Da qualche tempo, sullo scenario mondiale si assiste a uno straordinario “attivismo” religioso: in chiave predicatoria e pacifista, la Chiesa cattolica, e a carattere aggressivo, l’ennesimo fondamentalismo islamico. I buoni sentimenti si addicono a un cattolicesimo non imperante: quindi non ci meraviglia la presenza di personale specializzato in peace making, capace di servirsi della “buona cinghia educatrice” per calmare i bollenti spiriti dei disperati. Nella presente epoca storica, la Chiesa sta al servizio della borghesia e sotto le sue ali protettrici allarga la cerchia del personale di fiducia. In mancanza di lotte di classe, non sono pochi quelli che sono attratti dal pacifismo cattolico in salsa francescana e dai suoi inni alla “persona umana” tra risuonar di organi e campane, sgargianti passerelle cardinalizie e tripudio di popolo osannante. In una società capitalistica sempre più in putrefazione, in cui i venti di guerra soffiano sempre più forti da tutte le latitudini e si rinnovano i massacri dei civili sotto le bombe, con fuggitivi e migranti disperati da ogni latitudine, la voglia di avventure militari trascina non solo settori giovanili di paesi a religione musulmana con il pesante richiamo alle azioni e alla propaganda jiadista, ma anche le periferie metropolitane di molti paesi europei. Niente di nuovo. Il marxismo rivoluzionario ha sempre visto nelle religioni il più forte ostacolo al dispiegarsi delle lotte proletarie. A parte il fondamentalismo, l’Internazionale dei preti non perde tempo a scendere in campo e ad affilare le armi del disfattismo antiproletario: inviti a porgere l’altra guancia, denunce civili, controlli, condanne pubbliche e resa incondizionata nelle mani dei “miliziani della pace” infiltrati tra le forze dell’Ordine e del Potere. Di crocerossine e di cappellani benedicenti tra le file militari si avrà un gran bisogno nei prossimi anni. Vediamo allora di ricordare le ragioni e la collocazione politica della Chiesa, anche perché gli effetti sempre più duri di questa lunga crisi capitalistica sulle condizioni di lavoro e di esistenza dei proletari potrebbero aprire una fase di ripresa classista: e, a maggior ragione, diventerebbe vitale per la conservazione dello status quo capitalistico il ruolo delle religioni (tutte!) e delle loro “chiese”. E così più solide sono le nostre ragioni per contrastarlo.

Per le religioni in sé, quali che siano, i fatti e i problemi sociali non trovano una spiegazione nella realtà e nel suo svolgersi materiale dialettico, ma in “principi assoluti” dettati da entità “divine” che si ergono sugli uomini, dominandoli al di là del tempo e della storia. La finzione religiosa, tuttavia, non rimane a lungo nell’Alto dei Cieli: deve materializzarsi, rivelarsi (“volgarmente smascherarsi”) nella sua base terrena cosi come le eteree Costituzioni borghesi con i loro eserciti, polizia, prigioni e armamenti. Per l’immenso apparato della Chiesa (la mano armata dell’Ordine Santo che gestisce la religione), princìpi ed entità divine si incarnano (si manifestano) oggi, più che altro, in strumenti di castrazione della forza, della lotta e dell’organizzazione di classe: a dirla tutta, si materializzano in quella croce, così esibita in duemila anni, cui sono stati inchiodati di volta in volta gli schiavi, i servi e i proletari. Questa caratteristica delle religioni reali rivela già, nel loro netto schierarsi a favore della classe borghese dominante, la funzione che esse rivestono nel presente regime capitalistico e nelle lotte sociali che lo scuotono. I proletari stentano a lottare anche quando la loro oppressione è schiacciante e a ritrovare nelle lotte la propria unità classista contro lo Stato borghese anche perché succubi di un’invasiva propaganda volta a “divinizzare” ed eternizzare la condizione di schiavi salariati e gli stessi processi economici e sociali che la determinano: i proletari cioè si troverebbero nella condizione in cui si trovano, non perché esiste un determinato modo di produzione che necessariamente li pone e deve porli in quella condizione, ma per un disegno o una volontà eterna (“tu lavorerai col sudore della fronte”), volti a condannare e punire la peccaminosa “natura umana”. Al contrario, per poter ritrovare la propria unità di classe, i proletari hanno bisogno che la lotta contro il nemico di classe sia quanto più possibile sgombra da illusioni, non solo laiche, patriottiche, democratiche o parlamentari, ma anche e soprattutto religiose.

