La grande ammucchiata governativa, che va dai cattosociali alle guardie svizzere della Santissima Costituzione democratica nata dalla Resistenza, ha tirato fuori dal cilindro i primi provvedimenti economici. E ha rimesso in luce la sua base sociale: “il consumatore”, buono per tutti i gusti, governi di destra e di sinistra. Le classi sociali non esistono: per difendere un tale soggetto, libero, cosciente, con il portafogli sempre spalancato, si sono messi in allerta bottegai, professionisti, notai, assicuratori, farmacisti, tassisti, panettieri. Non sorprende che Il manifesto del 2 luglio nell’editoriale sia andato in brodo di giuggiole: “Nella società italiana, a fianco dei potenti esiste un ceto di persone che godono di tradizionali privilegi risalenti al passato, spesso a secoli lontani [siamo tornati a quel feudalesimo che la rivoluzione borghese non ha spazzato via del tutto, di togliattianastaliniana memoria?]… Un livello più elevato di democrazia, di potere popolare, di conoscenza, di libertà, nelle scelte non poteva che agire su tutto questo”. Da parte sua, scrive Il Sole 24 ore dello stesso giorno: “la manovra ha l’intelligenza e il coraggio di andare alla radice dei problemi”. La Confindustria e il quotidiano di sinistra si trovano dunque in perfetta sintonia! Si tratta di una vera riforma: una vera liberalizzazione a favore del divin consumatore. Le Coop ci vanno subito a nozze. La destra si trova scavalcata… “a destra”, la sinistra intona un “Gloria” alla “vera rivoluzione liberale”. Le grandi corporazioni dei media (che Dio le conservi!) non si toccano; che ne sarebbe della santissima “libertà di opinione”? E c’era da aspettarselo: non si vanno a riprendere le vecchie idiozie sul corporativismo fascista, sullo statalismo socialcomunista e cattolico, che avrebbero bloccato la “rivoluzione liberale”, rimettendo in piedi (in piena modernità capitalistica!) le gilde medievali? Avanti, cittadino consumatore, è giunta l’ora della riscossa! Era questa la lotta (?) contro i monopoli, contro le lobbies, contro i potentati, contro le logge? Fanno morire dal ridere: dove sono andati a finire le grandi firme del giornalismo impegnato contro i gruppi monopolistici, il potere delle multinazionali farmaceutiche, alimentari, dei trasporti, delle armi, dell’energia? In nome del consumatore saggio, esperto in prezzi, in qualità del prodotto, se ne vanno a carte quarantotto la “competenza” del farmacista, quella del legale che dava “certezza del diritto”, del panettiere “di fiducia”… Che non hanno più ragione di esistere lo scriveva Marx già un secolo e mezzo fa. Ma qui si legifera sulla moltiplicazione delle licenze e non sulla loro soppressione, sulla “libera concorrenza” delle professioni dei ceti medi. Dunque, ancora una volta si rincorre la loro divorante voglia di consumare. Il destino della competenza, della qualità, della sicurezza, del valore d’uso era già segnato dal valore di scambio della merce, che tutto riduce a gelatina di lavoro uniforme: Amen! Quel che le piccole pedine della scacchiera sociale, oggi ormai senza valore, temono è la loro scomparsa definitiva, il loro de profundis: la precarizzazione, l’incertezza del futuro. Che si tratti della riduzione dei gestori delle panetterie a semplici panettieri salariati, del tassista proprietario a semplice autista salariato, del farmacista a propagandista salariato di farmaci come di formaggi in qualche supermercato, la faccenda non è per nulla nuova; a questi nuovi decaduti (laureati e diplomati!!) dal piccolo scranno possiamo dare il benvenuto nella classe dei senza riserve; ai notai, ai professionisti, agli assicuratori auguriamo uno sprofondamento più rapido nel… nulla. Che cosa c’entra tutta questa manovra con la classe operaia? Nulla! Le masse operaie, i salariati ( e certo non l’aristocrazia impiegatizia di Stato, la burocrazia stipendiata, il ceto sindacale), stanno ben lontani dalle banche, dagli uffici notarili, non vanno in taxi, hanno già pagato col salario l’assistenza malattia e per giunta pagano ticket ed esami: con le farmacie hanno un rapporto estemporaneo perché il capitale li vuole sempre in piedi (“giù una pillola al supermercato, e si torna a lavorar!”), il pane quotidiano (quello buono, non la putrida robaccia in commercio) costa fior fiore di salario e non sarà proprio l’aumento del numero delle panetterie (o il commercio liberalizzato delle licenze) a consentire la diminuzione del prezzo del pane: perché, se ciò accadesse, anche il salario diminuirebbe in proporzione. Solo un ceto medio ultrafrustrato (“chi non è consumatore, scagli la prima pietra”, dice il ministro Bersani) può credere alle panzane delle liberalizzazioni nell’attuale realtà sociale capitalistica, parassitaria fin dentro il midollo. Ciò che si liberalizza da un lato si consocia dall’altro e lo Stato borghese continua la sua “fascistizzazione”, iniziata un secolo fa e mai interrotta, tanto meno in regime democratico. Ma attenzione, qui si parla a nuora, perché suocera intenda! E i proletari per istinto comprendono che si sta per abbattere su di loro il bastone, che l’alternanza democratica ha consentito di passare dalla mano destra a quella sinistra. E mentre il governo con la presenza delle mosche cocchiere radicali (gli “stalinisti di lungo corso”!) si diletta con tali cianfrusaglie, i prezzi dei trasporti, della luce, del gas hanno ricevuto il nulla osta. Il contratto dei metalmeccanici è chiuso attorno all’estensione del precariato e all’aumento della flessibilità (più liberalizzazione di così?!). Rimangono allibiti Cobas, RdB, sostenitori “critici” del governo, che si ritrovano con una Legge 30 rimasta tale e quale, con il precariato che accentua la sua instabilità, con la flessibilità che sconnette ogni attività, ogni mansione, ogni orario. Si aspettano una moratoria sui contratti del Pubblico Impiego, lo smantellamento della Pubblica Amministrazione, la riduzione degli organici… Il coro unanime chiederà presto nuovamente il conto agli operai, in nome di quella Santa Liberalizzazione iniziata nel 1992, ripresa dalla legge Treu nel ‘96 e completata da Maroni. Il consumatore di forzalavoro, il capitale vampiro, padrepadrone di tutti i consumatori, ha i suoi tempi di digestione produttiva, ha le sue crisi, è, suvvia, insaziabile. Basta dunque con le pretese operaie: la concertazione non deve permettere la difesa corporativa del salario, del tempo di lavoro. Liberalizziamola, diamogli un respiro liberale, permettiamo alle benemerite corporazioni sindacali di assumere il ruolo nazionalconsumista che compete loro. La Confindustria non aspetta altro. Le riforme arrivano! Proletari, munitevi di casco, se non altro…!

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°04 - 2006)

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