Giugno 1848 a Parigi primo atto del dramma

 

Abbiamo visto come a febbraio - secondo Marx - "il proletariato imponendo la repubblica al governo provvisorio e, attraverso il governo provvisorio, a tutta la Francia, occupava d’un colpo il centro della scena come partito indipendente, ma in pari tempo gettava una sfida a tutta la Francia borghese. Ciò che esso aveva conquistato era il terreno della lotta per la propria emancipazione rivoluzionaria, ma non era certamente questa emancipazione". Quest'ultima poteva essere solo il frutto di un vittorioso urto armato contro tutte le classi che il febbraio aveva portato al potere. Alla grande battaglia storica si pervenne nel giugno del '48. "La rivoluzione di febbraio aveva cacciato l'esercito da Parigi. La Guardia Nazionale, cioè la borghesia nelle sue più diverse gradazioni, era l'unica forza armata. Essa non si sentiva però abbastanza forte da misurarsi da sola col proletariato. Inoltre era stata costretta, benché dopo la più tenace resistenza ed opponendo cento ostacoli diversi, ad aprire a poco a poco ed in parte le sue file, e a lasciare entrare in essa del proletari armati. Non rimaneva dunque che una via d'uscita: opporre una parte del proletari all'altra.

"A questo scopo il governo provvisorio formò 24 battaglioni di guardie mobili, ciascuno di mille uomini dai 15 ai 20 anni. Essi appartenevano per la maggior parte al sottoproletariato... Quando la guardia mobile sfilò per Parigi, il proletariato l'accolse con degli evviva. In essi riconosceva i suoi combattenti d'avanguardia sulle barricate, e la considerava come la guardia proletaria in opposizione alla guardia nazionale borghese. Il suo errore era perdonabile". Esso fu compensato da un errore della borghesia. "Accanto alla guardia mobile il governo decise di raccogliere intorno a sé anche un esercito di operai industriali. II ministro Marie arruolò nei cosiddetti laboratori nazionali centomila operai gettati sul lastrico dalla crisi e dalla rivoluzione... In essi il governo provvisorio credette di aver trovato un secondo esercito proletario contro gli operai stessi. Questa volta la borghesia si ingannava circa i lavoratori nazionali, come gli operai si ingannavano circa la Guardia mobile. Essa aveva creato un esercito per la sommossa". L'unico scopo ottenuto dalla borghesia fu l'equivoco tra i laboratori popolari propugnati da L.Blanc e quella specie di Workhouse inglesi all’aria aperta organizzate dal governo, equivoco sfruttato per disorientare il proletariato nelle lotte che di lì a poco dovevano cominciare, per es. nelle giornate del 17 marzo e del 16 aprile, quando il governo vi colse "il pretesto al richiamo dell’esercito a Parigi".

II primo attacco della borghesia avvenne dopo l’elezione dell'Assemblea nazionale costituente (4 maggio). "L’Assemblea ruppe subito con le illusioni sociali della rivoluzione di febbraio; essa proclamò chiaro e tondo la repubblica borghese, niente altro che la repubblica borghese; escluse immediatamente dalla commissione esecutiva da lei nominata i rappresentanti del proletariato, Luis Blanc e Albert". A questo attacco ai proletari sul piano politico la borghesia fece presto seguire quello decisivo sul piano militare. "Si doveva batterli sulla strada; si doveva mostrar loro che erano sconfitti, non appena si battevano non con la borghesia, ma contro la borghesia". Questa "doveva respingere le rivendicazioni del proletariato con le armi alla mano". Essa prese di mira i laboratori nazionali come "vero centro dell’attacco" e questo perché "non per il loro contenuto, ma per il loro nome, i laboratori nazionali erano l'incarnazione della protesta del proletariato contro l’industria borghese, il credito borghese, la repubblica borghese". Così il governo "ordinava l’espulsione dai laboratori nazionali di tutti gli operai non sposati, ed il loro arruolamento nell'esercito. Agli operai non rimase altra alternativa: o morire di fame o scendere in campo. Essi risposero il 22 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia fra le due classi in cui è divisa la società moderna. Pu una lotta per la conservazione o per la distruzione dell'ordine borghese. II velo che avvolgeva la repubblica fu lacerato".

