All'indomani della Seconda guerra mondiale il nostro Partito prevedeva un lungo ciclo di accumulazione capitalistica, nel cui esaurirsi indicava una condizione della ripresa della lotta di classe proletaria. Mentre però nell'Occidente addormentato dalla controrivoluzione staliniana la storia batteva il passo, l'Oriente ribolliva di vitalità rivoluzionaria. Questo spiega perché negli anni '50 il nostro Partito abbia dedicato alla restaurazione della teoria marxista nelle questioni nazionale e agraria, e all'interpretazione degli sconvolgimenti in atto nel “Terzo Mondo”, una lunga serie di Riunioni Generali (1).

Per il marxismo, la distruzione dei rapporti coloniali non è soltanto una premessa oggettiva del comunismo; la lotta politica per la rivoluzione nazionale-borghese sgombera il terreno alla lotta proletaria di classe. Perciò la lotta per le rivendicazioni borghesi e il “blocco delle classi” che si costituisce sulla sua base hanno una legittimità rivoluzionaria in aree e periodi storici esattamente delimitati dalla teoria.

Ma è un errore banale commesso simmetricamente dal frontismo e dall'indifferentismo quello di concludere dal carattere capitalista della lotta la subordinazione del Partito all'ideologia e al programma borghese: il proletariato partecipa alla lotta sotto la propria bandiera e non esita a proclamare suo nemico il capitalismo anche quando lo aiuta a nascere con tutta la sua violenza di classe. Se così non fosse, il Manifesto del 1848, e la prospettiva marxista della rivoluzione “doppia” o “in permanenza” che data da questa stessa epoca, diverrebbero degli oscuri geroglifici.

Scopo del primo Rapporto presentato alla Riunione Generale era di fare il punto sulla questione per stabilire approssimativamente dove sia arrivato nel “Terzo Mondo” questo movimento storico, oggi che scontiamo come prossima una ripresa della lotta proletaria di classe e c’interessa al massimo grado precisare quali forze pesino sulla bilancia della rivoluzione comunista. Si trattava inoltre di valutare in modo più sistematico i caratteri che dovrà assumere la battaglia proletaria nelle diverse regioni del mondo, l’eredità che ci ha lasciato la borghesia, e la misura in cui la rivoluzione borghese degli ultimi decenni ha – o non ha – sbarazzato il terreno alla lotta proletaria.

Ma, prima di tirare questo bilancio, importava, nel momento in cui affermiamo che il ciclo rivoluzionario borghese del Terzo Mondo volge alla fine, ritornare sulle nozioni marxiste di area geografica e di ciclo storico, e non lo si poteva fare che attingendo dall’esperienza del movimento proletario del secolo scorso i criteri che permettono di giudicare che una fase sta finendo, che un ciclo storico sta per chiudersi.

Ciclo del capitalismo e aree geografiche

L’idea di un ciclo del capitalismo è familiare al marxismo. Basandosi su un testo come “Il ciclo dell’economia capitalistica e il ciclo storico del dominio politico della borghesia” (2), e illustrandolo con le grandi rivoluzioni inglese, americana ed europea, il relatore ha cercato di mettere in evidenza come in una prima fase, rivoluzionaria, si verifichino delle rivoluzioni il cui interesse sociale è di distruggere, grazie alla conquista del potere statale, i vecchi rapporti giuridici che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive moderne. Si apre allora una fase di piena fioritura capitalistica, che conduce a una terza fase in cui, con lo scoppio delle guerre imperialistiche, la società si trova costretta ad infrangere i rapporti capitalistici per procedere innanzi sulla propria via.

Significa ciò che, avendo ormai l’Europa e l’America raggiunto la fase senile del ciclo capitalistico, il tessuto sociale di tutti i continenti sia entrato in putrefazione e che i compiti immediati da assolvere siano dovunque anti-capitalistici e comunisti?

Già all’inizio del secolo, dare risposta affermativa a questa domanda equivaleva a negare il carattere capitalistico-borghese della Rivoluzione russa, tuttavia affermato dai bolscevichi, anche se il proletariato era l’unica classe in grado di assolvere quei compiti.