Manganello e aspersorio

Per dare una giusta collocazione alla condanna che i proletari subiscono, leggiamo in una pagina del Sole-24 ore dell’11 giugno le posizioni della Chiesa sulla questione economica e sociale. In alto, al margine della pagina, l’immagine di Giovanni Paolo II (“il polacco”) che declama un brano della dottrina sociale della Chiesa (letto non dal balcone di Piazza Venezia a Roma, né da quello di Scheidemann a Berlino, né dal Kremlino a Mosca, né dalla Stanza Ovale a Washington): “La dottrina sociale della Chiesa non è una ‘terza via’ tra capitalismo liberista e collettivismo marxista, ma costituisce una categoria a sé”. Praticamente un copia e incolla! Al centro della pagina, un grande titolo a lettere cubitali: “La ricchezza è giusta se migliora il mondo” e, sotto, “I valori cristiani sono compatibili con le leggi dell’economia”. Lo sappiamo, lo sappiamo! L’articolo è del segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei) che, prima di cominciare, dà, da buon pastore, una lisciata alla sua pecorella, “subito ricambiata” dal direttore del giornale che lo ospita. Facendosi trasportare in un mondo di sogni, il nostro, rivolgendosi alla selezionata platea, così parla: “Voglio condividere con i lettori l’esperienza di un incontro che mi ha sorpreso sia per la provenienza dei protagonisti sia per i contenuti che l’incontro ha fatto emergere […] Ho potuto dialogare con circa duecento imprenditori accomunati dal desiderio di raccontare la loro esperienza di uomini e donne per niente disposti a trasformarsi in terminali, in anonimi e ipertecnologizzati prodotti finanziari. Ho incontrato uomini e donne che stanno rispondendo alla crisi, trasformandola in occasione per liberare energie e per avviare processi davvero virtuosi… le esperienze imprenditoriali… l’efficace produttività… la vocazione… il mettersi in gioco… il rispetto della persona”. Chi sono costoro? Risponde: “Gente convocata da un’associazione senza tessere: ‘Unione cristiana imprenditori dirigenti’”. Alleluja! Pace a tutti gli imprenditori di buona volontà! “Ho portato – continua – il mio contributo al convegno su un tema che mi è parso dinamico e aperto sin dal suo titolo: Dall’impresa all’imprenditore”.

Questo fervore è solo il prodotto dell’attivismo religioso? Nient’affatto! E’ una necessità dello stesso modo di produzione capitalistico, che mette al centro della propria esistenza e funzione la produzione, il profitto e la sua accumulazione, e non i bisogni umani. Si noti il piacere e la speranza di continuare a solleticare e benedire lo sfruttamento in quella platea di imprenditori, tra lo sghignazzo e i sorrisini di compiacimento di fronte alla dottrina: Gaudium et Spes! La cosiddetta intellettualità (di classe) vaticana tenta di dare una copertura “razionale e umana” alla propria organizzazione criminale che, con i suoi celebrati progressi scientifici e tecnici – tutti a vantaggio del Capitale e dei suoi affari (oltre che dei suoi disastri!) –, di razionale e di umano non ha nulla. Diretto ed esplicito Marx: “La classe dei proprietari e la classe del proletariato rappresentano la stessa estraniazione umana. Ma la prima classe si sente perfettamente a suo agio in questa estraniazione; sa che l’estraniazione è la sua propria potenza ed ha in essa la parvenza di un’esistenza umana; la seconda si sente annientata nell’estraniazione, vede in essa la sua impotenza e la realtà di una esistenza non umana” (La sacra famiglia).

Merce, denaro e religione

Oggi, la democrazia, le carte costituzionali, la Nazione, sono ormai diventate veri e propri miti religiosi. Santa Madre Chiesa in questa lordura spirituale ci sguazza soddisfatta più di quanto facciano filosofi, sociologi, giuristi. A essi si dà valore “eterno e universale”; e lo stesso vale per gli istituti economici e politici e i “contratti sociali”, già da tempo al servizio del Capitale. Queste mitologie non sono ininfluenti o “neutrali”, ma, più che in passato, sono potenti forze di conservazione sociale a copertura della feroce oppressione di classe e della pirateria imperialista. Grazie a bombardamenti mediatici assillanti, viene richiesto l’attaccamento alle istituzioni democratiche, proprio perché queste hanno da tempo finito di avere alcunché di reale e di positivo (riforme, welfare, ammortizzatori, etc.). Queste Milizie Vaticane sanno che questo “distacco spirituale” le “tiene in vita”, facendone oggetto di adorazione quasi mistica, metafisica, inattaccabile come qualunque atto di fede. Un distacco, dicono, che a causa del generale “materialismo sociale” in cui l’umanità è piombata, bisogna mantenere, innalzare e salvaguardare. Quali migliori argomentazioni di quelle che tentano di “spiritualizzare” il rapporto tra Capitale e lavoro?