Marx commenta così la disfatta di giugno sulla N.R.Z. del 29/6/'48: "Nessuna delle numerose rivoluzioni della borghesia a partire dal 1789 era stato un attentato contro l'ordine, perché tutte avevano lasciato sussistere il dominio della classe, la schiavitù degli operai, l'ordine borghese, benché spesso fosse cambiata la forma politica di questo dominio e di questa schiavitù. Giugno ha intaccato quest'ordine!".

 

       Continua instancabile la battaglia di Marx in Germania

 

Marx avvertì il colpo della disfatta di Giugno a Parigi, ne comprese il significato in tutta la sua portata per le sorti della rivoluzione in Germania. E proprio per questo la sua azione si fece più accanita su tutti i fronti, e non solo attraverso quell'organo rivoluzionario che era la N.R.Z.. La sua "redazione si riduceva alla dittatura di Marx. Un grande quotidiano, che deve essere pronto ad un'ora determinata non può mantenere con nessun altro regime una posizione conseguente. Nel nostro caso però - dice ancora Engels - la dittatura di Marx era una cosa ovvia, fuori discussione, riconosciuta volentieri da tutti. E furono in primo luogo la lucidità della sua visione ed il suo atteggiamento sicuro a fare del nostro il più famoso giornale tedesco degli anni della rivoluzione". La battaglia per quel più immediate obbiettivo che era la "conquista della democrazia" in Germania, si servì anche di tre associazioni sorte a Colonia verso la meta d'Aprile '48: la "Associazione democratica", la "Associazione operaia" e la interclassista "Associazione del datori di lavoro e degli operai" le quali, prima di poter marciare unitariamente secondo l’'indirizzo impresso da Marx, gli costarono aspre lotte contro il massimalismo di Gottschalk che, con posizioni demagogiche ed infantili, avrebbe portato ad isolare il proletariato dal grosso dell'esercito di cui doveva rappresentare l'"estrema punta dell'ala sinistra,,. giacché infatti la Bastiglia non è ancora presa e l'assolutismo non è ancora, battuto". E’ il problama della tattica che Marx vede chiaramente in quella situazione storica: la sola politica rivoluzionaria era di frustare a sangue la borghesia per costringerla ad assolvere i compiti che la storia le assegnava e che essa mostrava di rifiutare, e quindi a fare assegnamento sul "popolo armato" che per Marx significava essenzialmente "proletariato armato". Occorreva quindi dimostrare che la burocrazia civile e militare era rimasta al suo posto dopo marzo e che, con il suo aiuto e con quello dell'esercito, il re di Prussia e l'imperatore d'Austria avrebbero potuto prendersi la rivincita e ripristinare il vecchio ordine. Occorreva indicare il quadro in cui la rivoluzione poteva proseguire aveva dimensioni internazionali, perché il più importante compito borghese, che era l’unificazione della nazione tedesca, urtava necessariamente contro la Russia feudale.

Se poi la guerra rivoluzionaria avesse coinvolto anche l’Inghilterra, allora il processo rivoluzionario non solo avrebbe liberato la Germania e gli altri popoli oppressi (Italia, Ungheria e Polonia) ma avrebbe potuto dar modo ai cartisti inglesi di abbattere gli oppressori imperialisti nazionali, e al proletariato francese di prendersi la rivincita del giugno: in poche parole, si sarebbe potuto saldare il movimento di liberazione nazionale in lotta contro l'alleanza imperialistico-feudale alla lotta proletaria dei paesi più avanzati. Così, Marx vedeva possibile l'avviarsi di quel processo e di quella strategia rivoluzionaria che dovevano diventare i soli possibili nella fase imperialistica del capitalismo, iniziatasi con il secolo attuale. Bisognava trascinare a viva forza la borghesia in azioni militari rivoluzionarie, perché queste, con la loro logica e le loro necessità, avrebbero imposto all’interno una direzione sempre più energica e decisa, quindi sempre più spinta verso forme esclusive e dittatoriali di potere. Ecco perché Marx non insiste più sulla formula per organizzare lo Stato tedesco uscito dalla rivoluzione di marzo. Anziché esaurirsi in inutili discussioni sulla "migliore forma da dare allo stato", occorreva operare in modo rivoluzionario perché questo operare avrebbe, con le sue necessità, imposto la forma di Stato più adatta, che poi, per Marx, aveva il significato non di punto d'arrivo ma di nuovo punto di partenza per spingere la lotta fra le classi in direzione del duello finale fra borghesia e proletariato. "La forma migliore di Stato è quella nella quale gli antagonismi sociali non sono mitigati, non sono compressi con la forza, cioè superficialmente e artificialmente. La miglior forma dello Stato e quella in cui questi antagonismi si scontrano liberamente nella lotta, e attraverso ad essa trovano la loro soluzione"