In realtà, è solo a cavallo fra il XIX e il XX secolo che la penetrazione dei rapporti capitalistici ha cominciato a provocare rivoluzioni capitalistiche fuori dall’area euro-americana. Detto questo, sarebbe assurdo immaginare quali altri continenti dovrebbero percorrere lo stesso cammino dell’Europa, non fosse che per il fatto che, giungendo al capitalismo nell’ora dell’imperialismo, i giovani capitalismi devono fin dall’inizio adottare i metodi economici, militari e politici più moderni, il che li obbliga anche solo a percorrere a marce forzate le tappe dello sviluppo capitalistico. Uno studio comparato dei cicli euro-americano e del “Terzo Mondo”, in cui il Rapporto si è sforzato di attenersi ai soli criteri che consentono di valutare il grado di maturità capitalistica nelle diverse aree geografiche, ha permesso di mettere in evidenza l’avvicinarsi della fine della trasformazione rivoluzionaria ad opera del capitalismo, globalmente conclusa nell’America Latina, più avanzata nel Medio Oriente (Maghreb compreso) che nel resto dell’Asia, e ancora largamente in ritardo nell’“Africa Nera”.

Il Rapporto ha sottolineato il movimento contraddittorio di questo fenomeno, che presenta caratteri più avanzati insieme ad altri notevolmente ritardati rispetto a un’Europa di una paragonabile età capitalistica. Soprattutto, nel “Terzo Mondo”, al capitalismo si accompagna – con un coefficiente più debole nei vasti mercati nazionali come la Cina e un coefficiente massimo nelle zone più schiacciate dai rapporti imperialistici – un fenomeno di emarginazione economica. I problemi sollevati da questo fenomeno non possono essere risolti rincorrendo l’illusione di un passaggio attraverso tutte le tappe di uno sviluppo capitalistico puro e, meno ancora, la chimera dell’indipendenza economica, ma solo con la rivoluzione comunista mondiale, che metterà in comune tutte le risorse del pianeta e le utilizzerà razionalmente secondo un piano unico mondiale.

Ciclo rivoluzionario borghese di ieri e di oggi

Il Rapporto ha poi messo in rilievo il distacco fra il ciclo capitalistico determinato dagli stessi compiti borghesi e il ciclo politico della borghesia, che dipende dalla capacità di quest’ultima di portare a termine quei compiti. Ora questa capacità si misura sul terreno di una lotta di classe suscitata dai rapporti fra tutte le classi alla scala non di paesi presi in particolare, ma di vaste aree geografiche, e dai rapporti fra queste stesse aree; e, questo, in grandi periodi storici e non nel dettaglio del tale o tal altro avvenimento, come si è ricordato sulla scorta di testi classici del marxismo (3) che hanno permesso al contempo di insistere sul fatto che i limiti tra le fasi e le aree considerate non sono affatto assoluti e rigidi, ma relativi e mobili.

Grazie allo studio del ciclo rivoluzionario borghese nell’area dell’Europa occidentale fra il 1789 e il 1871, si è potuto mettere in evidenza, fondandosi su nostri testi di base (4), il fenomeno di unificazione politica di un’area geografica dovuto a un allineamento generale delle forze nell’urto fra tutte le classi di quest’area, in collegamento con rapporti internazionali determinati. L’applicazione di questo criterio agli avvenimenti che da più di un secolo sconvolgono il “Terzo Mondo” ha permesso di individuare un’area geografica unica, accanto all’America Latina e all’Africa Nera, che formano aree specifiche anche se non chiuse in sé, nell’insieme delle regioni che vanno dalla Corea al Maghreb.

Quest’area si unifica per ondate successive: quella che, iniziatasi nel 1905, si rafforza nel 1917, e il cui slancio viene spezzato dalla sconfitta dei proletari e dei contadini cinesi nel 1926-27; poi quella del secondo dopoguerra, svoltasi a partire dall’epicentro cinese che abbiamo chiamato “fase eruttiva della rivoluzione anticoloniale”, e durante la quale il proletariato viene cacciato dalla scena storica, mentre la borghesia, come nell’Europa dopo il 1848, può spingersi fino al limite estremo della sua capacità storica.

Precisate le grandi aree geografiche, il Rapporto ha dovuto affrontare l’arduo problema della delimitazione delle fasi storiche. Si è applicato lo stesso metodo di prima, tenendo conto del fatto che i grandi periodi sono, per il marxismo, determinati da grandi avvenimenti storici, come guerre o rivoluzioni.

