Qualunque tipo di organizzazione spontanea di lotta di difesa economica, anche quando esprime una forte combattività, se lasciata a se stessa e isolata tende oggi a perdere l’energia iniziale e a subire la dominante influenza borghese e opportunista. Mentre i lavoratori più combattivi si pongono il problema di conservare ed estendere il carattere classista dell’organizzazione spontanea, qualunque ne sia la forma realizzata (comitato di lotta, assemblea proletaria, coordinamento territoriale di lotta), a causa dell’influenza borghese e opportunista che pesa su tutto il resto della nostra classe la sua normale evoluzione è verso l’isolamento, la chiusura in se stessa, la perdita dei caratteri iniziali e la caduta sotto un’influenza diversa o addirittura contraria a quella originaria.

Affrontare dunque la questione della forma organizzativa della combattività economica significa oggi, e soprattutto in prospettiva, mettere sempre e costantemente in primo piano la necessità di dare continuità alle rivendicazioni, ai metodi di lotta, al collegamento fra realtà diverse spinte allo scontro anche in luoghi e tempi differenti. Nel lavorare oggi in vista di nuove forme di organizzazione immediata che, a partire da situazioni di particolare esasperazione e disgusto per i “tradimenti” dei sindacati ufficiali, rendano possibile una lotta fuori e contro di essi, si corre spesso il rischio di illudersi che queste strutture organizzate, in quanto tali e qualunque sia il loro indirizzo, possano assicurare un carattere di classe. La questione va posta diversamente: solo se i lavoratori mettono in campo lotte con un autentico carattere d’intransigenza e autonomia nei confronti dei sindacati di regime e delle necessità dell’economia nazionale potranno nascere e svilupparsi, su questa base, strutture organizzate in senso classista, in grado di difendere gli stessi interessi proletari immediati. A loro volta, queste strutture potranno conservare un indirizzo classista solo se continueranno a difendere e sviluppare quel carattere d’intransigenza e autonomia.

Ma la questione della formazione di nuove strutture organizzate che si facciano veicolo reale di lotte sempre più intransigenti non può porsi a tavolino, fra soggetti già politicizzati (peggio se di orientamento riformista o conciliatore), come invece continuano a cercare di fare i molti sindacatini di base oggi esistenti. Essa potrà risolversi in modo reale e vitale solo quando i lavoratori, nel corso delle lotte stesse, giungeranno a esprimere un alto livello di forza e solidarietà: sarà proprio questo livello a rendere necessario il passaggio a nuove forme organizzate, in grado di conservare e ampliare il carattere tendenzialmente classista delle lotte.

Se oggi i lavoratori non colgono ancora tale esigenza, non è perché non sentano di essere già stati ingannati e abbandonati dagli attuali sindacati. Questa percezione esiste ed è più diffusa di quanto non appaia. Ma essa non basta. Occorre che i lavoratori acquisiscano anche il coraggio e l’iniziativa necessari per passare a un altro livello, capace di andare oltre la prospettiva riformista e collaborazionista, rompendo così con le strutture burocratiche e parastatali dei sindacati esistenti. Solo in questo modo sarà possibile il manifestarsi di una consapevolezza più elevata che, a sua volta, potrà concretizzarsi anche in nuove forme organizzate. Nell’attuale situazione, la rivendicazione spesso agitata del “sindacato di classe” o di altre forme organizzative fuori dalla (e in alternativa alla) lotta dentro la Cgil appare invece calata dall’alto, sulle teste dei lavoratori, come una formula di soluzione dei loro problemi da guardare addirittura con sospetto perché priva di reale collegamento con la loro esperienza diretta.

Saranno dunque necessari un percorso e una pratica di coinvolgimento diretto in prima persona, con forme di lotta e di organizzazione non copiate meccanicamente dal passato o suggerite dall’esterno, ma rispondenti all’impegno e alla maturità sviluppatisi durante le lotte stesse. L’indicazione di parole d’ordine da parte di queste future nuove organizzazioni (“fuori e contro i sindacati di regime”) e quindi la ricerca dell’autorganizzazione che ne consegue esigono dagli operai un grado di consapevolezza che oggi essi non hanno ancora raggiunto, e che potranno raggiungere solo attraverso l’esperienza di lotta e non in virtù di slogan lanciati dall’esterno o di ricette organizzative formali bell’e pronte.

