Qualche decennio fa, ci fu chi proclamò che la classe operaia doveva “farsi Stato”. Naturalmente, non nel senso nostro, di noi comunisti: che cioè dovesse abbattere tutte le istituzioni esistenti, prendere il potere e instaurare la propria dittatura, sotto la direzione del partito comunista. Non sia mai! No: in quella visione ultra-riformista, che adattava il roseo ma ben più onorevole ministerialismo dei primi del ‘900 (“permeare le istituzioni borghesi”) alla realtà della democrazia post-fascista esecutrice testamentaria del fascismo, la classe operaia doveva entrare pacificamente nello Stato (un po' come si entra in una tuta da sub) e non solo per trasformare quel “guscio vuoto”, quel “contenitore neutro”, in un “ordine nuovo”, ma per caricarsi addosso il dovere di farlo funzionare alla perfezione (naturalmente delegando ogni mansione dirigente e direttiva ai suoi intellettuali organici), annullando così ogni specifico suo interesse di classe.

I decenni poi passarono e oggi quel “farsi (ed essersi fatti) Stato” ha assunto ancora altre forme e contenuti: non si parla più di classe operaia (per carità! non serve più: anzi, non esiste più, per costoro), ma di “cittadini”, che, proprio in quanto tali (e dunque componenti individuali, affasciati in quell'entità che accomuna tutti che è lo Stato, la Nazione, il Paese, la Patria), sono essi stessi lo Stato. Uno Stato per così dire “diffuso”, che si identifica con la “collettività”, con quell’astrazione che è la “comunità”, e che da essa come tale è riconosciuto. E allora “Lo Stato siamo noi!” è il grido orgoglioso che si leva dalle schiere tracotanti di “cittadini” rincitrulliti dall'ideologia dominante.

Invece no: lo Stato (della borghesia, del Capitale) non siamo noi, un “noi” che per altro e in primo luogo è segmentato in strati diversi con interessi contrastanti – insomma, in classi sociali. Lo Stato non siamo noi, perché ben diverse sono la natura e la funzione dello Stato in una società divisa in classi contrapposte. Il compagno Engels ce l'ha dimostrato in maniera esemplare in un libro intitolato L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884), basandosi sulle ricerche di un antropologo borghese come Lewis H. Morgan,; e, in Stato e rivoluzione (1917-8), il compagno Lenin ha ripreso il lavoro di Engels alla luce delle trasformazioni politico-sociali proprie della fase imperialista del modo di produzione capitalistico (e proprio mentre il proletariato in Russia, armi alla mano, stava rovesciando il potere dello Stato dello Zar e quello della Repubblica borghese). Due brevi citazioni, fra le tante che si potrebbero fare:

“Lo Stato, poiché è nato dal bisogno di tenere a freno gli antagonismi di classe, ma contemporaneamente è nato in mezzo al conflitto di queste classi, è, per regola, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante, che, per mezzo suo, diventa anche politicamente dominante e così acquista un nuovo strumento per tenere sottomessa e per sfruttare la classe oppressa. […] lo Stato rappresentativo moderno è lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del Capitale” [1].

“Da un lato, gli ideologi borghesi, e soprattutto piccolo-borghesi, costretti a riconoscere, sotto la pressione di fatti storici incontestabili, che lo Stato esiste soltanto dove esistono antagonismi di classe e la lotta di classe, ‘correggono’ Marx in modo tale che lo Stato appare come l’organo della conciliazione delle classi. Per Marx, se la conciliazione delle classi fosse possibile, lo Stato non avrebbe potuto né sorgere né continuare a esistere. Secondo i professori e i pubblicisti piccolo-borghesi e filistei […], è proprio lo Stato a conciliare le classi. Per Marx, lo Stato è l’organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra; è la creazione di un ‘ordine’ che legalizza e consolida questa oppressione, moderando il conflitto fra le classi. Per gli uomini politici piccolo-borghesi, l’ordine è precisamente la conciliazione delle classi e non l’oppressione di una classe da parte di un’altra […]. Che lo Stato sia l’organo di dominio di una classe determinata, che non può essere conciliata col suo antipode (la classe che è al polo opposto), la democrazia piccolo-borghese non sarà mai in grado di capirlo” [2]

Chi non capisce (non vuole capire) che lo Stato borghese è lo strumento del potere della classe dominante (del Capitale) sulla classe dominata (il proletariato) e che questo strumento “non consta semplicemente di uomini armati, ma anche di appendici reali, prigioni e istituti di pena di ogni genere” [3] (vale a dire, legislatori, giudici, magistrati, tribunali, e via di seguito), non riuscirà (non vorrà) mai comprendere gli sviluppi irreversibili che quello strumento ha conosciuto nel tempo, con l’affermarsi dell’imperialismo e attraverso le sue più sintomatiche manifestazioni socio-politiche: il nazi-fascismo, il New Deal statunitense, la democrazia dittatoriale post-fascista – tutti esperimenti (formalmente diversi fra loro, ma convergenti nella difesa dell’ordine capitalistico di fronte alla crisi economica e sociale – e purtroppo riusciti!), tutti esperimenti di affasciamento delle classi intorno (e dentro) alla Nazione, alla Patria. Esperimenti pratici di conciliazione, pacifica e/o militare (la carota e il bastone), fra classi che sono inevitabilmente in lotta fra loro, una lotta di volta in volta più o meno acuta, più o meno aperta.