Lo studio dell’area euro-americana mette in luce il peso che hanno avuto le lotte di classe in Francia, cioè in un paese in cui la rivoluzione borghese “venne al giusto momento” (5), mentre nei paesi in cui è arrivata in ritardo, come in Germania, la borghesia, già spaventata per la conseguenza della propria rivoluzione, cioè per l’emergere del proletariato, doveva dar prova clamorosa della propria codardia storica. In perfetta coerenza con Lenin, il nostro Partito ha mostrato, nell’area asiatica, la rivoluzione cinese come venuta anch’essa al giusto momento, fenomeno che si è riprodotto, all’altra estremità della stessa area, nella rivoluzione algerina. È quindi del più alto interesse considerare per il XX secolo l’atteggiamento, prima di tutto, della borghesia cinese. Si è istituito un confronto fra la convergenza attuale dei nemici dell’ultimo trentennio, cioè la borghesia cinese e l’imperialismo americano, da una parte, e dall’altra, la convergenza alla fine del secolo scorso fra borghesia francese e zarismo, in cui Engels indicava già un sintomo sicuro del declino non solo della borghesia francese ma, più generalmente, della borghesia europea.

Soprattutto, il Rapporto ha posto in risalto, a partire dai testi di Engels (6), il fenomeno dell’unificazione politica della borghesia, della sua “dominazione in quanto classe”. Si tratta senza dubbio del criterio più sicuro per poter affermare che la borghesia ha cessato d’essere una classe ascendente e che il proletariato resta ormai la sola classe in grado di far avanzare la storia. Fenomeni del genere sono già stati individuati dal nostro Partito, nel corso degli ultimi anni, sia nell’intreccio delle forme democratiche e militar-dittatoriali in America Latina, sia recentemente nel Maghreb, benché in forme diverse da quelle proprie della fine del XIX secolo europeo, data la rapida importazione, oggi, dei metodi moderni di governo e, in particolare, di partito unico.

La constatazione empirica della conclusione del ciclo rivoluzionario borghese imponeva di dare una spiegazione al constatato abbreviamento dei cicli storici. Questo fenomeno, naturalmente, poggia sul fatto che il capitalismo percorre le sue tappe a marce forzate, ma anche sul modificarsi degli allineamenti delle forze internazionali: se infatti il più aspro nemico della borghesie nel secolo scorso era il feudalesimo, le rivoluzioni del XX secolo si sono trovate di fronte come il nemico più potente l’imperialismo, nemico politico e concorrente economico più che nemico sociale, anche quando fa leva sulle forze pre-borghesi contro i movimenti anti-imperialistici.

La dominazione imperialistica ha spesso costruito degli Stati in anticipo sulla maturità politica delle borghesie locali, per i bisogni generali dell’accumulazione. È stato questo, indubbiamente, un fattore di più rapido esaurimento delle capacità progressive delle borghesie anche nelle loro frazioni più estreme, quelle della piccola borghesia. Soprattutto è chiaro che, di fronte al pericolo del radicalismo delle masse, la complicità sociale già manifestatasi nel secolo scorso fra borghesia e la nobiltà in quanto classi dominanti, benché socialmente nemiche, doveva, fra le giovani borghesie e l’imperialismo, fare passi da gigante, senza costringere le une e l’altro a una capitolazione sociale – fenomeno che del resto si è rivelato anche nelle rivoluzioni più radicali, come la cinese o l’algerina.

Nella previsione di Lenin, le borghesie del “Terzo Mondo” dovevano essere più ardite della borghesia russa. Lo sono state, in realtà, ma, dobbiamo aggiungere, al modo di borghesie arrivate, alla scala mondiale, storicamente in ritardo.

Bilancio delle rivoluzioni anticoloniali

Questo raffronto storico ha consentito di mettere in luce il fatto che siamo entrati, salvo per quanto riguarda l’Africa Nera, in una fase di consolidamento borghese, una fase intermedia in cui le borghesie vanno epurando gli eventuali resti delle loro capacità progressive, in attesa che il proletariato sia in grado di prendere in mano il proprio destino per andare avanti. L’importante è di non confondere la fine della fase rivoluzionaria di “risveglio dell’Asia” che corrisponde alla fine dell’“ondata del secondo dopoguerra” con un altro ciclo, quello della “prosperità capitalistica” post-bellica, anche se la fine di questi due cicli si compie simultaneamente.