   Le istituzioni parlamentari e governative di Berlino, Francoforte e Vienna, sorte in seguito alla rivoluzione di marzo, si trovavano, secondo Marx, di fronte ad un tragico "dilemma tra un suicidio per eroismo e un suicidio per vigliaccheria": se il processo rivoluzionario fosse stato spinto avanti, esse sarebbero sparite per cedere il posto ad altre più avanzate; se invece quel processo si fosse arrestato, sarebbe perite ugualmente, ma per mano di forze controrivoluzionarie.

La borghesia tedesca preferì il "suicidio per vigliaccheria"!

 

       La controrivoluzione si abbatte sulla Germania

 

II primo atto decisivo della controrivoluzione europea si era verificato in giugno a Parigi. Ma già dall'aprile "il torrente rivoluzionario era stato arginato... In Francia, la piccola borghesia e la frazione repubblicana della borghesia si erano unite con la borghesia monarchica contro i proletari; in Germania ed in Italia, la borghesia vittoriosa si era affrettata a cercare l'appoggio della nobiltà feudale, della burocrazia statale e dell'esercito contro la massa del popolo; ... in Inghilterra, una dimostrazione popolare intempestiva e male preparata (10/4) si risolse in una sconfitta completa e decisiva del partito popolare [cartista]. In Francia, due movimenti simili (16/4 e 15/5) vennero ugualmente sconfitti. In Italia, il re Bomba restaurò il suo potere di un sol colpo il 15 maggio".        

Anche in Ungheria il movimento aveva preso forme legali, e in Austria il ripristino dell'alleanza fra borghesia e popolo nella giornata del 15 maggio era stato dovuto più che altro alla fretta della corona di riprendere tutto il potere nelle mani. Ma due eventi militari delle due massime potenze della Germania si erano prodotti per volere dei monarchi e con la vergognosa compiacenza dei borghesi al governo:

1) Già nel mese di aprile, sei settimane dopo la rivoluzione di Berlino, l’esercito prussiano era riuscito a schiacciare il movimento polacco. "II partito dominante borghese, poiché prevedeva che una guerra nazionale contro la Russia, esigendo la direzione di uomini più attivi ed energici, avrebbe portato alla sua caduta, con un entusiasmo ipocrita per l’estensione della nazionalità tedesca dichiaro che la Polonia prussiana, centro dell'agitazione rivoluzionaria polacca, doveva essere parte integrante del futuro impero tedesco. Le promesse fatte ai polacchi nei primi giorni di agitazione vennero vergognosamente tradite ... Questo immenso, incalcolabile servizio venne reso all'autocrate russo dai ministri-mercanti liberali Champausen e Hauseman. Si deve aggiungere che questa campagna polacca fu il primo mezzo per riorganizzare e rinfrancare quello stesso esercito prussiano, che in seguito rovesciò il partito liberale e schiacciò il movimento che i signori Gamphausen e Hansemann avevano messo in piedi con tanta pena. "Là dove hanno peccato ivi sono puniti . Fu questo il destino di tutti gli uomini venuti a galla nel 1848 e nel 1849, da Ledru-Rollin a Changarnier, dai Camphausen fino a Haynau" (Marx ad Engele, 5 marzo 1852).

