese. Tanto più che negli ultimi tempi gli appelli cinesi a Pyongyang perché abbassi la tensione erano stati bellamente ignorati, come pure i suoi voti in due risoluzioni dell’ONU contro la nuclearizzazione della zona.

L’ultima “provocazione” di Pyongyang era venuta dall’area industriale di Kaesong con le sue 121 fabbriche, dove da anni lavorano insieme nord-coreani con manager e lavoratori di Seul (circa 53 mila). Si minacciava di voler usare quel territorio per scopi militari, pur facendo venire meno 90 milioni di dollari in salari agli operai nord-coreani. Ora pare che, dopo la visita del Segretario di Stato americano, la Corea del nord abbia cambiato atteggiamento. La Cina intanto, nei primi mesi del 2013 aveva, per conto proprio, già notevolmente disincentivato le proprie esportazioni verso la Corea del nord (del 13,8%) come ritorsione (si parla di “punizione” per la sua aggressività) nei confronti delle iniziative militari dell'alleato, che avevano avuto come effetto solo quello di aumentare l’impegno americano nella zona (le azioni militari congiunte USA-Corea del sud avrebbero prodotto sulla Cina una sorta di “sindrome da accerchiamento”).

Adesso pare che gli USA avrebbero preso l’impegno, con la Cina, di ridurre il proprio sistema di difesa missilistico, se essa, continuando con le ritorsioni economiche contro il nord Corea, avesse convinto il proprio alleato ad abbandonare il suo programma nucleare. Per ora, pare che le contro-minacce e le contro-ritorsioni nei confronti del governo del giovane rampollo nordcoreano, così desideroso di continuare la vecchia linea nei confronti dell’esercito, abbiano avuto effetto positivo: le minacce di carattere militari ed economico, compresa quella della zona industriale di confine del Kaesong pare siano rientrate. Per ora: ma per quanto?

 

Partito Comunista Internazionale

(il programma comunista n°04 - 2013) 

 

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