Nel numero 14 del luglio 1965 di questo stesso giornale, così scrivevamo al punto 9 delle cosiddette “Tesi di Napoli” [1]:

“Prima di lasciare l’argomento della formazione del partito dopo la seconda grande guerra, è bene riaffermare alcuni risultati che oggi valgono come punti caratteristici per il partito, in quanto sono risultati storici di fatto, malgrado la limitata estensione quantitativa del movimento, e non scoperte di inutili geni o solenni risoluzioni di congressi “sovrani”.

“Il partito riconobbe ben presto che, anche in una situazione estremamente sfavorevole ed anche nei luoghi in cui la sterilità di questa è massima, va scongiurato il pericolo di concepire il movimento come una mera attività di stampa propagandistica e di proselitismo politico. La vita del partito si deve integrare ovunque e sempre e senza eccezioni in uno sforzo incessante di inserirsi nella vita delle masse ed anche nelle sue manifestazioni influenzate dalle direttive contrastanti con le nostre. È antica tesi del marxismo di sinistra che si deve accettare di lavorare nei sindacati di destra ove gli operai sono presenti, ed il partito aborre dalle posizioni individualistiche di chi mostri di sdegnare di mettere piede in quegli ambienti giungendo perfino a teorizzare la rottura dei pochi e flebili scioperi a cui i sindacati odierni si spingono. In molte regioni il partito ha ormai dietro di sé un’attività notevole in questo senso, sebbene debba sempre affrontare difficoltà gravi e forze contrarie, superiori almeno statisticamente. È importante stabilire che, anche dove questo lavoro non ha ancora raggiunto un apprezzabile avvio, va respinta la posizione per cui il piccolo partito si riduca a circoli chiusi senza collegamento coll’esterno, o limitati a cercare adesioni nel solo mondo delle opinioni, che per il marxista è un mondo falso quando non sia trattato come sovrastruttura del mondo dei conflitti economici. Altrettanto erroneo sarebbe suddividere il partito o i suoi aggruppamenti locali in compartimenti stagni che siano attivi solo in uno dei campi di teoria, di studio, di ricerca storica, di propaganda, di proselitismo e di attività sindacale, che nello spirito della nostra teoria e della nostra storia sono assolutamente inseparabili e in principio accessibili a tutti e a qualunque compagno.

“Altro punto che il partito ha conquistato storicamente e da cui mai, potrà decampare, è la netta ripulsa a tutte le proposte di ingrandire i suoi effettivi e le sue basi attraverso convocazioni di congressi costituenti comuni ad infiniti altri circoli e gruppetti, che pullulano ovunque dalla fine della guerra elaborando teorie sconnesse e deformi, o affermando come unico dato positivo la condanna dello stalinismo russo e di tutte le sue locali derivazioni.”

 

Da allora, sono passati ormai più di 45 anni. Le organizzazioni sindacali sono diventate sempre più espressione e strumento dello stato borghese, mentre sempre minori si sono fatte le possibilità di riconquistarle alla loro funzione di strumento di difesa dell’insieme della forza lavoro. Dato per acquisito il senso del pericolo di una riduzione dell’attività di partito a “mera attività di stampa propagandistica e di proselitismo politico” e a “circoli chiusi senza collegamento con l’esterno o limitati a cercare adesioni nel solo mondo delle opinioni”, rimane l’immenso campo del rapporto con la classe, che si apre e si chiude dietro le crisi economiche e politiche.  Nella situazione attuale, in cui i proletari subiscono fortemente il gioco di questi sindacati di regime, siano essi tricolori o piccole organizzazioni corporative, e non hanno ancora raggiunto la forza di liberarsi della loro “protezione asfissiante”, il compito dei comunisti non può essere che quello di venire in aiuto ai proletari ovunque essi siano in lotta contro le condizioni di vita presenti (con indicazioni e metodi di lotta sul piano della difesa economica, sul piano della guerriglia quotidiana). Si tratta certamente di capire il tipo di aiuto, che non può essere lo stesso in tutte le situazioni – poniamo, oggi, in una situazione di ancora completa sottomissione al capitale e ai suoi servitori, o, domani, in un’augurabile situazione in cui i proletari hanno già rialzato la testa e sfidano apertamente il loro nemico di classe. Se la strategia non cambia sul piano storico, la battaglia quotidiana muta a seconda delle esigenze immediate. Restando sul piano della lotta economica, il compito dei comunisti in una situazione ancora amorfa non potrà essere quello di propagandare un’astratta (e per il momento impossibile) offensiva contro il padronato e contro lo stato, ma di preparare le condizioni, di favorire il processo oggettivo di ripresa classista, proprio per andare verso quell’offensiva, partecipando da pari a pari allo stesso processo e contribuendo a stimolare e mantenere viva una dimensione anticapitalistica, sia nell’immediato che in prospettiva. Farsi promotori di “lotte offensive” anche solo nel campo delle lotte economiche significa presupporre l’esistenza di forme organizzative di gruppi di lavoratori che non solo abbiano già  rotto in pratica coi sindacati parastatali, ma che abbiano esteso e rafforzato quelle forme organizzative: significa, da parte dei comunisti, stare già conquistando la loro fiducia. Credere di potere far a meno di tale processo preparatorio significa vaneggiare romantiche e astratte offensive.