2) In giugno, l'esercito austriaco, formato da truppe slave e comandato dal generale Windischgratz, soffocò il moto dei "democratici" slavi di lingua ceca con un terribile bombardamento di Praga, dopo di che l'esercito austriaco con Radetsky può prendersi la rivincita in Italia contro l'eroica rivoluzione milanese (le cinque giornate, 18/23 marzo), sconfiggendo l'esercito lombardo-piemontese a Custoza il 25 luglio. E così "l'esercito tornò ad essere il potere decisivo nello stato; e l'esercito apparteneva non alla borghesia, ma al vecchio partito burocratico feudale in Germania".  La borghesia, ripristinando l'onore dell'esercito regolare che la rivoluzione aveva sconfitto, aveva preparato la sua miseranda fine.

 

II primo grande scontro fra rivoluzione e controrivoluzione

 

"All’inizio dell'autunno le relazioni fra i differenti partiti erano diventate così tese e critiche che una battaglia decisiva era inevitabile. II primo scontro in questa guerra tra le masse democratiche e rivoluzionarie dell'esercito si produsse a Francoforte". Alla sua base c'è la guerra nazionale tedesca contro la Danimarca, la cui direzione era stata al fidata alla Prussia ed al suo esercito. Questo che in Polonia aveva combattuto con estremo vigore, in questa guerra, "la sola popolare", si muove svogliatamente e il 28 agosto la Prussia firma il vergognoso armistizio di Malmo per due ragioni: la Prussia voleva riservarsi l'esercito come mezzo di repressione interna e non come mezzo rivoluzionario, e non voleva mettersi contro l'Inghilterra e la Austria che proteggevano la Danimarca. Qui il ruolo storico rivoluzionario dell'Assemblea di Francoforte poteva essere decisivo; perciò Marx, attraverso la N.R.Z. incalzava: "La guerra che potrebbe scaturire dalle decisioni di Francoforte sarebbe la guerra dell'intera Germania contro la tradizione prussiana, la Russia e l'Inghilterra. Proprio una simile guerra sarebbe necessaria all'assopito movimento tedesco: una guerra contro le tre grandi potenze della controrivoluzione, una guerra che faccia assurgere la Prussia all'altezza della Germania, che renda indispensabile un'alleanza con la Polonia, che porti subito alla liberazione dell'Italia; una guerra che conduca a proclamare "la patria in pericolo" e che perciò stesso la salvi, facendo dipendere la vittoria della Germania dalla vittoria della democrazia".

 

Purtroppo, il "cretinismo parlamentare" che Marx aveva sempre sferzato creò l'irreparabile. Dopo la commedia della crisi del ministero confederale, poi ricostituito dal Gagern, filo-prussiano e agli ordini degli Hohenzollern, l'Assemblea approvò l'armistizio il 16 settembre '48: anziché mettere la Prussia ai suoi ordini, si metteva al suo servizio! "Questo procedimento vergognoso sollevò l'indignazione del popolo. Si fecero le barricate, ma a Francoforte erano già state inviate truppe in quantità sufficiente, e dopo sei ore di battaglia l'insurrezione fu vinta.

"Movimenti simili, ma di minore importanza si produssero, in relazione con questo avvenimento, in altre parti della Germania (Baden, Colonia) ma vennero egualmente repressi". (**). Tra questi avvenimenti minori ricordiamo il licenziamento di Haneemann a Berlino e la sua sostituzione con il generale Pfuel che si era distinto nella repressione dei Polacchi, e le agitazioni in Renania (il 17/9, a un comizio di 10.000 persone, parlarono Engels, W.Wolf e Schapper) che costarono la sospensione per otto giorni della pubblicazione della N.R.Z.

