E' di te che si narra...

Scrivere dell'ennesima strage effettuata da un killer più o meno adolescente e più o meno solitario, in una cittadina degli Stati Uniti, è ormai un po' come sparare sulla Croce Rossa. Come c'era da aspettarsi, i ventotto morti (in grande maggioranza bambini) seminati fra New Jersey e Connecticut a metà dicembre 2012 sono stati un'altra macabra occasione per un fuoco d'artificio di interpretazioni da parte di sociologi, psicologi, criminologi, politici e politologi, preti e poliziotti. C'è chi ha tirato in ballo la Frontiera come sorgente storica di questa ricorrente violenza (e quale nazione borghese non ha avuto la sua “frontiera”, su cui esercitarsi al tiro al bersaglio? l'Inghilterra in India, Irlanda e mezza Africa, il Belgio in Congo, la Francia in Indocina e Algeria, l'Italia in Libia ed Etiopia... l'elenco può continuare). Chi attribuisce il rinnovarsi ossessivo di queste esplosioni di violenza al “rarefarsi del senso religioso” (in quella che è un'autentica teocrazia, fra chiese, sette e confessioni d'ogni tipo e dimensione, telepredicatori e “miracoli in diretta”!). Chi lamenta il “crollo del rispetto per la vita umana” (in mezzo mondo, come si sa, i droni, le bombe a grappolo, le mine anti-uomo della miriade di “interventi umanitari” e “guerre giuste” non fanno che difenderlo, quel “rispetto”!). E via di seguito.

Naturalmente, c'è poi la “lobby delle armi”, che da sempre fa sentire il suo peso (economico e politico): e così, l'amato presidente di turno, piangendo davanti alle telecamere (ormai tutti piangono!), s'impegna a limitare la diffusione delle... “armi d'assalto”. Le vittime della prossima strage ringraziano: è tutt'altra cosa essere ammazzati da “armi di difesa”!

Ma lasciamo stare. La società capitalistica, dell'estrazione forzata e selvaggia di pluslavoro, della ricerca del profitto a ogni costo (Triangle Waist Company! Marcinelle! Thyssen-Krupp! Ilva! tanto per limitarci ad alcuni esempi, lontani e vicini nel tempo), si fonda sull'impiego della violenza, esercitata per nascere (quando venne rivolta contro modi di produzione precedenti e storicamente superati) e per mantenersi in vita (quando viene rivolta contro chiunque attenti allo status quo: Comune di Parigi 1871, Pietroburgo 1905 – idem come sopra), per schiacciare questo o quel concorrente (la guerra commerciale, la guerra guerreggiata; due guerre mondiali e centinaia di guerre locali dal secondo dopoguerra, milioni di morti). A chi gli mostrava le agghiaccianti condizioni di vita e di lavoro del proletariato di Manchester in piena Rivoluzione Industriale (leggi: nascita del capitalismo), un imprenditore rispondeva: “Già, già... E però c'è un sacco di soldi da tirar fuori di qui”. Ci può essere miglior commento? Non è questo, nel suo spietato e realistico cinismo, il riconoscimento di una legge che vige e continuerà a vigere finché esisterà questo modo di produzione?

Dentro a quella violenza, volenti o nolenti, ci siamo tutti. Che dire, per esempio, dell'immonda strage di proletari sul luogo di lavoro, degli effetti letali delle ricadute dentro e fuori le fabbriche di materiali tossici, dello sfiancamento di proletari e proletarie e dei loro figli e nipoti a causa di condizioni di vita e lavoro tremende, in secula seculorum, urbi et orbi? Lì non c'è il killer solitario: lì opera un meccanismo sofisticato e neutro, che si avvale di un'avanzatissima organizzazione tecnologica (non è la tecnologia applicata il vanto del mondo borghese? e applicata a che cos'altro, se non all'estrazione di pluslavoro e dunque di plusvalore?).

Non c'è dubbio: gli Stati Uniti, il paese più potente nel girone infernale dell'imperialismo, hanno spinto all'estremo questa violenza diffusa – non per DNA, non per caratteristiche nazionali, non per chissà quale “eccezionalismo”, o che altro, come vorrebbero tante stupide argomentazioni di un anti-imperialismo a senso unico. Gli altri imperialismi seguono a ruota, ansiosi di prenderne il posto. E ciò avverrà (e già avviene), inevitabilmente, anche in questo campo: nei fenomeni di “violenza irrazionale”, negli “scoppi di ferocia individuale”, nell'individualismo esasperato di chi si sente accerchiato, nel terrore di mezze classi sballottate, irrise e schiaffeggiate, nel loro senso di vulnerabilità di fronte a una crisi che s'avvita ogni giorno e non lascia requie, e nelle frustrazioni, nevrosi e follie da essa alimentate: Armageddon! Apocalisse! Leviatani! Complotti! Virus letali! Invasioni da Marte (o da oltre oceano)!

Ma de te fabula narratur: è di te che si parla in questa storia. E questa storia è la storia del capitalismo: sempre, e soprattutto nella sua fase imperialista. Intrisa di violenza, nata e prosperata all'insegna della violenza, con la violenza andrà gettata nella spazzatura della storia: perché con la violenza essa si difenderà, con tutte le “armi d'assalto” disponibili, reali e metaforiche, giuste e ingiuste, democratiche e fasciste.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°01 - 2013)

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