Il lavoro dei comunisti volto a guidare e indirizzare la classe, durante o in prossimità di azioni offensive finali, si prepara e si impara stando al suo fianco, dentro il suo movimento: lavoro difficile,  in situazioni in cui si tratta di conquistare, con la battaglia contro tutti i partiti borghesi e pseudo-operai, posizioni e postazioni dal cui rafforzamento sarà possibile, ma solo dopo, passare al contrattacco. La prossima rivoluzione non sarà certamente un atto improvviso, tanto meno simultaneo, ma un lungo processo altalenante durante il quale, attraverso lotte e battaglie, i proletari si riapproprieranno della propria consapevolezza di classe, legandosi e organizzandosi sempre più nel Partito Comunista. D’altra parte, la crescita del partito non si realizzerà proclamando astrattamente, a parole, di essere l’avanguardia o l’organo cosciente della classe: tanto meno promuovendo (o, peggio, solo proclamando) azioni contro lo stato borghese, quando i proletari sono ancora schiacciati o stanno appena rialzando la testa. L’azione dei comunisti in tutto il processo rivoluzionario che deve preparare e precedere l’assalto alle roccaforti politiche del capitale richiede di legarsi strettamente e saldamente alle masse proletarie in lotta, di conquistare la loro fiducia lottando al loro fianco. Solo se si realizza e stabilisce quel legame e quella fiducia, solo se si rafforza quel legame tra i proletari organizzati nelle loro strutture e l’organo partito, il processo rivoluzionario potrà procedere per la sua strada verso altre battaglie. Ovviamente, parlando di conquista delle masse proletarie, ci riferiamo alle masse proletarie che non solo danno prova di grande combattività, ma che sono riuscite a darsi anche delle strutture e delle organizzazioni, la più alta espressione di quella combattività. Tutt’al contrario della prassi riformista della conquista delle masse attraverso intergruppi politici, fronti democratici, blocchi elettorali – pratica borghese che in tutti i tempi è sempre servita a spegnere, soggiogare e reprimere lo scontro di classe, promettendo briciole magari sottratte allo sfruttamento di altri proletari più disperati nella scala sociale, incastrandola nella totalitaria cultura e ideologia dominante, in tutte le sue forme e sfumature. Che è poi anche una prassi controrivoluzionaria e distruttiva nei confronti del Partito, ove questo cedesse alleproposte di ingrandire i suoi effettivi e le sue basi attraverso convocazioni di congressi costituenti comuni ad infiniti altri circoli e gruppetti, che pullulano ovunque dalla fine della guerra elaborando teorie sconnesse e deformi”. Il partito deve sapere aspettare la radicalizzazione delle masse proletarie, lo affermiamo decisamente: ovvero, il partito deve favorire la loro radicalizzazione che si acquista con le lotte e loro organizzazione. E’ un processo altamente dialettico: non si sta passivamente ad aspettare tale radicalizzazione. Si tratta di partecipare al processo di sviluppo di un antagonismo di classe senza farsene condizionare, ma inquadrandolo nella prospettiva del comunismo rivoluzionario. La lotta e la riorganizzazione della nostra classe, specie dopo i vari decenni di dominio controrivoluzionario, non si svilupperanno e cresceranno, dunque, tutte in una volta, ma procederanno per alti e bassi, in maniera convulsa e anche confusa. Prendendo sempre più parte attiva a tale processo, il partito si svilupperà e si rafforzerà stringendo i legami di classe, conquisterà sempre più la fiducia dei proletari e diverrà sempre più determinante nella direzione delle loro lotte.



[1] Le “Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della Sinistra comunista (Tesi di Napoli)” si possono leggere nel nostro testo In difesa della continuità del programma comunista, edizioni il programma comunista, Milano 1970.

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2011)

 

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