Lo scontro di Francoforte "dette al partito controrivoluzionario un grande vantaggio, e cioè che il solo governo, il quale almeno in apparenza era uscito per intero da una elezione popolare, il governo del Reich residente a Francoforte, perdette agli occhi del popolo ogni autorità, allo stesso modo dell’Assemblea nazionale. Questo governo e questa Assemblea erano stati costretti a fare appello alle baionette dell'esercito contro la manifestazione della volontà popolare" (**). La questione militare e della rivoluzione era tutta qui: anziché mettersi sotto la protezione del popolo armato, un governo che pur doveva la sua nascita a quelle armi si metteva sotto la protezione dell'esercito reazionario.

 

Ottobre 1848 a Vienna: secondo atto del dramma

 

"Ma lo ripetiamo: questi eserciti, rafforzati dai liberali come mezzo d'azione contro il partito piu avanzato [cioè quello proletario], non appena ebbero recuperate in una certa misura la loro fiducia in se stessi e la loro disciplina, si rivolsero contro i liberali e ristabilirono al potere gli uomini del vecchio sistema. Quando Radetsky, nel suo campo dietro l'Adige ricevette i primi ordini dei "ministri responsabili" di Vienna, esclamò: "Chi sono questi ministri? Essi non sono il governo dell'Austria! L’Austria è ora soltanto nel mio campo; io e il mio esercito: questa è l'Austria; e quando avremo battuto gli italiani, riconquisteremo all'imperatore il suo impero!.". II vecchio Radetsky aveva ragione; ma gli imbecilli ministri "responsabili" di Vienna non gli prestarono attentione" (**).

Abbiamo già visto che in luglio Radetsky aveva vinto in Italia. L'imperatore, fuggito in seguito alla rivolta del maggio, può ora tornare a Vienna, adularvi la guardia nazionale borghese, guadagnarla alla sua causa, e quindi passare alla offensiva provocando i lavoratori con un decreto "che sopprime il sussidio corrisposto fino allora dal governo agli operai disoccupati". II trucco riuscì. Gli operai organizzarono una manifestazione. Le guardie nazionali borghesi si dichiararono per il decreto del loro ministro; vennero gettate contro gli "anarchici", ed il 23 agosto si scagliarono come tigri sugli operai disarmati e che non facevano resistenza, e ne massacrarono un buon numero. In questo modo vennero spezzate l'unità e la potenza delle forze armate rivoluzionarie; la lotta di classe fra i borghesi e i proletari era giunta anche a Vienna a uno scoppio sanguinoso e la camarilla controrivoluzionaria vedeva avvicinarsi il giorno in cui avrebbe potuto sferrare il suo grande colpo" (**). Questo giorno doveva essere il 5 ottobre. L’Austria aveva già prima attaccato l'Ungheria ritirando le concessioni fatte in marzo e, seguendo la vecchia politica di sfruttare le rivalità nazionali, aveva messo i croati comandati da Jellacic contro i magiari. II 5 ottobre poi dichiarava sciolta la Dieta ungherese, e in pari tempo ordinava alle truppe di stanza a Vienna di andare a rafforzare Jellacic ora governatore d'Ungheria. Quest’ultimo atto fece insorgere il popolo che trascinò con sé sia la Legione accademica che la Guardia nazionale nell'opporsi alla partenza delle truppe. Fu l'ultima rivolta vittoriosa, che vide nuovamente l’imperatore scappare, a Olmutz. Ma qui gli vennero in soccorso i deputati slavi inscenando una campagna contro la rivoluzione che, secondo loro, doveva farla finita con tedeschi