E’ un bagno rigenerante di pubblico quello del segretario della Cei, che può, davanti al consesso degli imprenditori, nuotare tra gli applausi, tenendosi a galla con la sua becera retorica: “Quanta inutile sorpresa mi capita di cogliere sul volto e nelle parole di chi scopre che mettere al centro [dell’impresa la persona che [è ed ha] un valore in sé, a prescindere dal Vangelo e da dettami di natura religiosa!”. La retorica è anche ripugnante perché il gesuita segretario sa che lo sfruttamento della classe operaia consiste in un’attività logorante praticata ogni giorno per otto-dieci ore, “puntando l’arma” alla testa dei proletari, condannati alla pena del lavoro. Sa che il suo compito di boia è quello di dare un valore ideale al sacrificio, non diversamente dal compito di coloro che sistemano una cintura esplosiva al malcapitato in cambio di una sistemazione economica per i familiari rimasti e del paradiso nell’aldilà. Alla domanda dell’intervistatore della rete TV 2000, che chiede come possa entrare “l’ottica ecclesiale in gioco in un’economia sana, senza tuttavia perdere in termini di profitto e senza trasformarsi in un percorso improponibile per chi ha un’attività economica dove il guadagno è di certo indispensabile”, l’ineffabile segretario Cei risponde: “Ho fatto notare che la Chiesa, nella misura in cui segue e si interessa in maniera corretta ai temi dell’economia e dell’impresa, non condanna né limita il giusto guadagno, tutelando sani modelli di welfare, che non massacrino l’uomo sotto l’egida assoluta del profitto”. Immaginate gli applausi a scena aperta di tutti gli onesti imprenditori in sala (noi sospettiamo anche una ola, che ondeggia dalla prima all’ultima fila).

Alla base di questo fervore plaudente della società borghese vi è proprio il suo carattere mercantile, di cui Marx nel Capitale sottolinea l’aspetto feticistico. La merce (in particolare la merce forza-lavoro) assume un carattere misterioso, un qualcosa che, proprio come una divinità religiosa, si erge e domina i rapporti umani e che, avendo tuttavia una sua propria utilità, un suo proprio valore d’uso, non si può che consumare religiosamente come un’ostia, essenza di un corpo martoriato. La società borghese, con tutto il suo vantato empirismo, alimenta quest’adorazione feticistica: svelarla significherebbe rivelare anche il rapporto sociale di classe (di sfruttamento, di vittima sacrificale) che vi sta dietro. Scrive Marx: “La necessità di superare le illusioni sulla propria condizione è la necessità di superare una condizione che ha bisogno di illusioni. La critica della religione è, così, in nuce, la critica della valle di lacrime, di cui la religione è l’aureola” (Per la critica della filosofia hegeliana del diritto). Non solo il feticcio-merce, ma anche il feticcio-denaro si orna allora di un’aureola come quella dei santi, santificazione del sacrificio della vita. Il denaro, ad esempio, sembra ergersi persino al di sopra del rapporto di scambio tra le merci, al di sopra del processo di produzione capitalistico da cui invece trae la propria esistenza: succede così nei fenomeni di speculazione finanziaria, quando il denaro sembra creare “magicamente” altro denaro – fenomeni considerati dalla cosiddetta scienza e tecnica economica borghese come quasi staccati, autonomi, rispetto alla produzione “reale” capitalistica.

Riformismo e virtuosismo caritatevole

Il segretario della Cei non demorde, cosi come non demorderebbero i virtuosi parassiti (le borghesie mediorientali) dell’elemosina rituale islamica, con l’assistenza alle vedove e agli orfani, come raccomanda il Profeta. Ogni religione ha la sua presenza caritatevole in ogni parte del mondo, la quale si è trasmessa alla socialdemocrazia prima e poi ai regimi dittatoriali (fascismo e nazismo) e infine ai cosiddetti paesi liberali e “socialisti” (assistenza, previdenza, sussidi.). Dopo la crisi del 1929, è stato inaugurato un vero e proprio sistema generale di welfare, che dimostra, al contrario della sua apparenza, la fragilità del sistema capitalistico. La gara al virtuosismo dei sentimenti è diventata uno stato costante di esibizione della carità. L’Africa è un vero bacino di virtù e di raccolta di credito. La Caritas italiana, spiega il nostro sant’uomo, nel 2004 pubblicò “un documento sul micro-credito come sostegno per un possibile modello economico sostenibile, incardinato sul sistema ‘no profit’ che gravita attorno al Terzo settore […] con le esperienze cooperativistiche e mutualistiche”. Le diverse diocesi hanno creato dei fondi specifici di micro-credito: “Si tratta di esempi ispirati alla Dottrina sociale della Chiesa che possono dirci come l’economia non sia condannata a sottostare ad approcci meccanicistici e funzionali a logiche di natura marcatamente ideologica”.

Parla bene, questo imbonitore di piazza, figlio della specie cattolica-apostolica-romana! Per finire: ”La Chiesa come ogni persona di buon senso, non combatte la ricchezza… a prescindere. L’auspicio è che la ricchezza, prodotta dall’impegno e dall’ingegno di chi in essa ha creduto investendoci, porti al miglioramento del mondo circostante”. Anche questo passaggio avrebbe meritato un applauso da far piangere l’intera sala. Noi al contrario vogliamo finire con le parole di Marx: “tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nell’‘autocoscienza’ o trasformandoli in ‘spiriti’, ‘fantasmi’, ecc., ma solo con il rovesciamento pratico dei rapporti sociali esistenti dai quali tali fandonie idealistiche sono derivate; […] non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia…” (L’ideologia tedesca).

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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