Nello stato di isolamento drammatico in cui versano oggi i lavoratori, al di fuori degli attuali sindacati essi si sentono senza difesa, senza “protezione”: pur subendone e cogliendone i continui tradimenti, la possibilità e la prospettiva reali di porsi contro di essi appaiono loro ancora quasi inconcepibili. Gli è ancora difficile cogliere fino in fondo il ruolo antiproletario svolto dalle organizzazioni sindacali di regime e, anche intuendolo, è difficile individuare un’alternativa. Saranno le sempre maggiori pressioni economiche e sociali a spingere i proletari all’azione, a fargli prendere decisioni che all’inizio non potranno essere che di drastica rottura con tutto l’apparato sindacale esistente e le tradizionali convinzioni ancora nutrite della maggioranza dei loro stessi compagni di lavoro.

Quindi, il problema della rinascita di future strutture sindacali di classe o di autorganizzazioni territoriali di lotta proletaria non potrà porsi all’inizio e immediatamente come ricerca a tutti i costi dell’“unità operaia” (obiettivo del tutto illusorio e ideologico), anche se in seguito tale prospettiva dovrà diventare sempre più importante. Agli inizi, nelle prime fasi di risveglio, sarà necessariamente un problema di forza messa in campo e soprattutto di rottura con la fasulla “unità operaia” di stampo collaborazionista finora imperante. Saranno le categorie proletarie più oppresse e schiavizzate dal capitale a dare il segnale, forse anche nell’indifferenza generale degli altri lavoratori: è successo così con i proletari immigrati di Rosarno (e, in campo internazionale, con i proletari dei paesi capitalisticamente meno avanzati), che hanno dovuto rompere con la fasulla e ruffiana “unità operaia” invocata dai sindacalisti di regime.

Sono proprio questi sindacalisti di regime, che purtroppo hanno ancora un’influenza deleteria sulla gran parte degli operai, ad aver sempre fatto di quella fasulla e ruffiana “unità” una sorta di deterrente, un ricatto paralizzante – salvo poi essere i primi a calpestarla, quando si trattava di dividere i lavoratori secondo le consorterie di loro appartenenza, di chiuderli rigorosamente entro i recinti della fabbrica e della categoria o di additare gli elementi più combattivi e decisi come “estremisti” e “terroristi”.

La vicenda FIAT ha mostrato quale micidiale “unità” essi siano riusciti a ottenere con lo strumento referendario, che non ha avuto altro scopo e significato che di porre l’unità reale dei lavoratori (la loro condizione comune di sfruttati) totalmente al servizio del capitale e delle sue esigenze di mercato. La vera lotta di classe, la vera unità operaia, non hanno mai avuto nulla a che vedere con la semplice ricerca della “maggioranza”, con il “mettere in mucchio” gli operai a deporre la scheda nell’urna in fila uno dietro l’altro, e nemmeno con agitazioni a scacchiera o con pretese “lotte dure” concepite esclusivamente come una sorta di informe mobilitazione priva di obiettivi reali. La vera lotta di classe e la vera unità operaia vogliono dire mettere in campo una forza organizzata, orientata verso chiare rivendicazioni classiste (orario, salario, ecc.) e verso metodi di lotta insofferenti di limitazioni che non siano quelle dettate dal decorso e dalle necessità della lotta stessa.

Dunque, la conquista e la realizzazione di una crescente solidarietà e unità classista dovranno per forza passare, all’inizio, attraverso continue rotture nei confronti della “maggioranza” e della fittizia “unità” imposte ai lavoratori dalla schiacciante influenza dell’ideologia borghese, dal totalitario controllo opportunista degli apparati sindacali e dei loro sistemi di corruzione e repressione.

Ancora una volta, non si tratta di forma ma di sostanza.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2011)

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