e magiari "invasori della terra slava". "Windischgratz, il vincitore di Praga, era comandante dell'esercito concentrato intorno a Vienna, diventò di colpo l’eroe della nazionalità slava. Ed il suo esercito riceveva rapidamente rinforzi da tutte le parti. Dalla Boemia, dalla Moravia, dalla Stiria, dall’Austria superiore e dall'Italia, reggimenti su reggimenti convergevano su Vienna, per unirsi alle truppe di Jellacic e alla ex guarnigione della capitale. Si trovarono così concentrati verso la fine di ottobre più di 60.000 uomini, e presto essi cominciarono a circondare la città imperiale da tutte le parti sino a che, il 30 ottobre, furono tanto avanzati da poter avanzare l'attacco decisivo". Dall'altra parte della barricata, e cioè in Vienna, la situazione era caotica: "... La borghesia era caduta di nuovo in preda della sua vecchia diffidenza per la classe operaia "anarchica". Gli operai, memori del trattamento che avevano ricevuto sei settimane prima da parte dei bottegai armati, e memori della politica instabile, tentennante, della borghesia in generale, non vollero affidarle la difesa della città e chiesero armi e un'organizzazione militare per se stessi" (**). Dunque da una parte c'era organizzazione e potenza, dall’altra disorganizzazione e contrasti di classe. "Non vi poteva essere dubbio circa l'esito di una lotta simile, e se vi era qualche dubbio, esso venne dissipato dagli avvenimenti del 30 e 31 ottobre e del primo novembre" (**). Vienna fu bombardata crude mente e "le barricate vennero spezzate una dopo l'altra dalla artiglieria imperiale". I metodi seguiti da Cavaignac a Parigi vennero imitati alla perfezione dai generali panslavisti Windeschgratz e Jellacic. Ma quello contro cui Marx, Engels e tutti i rivoluzionari comunisti si batterono fieramente fu ancora peggio: il tradimento di Vienna sia da parte dei tedeschi che degli Ungheresi. In fondo "i viennesi, con tutta la generosità di un popolo da poco libero, erano insorti per una causa la quale, benché fosse in ultima istanza la loro, in prima istanza era sopratutto la causa degli ungheresi" (**). Questi avrebbero potuto, se solo lo avessero voluto, "rinviare di sei mesi il concentramento di un esercito austriaco. In guerra, e particolarmente in una guerra rivoluzionaria, la rapidità dell’azione fino a che non si è ottenuto un vantaggio decisivo è la prima regola; e non esitiamo ad affermare, basandoci su considerazioni puramente militari, che Perczel [generale ungherese che aveva battuto ai primi d’ottobre Jellacic costringendolo a ritirarsi verso Vienna] non si sarebbe dovuto fermare fino a che non si sarebbe congiunto con i viennesi. E’ vero che la cosa non era priva di rischio, ma chi ha mai vinto una battaglia senza mai arrischiare qualcosa? E forse che il popolo di Vienna non arrischiava nulla, quando attirava su di sé - su una popolazione di 400.000 abitanti - le forze destinate a marciare alla conquista di 12 milioni di ungheresi?" (**). Quanto al popolo tedesco che doveva essere "il secondo alleato di Vienna", basti ricordare: "il parlamento di Francoforte e... il cosiddetto potere centrale trassero occasione dal movimento di Vienna per rendere palese ancora una volta la loro nullità assoluta" (**). Insomma la N.R.Z. spronava tedeschi e ungheresi a difendere Vienna a Francoforte, a Berlino, ecc. ecc.. E, quando venne la sconfitta, così parlava:

"A Vienna e stato testé eseguito il secondo atto del dramma, il cui primo atto si era concluso a Parigi sotto il titolo: giornate di giugno. A Parigi la guardia mobile; a Vienna, i croati; gli uni e gli altri dei lazzaroni, un cencioso proletariato comprato e armato contro il proletariato che lavora e che pensa. A Berlino assisteremo presto al terzo atto".

 

Novembre 1848 a Berlino; terzo atto

 

In un processo rivoluzionario, le forze politiche più avanzate sostituiscono quelle più moderate; il contrario avvene se il processo si inverte e se la controrivoluzione avanza. Appunto ciò era accaduto a Berlino dove al ministero borghese Camphausen era succeduto quello Hansemann e a questo Manteuffel sotto il quale, all’atteso momento buono, cioè dopo la caduta di Vienna, il re licenziò i ministri e trasferì l’"Assemblea, eletta allo scopo di trovare un accordo con la corona" a Brandeburgo, "piccola città di provincia completamente controllata dal governo" dove non seppe far altro che cominciare "la grande commedia della resistenza passiva e legale", anziché rispondere con la violenza alla violenza.

L'Assemblea prussiana aveva rifiutato l’offerta dell'intervento armato del proletariato organizzato nella Fratellanza operaia diretta da Stephan Bern. Così, "quando giunse il momento decisivo, quando Wrangel, alla testa di 40.000 uomini, batté alle porte di Berlino, invece di trovare, come egli ed i suoi ufficiali si aspettavano, ogni strada coperta di barricate ed ogni finestra trasformata in feritoia, trovò le porte aperte e le strade ingombre soltanto dei pacifici cittadini di Berlino" (**). Si sarebbe vinto se si fosse tentata una resistenza armata? Non lo si può certo affermare, ma se pure Berlino doveva subire la sorte toccata a Parigi e a Vienna, "una sconfitta dopo una lotta seria e un fatto di importanza rivo-luzionaria altrettanto grande quanto una vittoria ottenuta a buon mercato", perché lascia "dietro di sé, nell'animo dei sopravissuti, un desiderio di vendetta che in tempi rivoluzionari è uno degli stimoli più potenti ad azioni energiche e appassionate" (**). E poi "è evidente che, in ogni lotta, chi raccoglie il guanto della sfida arrischia di essere battuto; ma è forse questo un motivo per confessarsi battuto e sottomettersi al giogo senza estrarre la spada? In una rivoluzione, chi occupa una posizione decisiva e l'abbandona, invece di costringere il nemico a prenderla di assalto, immancabilmente merita di essere trattato come un traditore" (**). 

Ma se questo era stato il comportamento dell’Assemblea prussiana e della sua Guardia nazionale che aveva consegnato le armi senza combattere, non meno vergognoso era stato quello della Assemblea nazionale di Francoforte e del governo centrale.

 

Ultimi bagliori

 

Non ci soffermeremo a trattare altri importanti aspetti dei fatti accaduti dopo la caduta di Vienna e Berlino. Tra questi, notevole interesse avrebbe il processo a Marx per aver firmato, insieme ad altri rivoluzionari, un appello alla violenza per trasformare in resistenza attiva la vile resistenza passiva proclamata dall'Assemblea prussiana, processo conclusosi con la sua assoluzione da parte dei giudici borghesi ai quali egli aveva impartito una vera e propria lezione di logica rivoluzionaria.

I fatti essenziali che caratterizzarono il ritorno all'assolutismo solutismo pieno in Austria, Prussia e nell'intera Germania, nei primi mesi del 1849, sono i seguenti: in Austria la Dieta fu sciolta il 4 marzo e i deputati dispersi con la forza delle armi: fra essi quelli slavi che si erano posti così fedelmente al servizio dell'Impero, dal quale si illudevano di ottenere un'esistenza nazionale indipendente. Con la nuova costituzione del 4 maggio, l'Austria risolve il dilemma dell'Assemblea di Francoforte: se dovesse essere prussiano o austriaco il futuro capo del Reich tedesco che, secondo la Costituzione finalmente varata a Francoforte il 28 mar­zo, sarebbe stato non più una repubblica ma un impero! Il trionfo della Prussia e dei fautori della "piccola Germania" (cioè della Germania senza l'Austria tedesca) è così scontato; esso è opera dei piccolo borghesi del partito democratico ormai in maggioranza nell'Assemblea di Francoforte dopo l'uscita dei deputati austriaci. C'era da attendersi che il re di Prussia accettasse la corona imperiale. Niente affatto: egli dichiara di poterla accettare solo dai principi e, con ciò, mette sotto i piedi la Costituzione di Francoforte, non riconoscendola come legge sovrana. II conflitto fra parlamenti e governi in tutta la Germania diviene così inevitabile e solo la forza delle armi lo può decidere. I parlamenti sono dalla parte dell'Assemblea di Francoforte e del suo "potere" (sempre esaltato e mai garantito con la forza popolare): i governi si decidono a scioglierli dietro invito della Prussia che, dopo aver convocato un governo di principi, concentra un esercito a tre giorni di marcia da Francoforte.

