Uno dei nostri punti di forza nel duro lavoro di restauro dell’organo rivoluzionario di classe (il partito) consiste nell’affermare e ribadire la tesi dell’invarianza della dottrina comunista. Per chi come noi si è arruolato nell’esercito che si è assunto il compito di caratterizzare, accompagnare e dirigere la sterminata moltitudine di coloro che per vivere possono solo vendere la propria forza-lavoro, il concetto di dottrina è sintetico e chiaro, così com’è chiaro e sintetico il concetto di invarianza.

Ma ora che si è chiuso il primo ventennio del Duemila e un secolo abbondante è trascorso dal 1917, rosso e internazionale (un diretto tirato alla mascella della borghesia, purtroppo senza la forza di spedirla in coma), per chi, spinto dalle più diverse determinazioni sociali e individuali, è costretto a cercare un orientamento politico “di resistenza” e, a volte, di rivolta all’“ordine sociale” in cui abbiamo la gioia e l’onore di vivere, questi due concetti sulle prime possono risultare obsoleti, inutili, antistorici.

Dannato il peso di ottant’anni di controrivoluzione, di questa ondata controrivoluzionaria, che ha avuto la possibilità di distruggere le armi con cui si può e si deve condurre la guerra di classe, sfruttando innanzitutto la sconfitta militare (con l’intelligente uso degli eserciti, delle iene fasciste e naziste), politica e sociale (con l’intelligente uso del carognume conservatore e riformista socialdemocratico, “amico degli operai”, borghese) del proletariato dei paesi di più vecchio capitalismo e poi (ma di pari passo) quella esplosa proprio in quella Russia che aveva messo in ginocchio il Capitale! Che ha avuto la possibilità, nata dalla necessità, di perpetuare il proprio dominio; ma che, nonostante i suoi sforzi e la sua violenza, non c’è riuscita, non riesce e non potrà riuscirci: la dinamica della “vicende umane”, così come si è sviluppata nelle diverse successioni dei modi di produzione, è una realtà materiale di scontro e di lotta tra le classi . E la “moderna lotta di classe”, quella sorta con il compiersi del modo di produzione capitalistico e che pone le basi della necessità per il “moderno” proletariato di muovere alla rivoluzione comunista, non può essere annullata. Può solo essere rallentata, incanalata, deviata… Ma come le ondate imprevedibili e successive di un fiume dalle mille sorgenti, prima o poi gli argini e le dighe si rompono e, tutto travolgendo, finalmente si riempie il mare.

Cara controrivoluzione, non puoi fermare il vento: ci fai solo perdere tempo! Anche se, a dire il vero, il tempo per rafforzare la struttura rivoluzionaria della nostra classe non è mai “perso”: è l’unico tempo, parte integrante di quello necessario per nutrirsi e armarsi, che vale la pena di vivere.

Per dottrina, s’intende dunque una serie organica di principi, cioè un complesso di cognizioni apprese con l’esperienza e con lo studio, che costituiscono la base di una scienza. Nel nostro caso, sono l’esperienza delle condizioni di vita edi lavoro, la lotta della nostra classe, che danno vita alla scienza del divenire sociale in tutti i suoi aspetti, dalla critica dell’economia politica alla metodologia della dialettica materialista del divenire storico: le basi che ci permettono di capire perché e come agiscono i raggruppamenti umani. Una scienza che diventa una pratica politica tale da permetterci l’azione rivoluzionaria nel movimento reale (i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo), causa ed effetto della moderna lotta di classe, e leggerne le dorsali, le tendenze, le possibili conclusioni. E, finché questo movimento non si sarà concluso, i nostri principi, il nostro metodo, la nostra dottrina non sono suscettibili di cambiamenti significativi, a meno di stravolgerli e tradirli.

Questo è il senso dell’invarianza: essa non ingessa la nostra scienza della rivoluzione in una serie di formule ripetute in una memoria che le astrae dal mondo, ma ci costringe ogni giorno a usarle, applicarle, affinarle, renderle attive e operanti.

Per non dimenticare, ecco il primo articolo del programma della Lega dei Comunisti che, nel lontano dicembre del 1847 rappresenta il fondamentale passaggio, per la nostra classe, da combattiva protagonista di un movimento sociale dagli scopi limitati alla necessaria sopravvivenza quotidiana (classe in sé) a soggetto politico rivoluzionario (classe per sé):

“Scopo della Lega dei comunisti è l’abbattimento della borghesia, il dominio del proletariato. L’abolizione della vecchia società borghese poggiante su antagonismi fra le classi, e la fondazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata”.

Da qui ha inizio il lavoro dell’organo rivoluzionario di classe, il cui motto grida “Proletari di tutto il mondo, unitevi”, proprio nel momento storico in cui la borghesia “rivoluzionaria” perfeziona lo strumento principe del suo dominio, quello “Stato/Nazione”, nel quale ci vuole sciogliere, annegandoci nel “popolo”: ha inizio con il rivendicare l’obiettivo che fa tremare e inorridire la borghesia dominante, contro il quale d’ora in poi essa ha scatenato, scatena e scatenerà ogni sorta di democratica, subdola, violenta repressione.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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