Il clamore suscitato dagli scontri di piazza del 15 ottobre a Roma ha ricacciato nel dimenticatoio due fatti ben più significativi. Il 3 ottobre, a Barletta (Puglia), quattro operaie poco più che trentenni morivano nel crollo di una palazzina dov’era sito il maglificio in cui lavoravano in nero, a 3,95 euro l’ora, a volte fino a 14 ore al giorno. Il 12 ottobre, a Brindisi (Puglia), dodici appartenenti al “Comitato Disoccupati” venivano arrestati e altri undici ricevevano informazioni di garanzia, per aver occupato, alcuni mesi prima, un’azienda che si occupa di raccolta di rifiuti: le accuse vanno dalla “violenza privata aggravata” all’“invasione e occupazione di aziende”, dal “sabotaggio” all’“interruzione di servizio pubblico”.

Così si lavora e si muore, non in uno sperduto paese di un Terzo Mondo che esiste solo nell’immaginazione distorta di chi non ha mai capito che cosa siano il capitalismo e il suo sviluppo ineguale, ma nel cuore dell’Europa: le quattro operaie italiane sono andate ad aggiungersi al lungo elenco di lavoratori e lavoratrici, italiani e stranieri, uccisi da un modo di produzione spietato, che conosce solo la legge del profitto e a essa sottomette tutti. Le successive, stomachevoli lamentazioni di sindacalisti e uomini politici devono imprimersi per bene nella mente dei proletari decisi a reagire e a lottare per farla finita con questo vampiro. Nel bilancio finale dovrà entrare anche il fatto che le quattro operaie sono rimaste vittime del crollo di una palazzina: dovrà entrarci alla voce “Assoluto degrado ambientale”, frutto di quell’abbandono e dissesto, di quel disordinato sviluppo urbanistico, che sono altre intrinseche caratteristiche della società capitalistica (a cui vanno aggiunti anche i nove morti e quattro dispersi della valanga di fango che, a fine ottobre, s’è rovesciata sulla Val di Magra e sule Cinque Terre – nessuna fatalità, nessun disastro naturale! ma quant’è lungo l’elenco di morti e distruzioni, restando anche dentro i confini di questa friabile penisola, massacrata da leggi speciali, speculazioni immobiliari, tecniche approssimative – il tutto, ancora una volta, conseguenza diretta della dittatura esercitata dalla legge del profitto).

E così, d’altra parte, la “Repubblica democratica fondata sul lavoro” imprigiona e incrimina chi il lavoro non l’ha più e non accetta passivamente di non averlo, di dover sopravvivere alla giornata, e reagisce: non c’è bisogno di “leggi speciali”, non c’è bisogno di riesumare la famigerata “legge Reale” e armamentari simili (come, nel clamore succeduto al clamore del 15 ottobre, ha sbraitato qualcuno, suscitando altro inutile clamore) – basta applicare la legislazione vigente, erede sempre viva di tutta una tradizione repressiva (liberale prima, fascista poi, democratica infine), che è lo strumento con cui la classe dominante si mantiene al potere. Anche questo dev’essere un insegnamento per i proletari più attenti e combattivi: lo Stato (magistratura, tribunali, polizie) è l’arma del capitale, è l’espressione armata del dominio di classe. E così, mentre il Titanic va dritto dritto a sbattere contro l’iceberg, la borghesia – che sa bene come la crisi economica possa far riesplodere conflitti che sembravano dimenticati, nella pacifica melassa del “migliore dei mondi possibili” – lancia segnali ammonitori: “Che nessuno si muova senza il mio permesso e al di fuori delle forme decise da me e dai miei cari amici politici e sindacali!”. E fa le sue grandi manovre: militari e giudiziarie.

Ma anche questo andrà nel bilancio finale.

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°06 - 2011)

 

 

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