Il «caso Reale» ha dato la stura, in tutti i settori della stampa non-togliattiana, ai più frementi inni alla libertà, alla democrazia, alla civiltà borghese e via dicendo, finalmente vittoriose sul ... marxismo. Ma, fra tutti gli inni, quello più divertente è stato sciolto da Oreste Mosca sul «Corriere Mercantile» di Genova del 3-1: un inno al sole del padronato italiano di cui gli operai riceverebbero i dolci e facondi raggi. Si freghino gli occhi gli operai, e leggano come la benefica opera dei grandi industriali avrebbe agito sulla coscienza del «ribelle» napoletano, già manipolatore dei traffici oltre cortina per conto del PCI.:

«Tu - scrive l'articolista rivolto all'espulso - a contatto con gli operatori economici, hai avuto occasione di constatare come ogni modesto capo di azienda faccia per i suoi operai molto di più di mille organizzatori comunisti; e non parliamo dei casi di formidabili imprese, come i Valletta, i Faina, i Valerio, i Cini, i Pirelli, gli Olivetti, i Marzotto, i Fassio, i Lauro, i Marinotti, i Motta, i Piaggio che si preoccupano di dare lavoro in continuazione a decine di migliaia di operai, che sanno guadagnare denaro costruendo, fabbricando, esportando, mandando merci o navi per tutte le terre e i mari del mondo sovraccaricandosi di infinite preoccupazioni, sicché alla fine perdono il sonno e l'appetito, e questo denaro da essi guadagnato ad altro non serve che ad allargare sempre più il mondo del lavoro, a dare possibilità ad altri milioni di uomini di avere una casa, un pane assicurato, un lavoro continuativo. Si possono limitare i benefici dei raggi del sole? Essi beneficano tutti. Così è della vita degli affari, che, quando è prospera, benefica tutti».

Chiaro, no? Potremmo vivere, senza chi ci dà il pane rinunziando al sonno e all'appetito?  Potrebbe vivere, la società, senza capitani di industria così cristianamente munifici? No di certo, Reale o chi per lui ha quindi un compito ben definito:

«Far capire agli umili che tutto il socialismo compatibile con la natura umana realizzabile nello stato attuale dell'economia italiana è da tempo attuato: che il «furto» creato dal plusvalore in danno degli operai è una favola perché la legislazione sindacale ci protegge tutti (anche me, direttore di giornale) contro i «padroni» e che soprattutto non esistono contrasti insanabili, tra operai e imprenditori, non esiste una stupidissima lotta di classe eterna, perché nel mondo contemporaneo, ognuno può giocare le sue carte, se ha volontà di lavorare, studiare e risparmiare, e i privilegi, gli ingiusti privilegi della nascita, sono continuamente minati e quasi ridotti al lumicino».

E allora non resta. per un medico-chirurgo come il «mio caro Eugenio» che estirpare «il bubbone marxista dal movimento operaio italiano» e creare «un grande partito operaio moderno, che non attenda miracolosamente la catastrofe dell'economia capitalista (che non avverrà mai) e che si porti invece sul terreno delle concrete realizzazioni, allenando i lavoratori più capaci e più intelligenti a diventare tecnici e capi delle aziende in un non lontano domani».

Attendiamoci dunque da Mosca o da Reale il socialismo dei padroni (magari dei proletari allenati a divenire capi d'azienda) e, messa la cuffia da notte, anticipiamo il «non lontano domani» in cui finalmente gli operai capiranno che in fabbrica non faticano ma ... si godono il sole.

 

il programma comunista, n. 2, 18 gennaio - 1 febbraio 1957

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