Nel secondo dopoguerra, questo meccanismo di affasciamento, complici i partiti traditori del proletariato e i sindacati sempre più di regime (e quindi gli uni e gli altri assorbiti nel meccanismo del normale funzionamento dello Stato, dei suoi organi, delle sue istituzioni), ha fatto passi da gigante. S’è trasformato da qualcosa in certa misura di esterno a qualcosa di interno alla cosiddetta “società civile”: l’ha cioè permeata ed è stato collettivamente interiorizzato. Da “Lo Stato è di tutti!” si è arrivati così a “Lo Stato siamo noi!”. E questa falsa coscienza s’è diffusa a mo’ di ragnatela, infettiva e contagiosa come l’ultimo dei virus, propagata da tutti i canali attraverso cui viaggia l’ideologia dominante: da quelli più espliciti e riconoscibili (i mezzi di comunicazione di massa con le loro falsità e manipolazioni e con i loro rimbecillenti rituali, i maîtres à penser che gracchiano da ogni altare, il gran serraglio delle “istituzioni democratiche” con le loro ramificazioni ufficiali e non, governative e non, le chiese e le parrocchie di ogni fede religiosa e non, e via discorrendo) a quelli più sottili, meno visibili, apparentemente innocui e proprio per questo ancora più rassicuranti – le mille e mille istituzioni democratiche che, con la loro presenza e con la loro azione capillare (dalla mediazione di ogni conflitto all’elargizione di grandi e piccole carità, dalla somministrazione semigratuita dei medicinali all’organizzazione di “cultura & spettacolo”…), rafforzano in maniera subdola il dominio di classe, la dittatura democratica che ci opprime ormai da quasi otto decenni.

Un buon esempio è stato la decisione, in Italia, di affidare la gestione dell’organizzazione della campagna di vaccinazione a un generale degli alpini: cioè, di quel corpo che, grazie a una ormai secolare retorica sentimental-patriottica (le trincee della Grande Guerra, il “vecchio scarpone”, le montagne, il mulo e il freddo, i canti intorno al focolare… e, in tempo di pace, la spina dorsale della Protezione Civile), viene presentato ed è vissuto come “il più vicino alla gente comune”, il più rassicurante e di conseguenza il più operativo. Chi meglio di lui, una “penna nera” (pardon! una “penna bianca”, trattandosi di ufficiale…), poteva comandare senza sembrare di farlo? Certo non un parà, con la sua retorica fama di ben addestrato combattente, ma nemmeno un aitante bersagliere, popolare egli pure, ma non così diffusamente (per non parlare dei carabinieri, amati birri, che troppo però ricordano i gendarmi di Pinocchio!). Anche in questo modo s’affascia il “popolo”, gli si fa percepire che “lo Stato siamo noi!”. Perché è evidente che, se “lo Stato siamo noi”, allora qualunque misura lo Stato partorisca, anche la più becera, la più oppressiva, la più divisiva, è pur sempre… “cosa nostra”: dunque è necessario esservi fedele fino in fondo, se non si vuol passare per degli ignoranti, recalcitranti, ingrati, se si vuole essere dei “cittadini” consapevoli e responsabili, ecc. ecc. Con abile operazione, Stato e collettività si identificano, mentre, al contrario, il primo è lo strumento di dominio della classe al potere e la seconda è un’astrazione negata dalla realtà stessa: non esiste come un unicum omogeneo, ma è divisa in classi, con interessi storici e immediati opposti e contrastanti.

In questa mobilitazione pratica e ideologica (e, a livello individuale, anche psicologica) per affasciare intorno allo Stato i “cittadini”, per negare la loro appartenenza a classi sociali in conflitto, noi vediamo già all’opera la preparazione alla mobilitazione generale per una prossima guerra, che si annuncia dal profondo di questa società sempre più marcia, sempre più assassina, sempre più distruttiva.

Proletari, state in guardia! Uscite dalla trappola! Già solo con la pratica delle lotte di difesa economica e di difesa delle nostre condizioni di vita, quando riusciamo a strappare qualche momentaneo vantaggio nelle stanze delle istituzioni, tocchiamo con mano e con viva esperienza (le manganellate) che lo Stato garantisce solo i vantaggi delle aziende (grandi, piccole, cooperative, srl, multinazionali, statali e parastatali…). Si comporta, perché lo è, da Capitalista Collettivo.

Questo Stato non siamo noi.

Questo Stato è una macchina di dominio e fregatura. Oggi, garantisce alla borghesia prosperità e sfruttamento della nostra forza-lavoro in cambio di quattro soldi e quattro disservizi pubblici; domani, per garantirle la medesima prosperità e il medesimo sfruttamento, cercherà di buttarci nel dolore e nella distruzione della guerra.

Proletari! Sebbene oggi sia difficile anche solo pensarci, sebbene oggi le istituzioni dello Stato borghese ci stritolino accarezzandoci e illudendoci, si avvicina il momento in cui sarete costretti a riprendere la via dell’indipendente lotta di classe e a combattere per diventare classe dominante, organizzata e diretta dal Partito Internazionale della Rivoluzione Comunista.

                                                                                                                                  Gennaio 2022

 

[1] F. Engels, L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato, Editori Riuniti 1963, p.202, 203.

[2] Lenin, Stato e rivoluzione, Editori Riuniti 1970, p.61-62.

[3] F. Engels, idem, p.200-201.

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