Era quindi interessante considerare il risultato di tali rivoluzioni. A scorno e vergogna dell’indifferentismo sciovinista e, in ultima analisi, razzista, che nelle rivoluzioni borghesi non ha visto se non la miseria e la menzogna borghesi, senza vederne il lato sovversivo, la storia non si è tuttavia fermata. Il Rapporto ha mostrato, cifre alla mano, il formidabile aumento numerico del proletariato del Terzo Mondo in seguito alla maturazione del capitalismo sui continenti “arretrati”; se infatti il 50% degli operai di fabbrica del mondo era nel 1917 costituito da europei, questi oggi non sono più che il 25%, mentre il Terzo Mondo fornisce il 33%. L’Asia, solo dal Giappone all’India, conta oggi più proletari d’industria che la vecchia Europa (Russia esclusa). Inoltre, questa classe operaia ha una prepotente vitalità, come attestano le lotte in America Latina, ma anche nel vicino Oriente, in India e perfino in Cina. Soprattutto, questa classe operaia trova sgombro il terreno per la sua rivoluzione, particolarmente là dove, come in Asia, hanno visto la luce giganteschi Stati che spingono immense forze sociali a convergere verso e contro un’unica fortezza statale.

Ma il fatto ancor più importante è che oggi il fronte di classe ieri ancora legittimo per la lotta rivoluzionaria antifeudale e anticapitalistica non sia più evocato per altro che per la difesa dell’economia nazionale e della produzione, e perda ogni giustificazione storica spingendo la classe operaia a separarsi dalla borghesia, sul terreno della lotta di classe, fenomeno che, naturalmente, non può svolgersi in pieno che in collegamento con il partito di classe.

Il Rapporto ha poi ricordato la situazione politica del proletariato del Terzo Mondo che esce dall’ondata di indipendenza con una forte combattività sociale acuita dalla crisi capitalistica, per cui si pone il problema urgente della costituzione di organismi immediati indipendenti dalla borghesia, e della conquista, nella lotta contro lo Stato borghese, di una libertà di movimento politico.

Il Rapporto ha infine mostrato l’impossibilità per l’ondata anticoloniale di assicurare il ben che minimo inizio di trascrescenza in rivoluzione proletaria a causa della controrivoluzione staliniana e come ciò abbia impedito, come è una legge di ogni rivoluzione borghese, già individuata da Engels e Lenin, la realizzazione in maniera conseguente, ad opera delle rivoluzioni anti-coloniali, delle stesse “conquiste borghesi minime”, a scorno di tutti i paladini della rivoluzione per tappe.

Il fenomeno è stato ampiamente illustrato tracciando un quadro dei compiti borghesi ancora da assolvere nei campi della lotta contro l’oppressione nazionale, dell’agricoltura e della distruzione delle forme di oppressione di casta, religiosa, ecc., nelle aree e sotto-aree geografiche del “Terzo Mondo”, quadro che potrà essere meglio presentato nel resoconto più completo di questo Rapporto destinato ad apparire prossimamente nella nostra rivista teorica.

Il Rapporto si è concluso ricordando che, se la prospettiva del marxismo è dal 1848 la rivoluzione comunista, nelle aree di giovane capitalismo questa si prepara non solo avanzando le esigenze della lotta anti-capitalistica, ma facendo leva sui residui dei compiti borghesi la cui persistenza non è per noi un motivo per condannare il proletariato a servire da claque alla borghesia, ma una ragione di più per mandare quest’ultima al più presto nella fossa comune della storia.

Note

  1. Cfr. la bibliografia sull’argomento pubblicata sul nr.18/1979 de il programma comunista.
  2. “Le Tesi della Sinistra”, in Prometeo, nr.5/gennaio-febbraio 1947, ora in Per l’organica sistemazione dei principi comunisti, pp.71-81.
  3. Cfr. il nostro Lezioni delle controrivoluzioni, 1 settembre 1951 (ora nell’opuscolo omonimo) e, di Lenin, Sotto la bandiera altrui, in Opere, XXI, pp.119-140.
  4. Lenin, Sotto la bandiera altrui, cit., e il nostro Russia e rivoluzione nella teoria marxista, nr.21/1954 e 1/1955 de il programma comunista (ora nel volume omonimo).
  5. “Malenkov-Stalin: toppa, non tappa”, in il programma comunista, n.6/1953.
  6. Cfr. in particolare le Lettere a Lafargue dell’8 e 29 ottobre 1889.

(da il programma comunista, n.23/1979)

We use cookies

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.