II conflitto scoppiò ai primi di maggio. La situazione ere molto più favorevole all'Assemblea di quanto si potesse prevedere. Infatti, il partito democratico da minoranza era diventato maggioranza, per la diserzione dei membri conservatori e dei deputati austriaci richiamati in Austria. Sarà questa sinistra all'altezza della situazione? Essa "si era servita dei suoi posti sui banchi dell'opposizione per tuonare contro la debolezza, l'indecisione, l'indolenza della vecchia maggioranza e della reggenza dell'impero. Ora era chiamata essa stessa di colpo, a sostituire questa vecchia maggioranza. Essa doveva ora mostrare quello che sapeva fare" (**). II popolo era dalla sua parte, l'esercito era esitante, l'Austria era paralizzata insieme alla Russia dalla lotta contro gli ungheresi (questi saranno battuti solo in agosto, mentre gli italiani lo erano già in marzo), e nella Prussia - la più da temere - molte simpatie esistevano per la rivoluzione. Tutto dipendeva dalla condotta dell'Assemblea, se cioè riusciva a spingere il governo all'azione e, in caso contrario, a sostituirlo con uno più energico e deciso. Purtroppo essa dimostrò di non sapere che "l'insurrezione è un'arte", e che non osservare le sue norme d'azione può solo portare alla rovina. Fu ciò che avvenne. "La classe operaia prese le armi con la piena coscienza del fatto che, per le sue conseguenze immediate, questa lotta non era la sua. Essa seguiva pero la sola linea politica giusta, di non permettere a nessuna classe elevatasi sulle sue spalle (come aveva fatto la borghesia nel 1848) di consolidare il suo dominio di classe senza per lo meno aprire per la classe operaia un libero campo per la lotta per i propri interessi. In ogni caso, la classe operaia si sforzava di portare le cose ad una crisi nella quale o la nazione fosse lanciata in modo aperto e irresistibile sulla via della rivoluzione, oppure fosse restaurata per quanto possibile la situazione di prima della rivoluzione, in modo che una nuova rivoluzione diventasse inevitabile" (**). Non solo i piccolo borghesi non espressero la dantoniana audacia che era necessaria, ma agirono addirittura alla rovescia, fecero di tutto per staccarsi dalla rivoluzione: invece di trasferire l'Assemblea nelle regioni insorte, la portarono a Stoccarda dove il governo osservava una specie di neutralità, e solo in ultimo si decisero a fare ciò che da tempo aveva reclamato l'unico rivoluzionario dell'assemblea, W.WoIff, redattore della N.R.Z.: mettere fuori legge il "reggente dell'impero". Ma ormai era troppo tardi: il rapporto di forze si era del tutto capovolto. Così l'Assemblea, che ormai non contava più nulla, fu sciolta manu militari dal governo del Wuttemberg, dietro istigazione della Prussia, il 18/6/1849.

 

La fine del principio

 

Con essa spariva l'ultimo residuo di ciò che la rivoluzio­ne di marzo 1848 aveva prodotto in Germania, e la controrivoluzione poté da allora in poi avanzare liberamente.

Abbiamo vieto che il proletariato "appoggio la rivoluzione borghese per conquistare un campo di battaglia sul quale muovere apertamente guerra alla borghesia". Non appena vide che la classe borghese cominciava a precludere questo campo di battaglia, sacrificando i suoi interessi, "dovette accorgersi che non poteva più lasciarsi guidare dalla borghesia, ma dove va organizzarsi malgrado essa. Quanto più la rivoluzione si insabbiava, tanto più diventava rivoluzionaria la classe ope­raia. Essa era ancora troppo debole per portare alla vittoria la bandiera che la borghesia aveva tradito, ma per quella bandiera combatté coraggiosamente, e la sua sconfitta non fu, come per la classe borghese, il principio della fine, bensì al contrario, la fine del principio della sua lotta di emancipazione" (Mehring: Storia della socialdemocrazia tedesca).

"Al posto delle sue rivendicazioni, esagerate nella forma, nel contenuto meschine e persino ancora borghesi, e che essa voleva strappare come concessioni alla repubblica di febbraio, subentrò l'ardita parola di lotta rivoluzionaria: Abbattimento della borghesia. Dittatura della classe operaia!" (*).

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(
il programma comunista, n. 8, 1965)

 

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