Germania, 14 luglio 1933: il neonato governo nazional-socialista promulga la “Legge per la prevenzione delle nascite affette da malattie ereditarie”, detta anche Aktion T4 dall’indirizzo di Berlino dove venivano effettuate le sterilizzazioni e le soppressioni (Tiergartenstrasse n.4, “Strada del giardino zoologico”!) – un programma di eugenetica che, secondo una stima approssimativa, portò all’eliminazione di più di 200.000 persone affette (o presunte tali) da malattie genetiche o da handicap mentali, le cosiddette “vite indegne di essere vissute”. La pubblicistica democratica da sempre ascrive questa terribile vicenda alla brutalità del regime nazista: noi abbiamo dimostrato che essa rientra nelle tante misure repressive messe in campo dal potere capitalista in funzione anti-proletaria (e non solo) – potere di cui i regimi nazi-fascisti furono una delle espressioni politiche. La conferma ci viene se proviamo a spostarci in altri tempi, paesi e regimi.

 

Svizzera

Notorio simbolo di democratica neutralità, fin dall’XI secolo la Svizzera “ospita” la popolazione nomade jenisch, che conta oggi circa 35.000 persone. Le origini degli jenisch sono incerte: forse di origine germanica, forse discendenti di disertori e migranti poveri di religione cattolica all’epoca della Guerra dei Trent’anni (1618-48), forse migranti di religione luterana: detti comunque “zingari bianchi”. Già nell’800, gli jenisch hanno subito persecuzioni di ogni genere, ma è nel 1926 che diventano vittime designate di un “programma” di assimilazione forzata che prevede l’allontanamento di bambini e bambine dai genitori e dalle famiglie e la sterilizzazione forzata delle madri.

Il “programma” (“Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse”, Opera di assistenza per i bambini di strada) è ideato e attuato dalla Fondazione Pro Juventute, ente “a favore dei giovani”, finanziato da vari industriali e dalla Confederazione Elvetica. Il presidente dell’ente e consigliere della Confederazione, Heinrich Haberlin, scriverà nel 1927: “La Pro Juventute si è assegnata un nuovo compito… chi di noi non conosce queste famiglie nomadi i cui membri, nella più gran parte, vagabondano senza regole e che, come cestai, lattonieri, mendicanti e peggio, costituiscono una macchia scura nella nostra terra svizzera così fiera della propria cultura dell’ordine?”. Da parte sua, il responsabile del “programma”, Alfred Siegfried, così si esprimeva: “Sono giunto alla convinzione che il patrimonio genetico di una parte dei miei protetti deve essere di cattiva qualità, in quanto con molti di loro non si ottengono buoni risultati nella lotta contro l’insincerità, la tendenza all’intrigo, l’insopportabilità, la mancanza di riguardo verso l’ambiente, l’insensibilità; e questo nonostante l’impegno e l’amore che si mette nell’opera educativa. Secondo la mia opinione più della metà dei bambini vaganti va situata tra gli anormali. (…) Una grande percentuale di loro evidenzia perversità spirituali. Grande è il numero dei subdotati, dei deboli di mente e degli agitati. Non si può negare che ciò sia il riflesso dell’alcolismo e della mancanza di autocontrollo dei loro antenati”.

All’attività della Fondazione, si affiancò presto quella di istituzioni locali come l’associazione cattolica femminile “Seraphisches Liebeswerk”. Il risultato fu un numero oscillante fra 1200 e 2000 bambini e bambine strappati alle loro famiglie: i maschi “distribuiti” fra contadini come manovalanza ultra-sfruttata, le femmine spesso rinchiuse in prigione o in cliniche psichiatriche e sottoposte a violenze ed elettroshock, le madri sterilizzate a forza.

Il “programma” rimase in vigore dal 1927 al 1972, quando – a seguito di uno scandalo (!) – l’“Opera” fu abolita. Ripetiamo: dal 1926 al 1972. Ma la causa legale promossa da una di queste vittime si protrasse fino al 1987, quando la Confederazione Elvetica fu costretta a “chiedere ufficialmente scusa” – metodo sublimemente democratico!

 

Danimarca

Com’è noto, la Danimarca fu invasa dalle truppe tedesche il 9 aprile 1940, sebbene si fosse dichiarata neutrale. Durante l'occupazione, la popolazione si oppose alle politiche razziali naziste, mettendo in salvo numerose famiglie ebree. Nel dopoguerra, il paese fu il simbolo, insieme a Svezia e Norvegia, del “miracolo scandinavo”, all’insegna dello “stato sociale”. E oggi la Danimarca è ufficialmente insignita del titolo di “Stato più felice del mondo”. Ma…

Trasferiamoci per il momento in una sua isoletta sita nel Gran Belt, lo stretto di mare che separa le due principali isole danesi. L’isoletta, oggi disabitata, si chiama Sprogø (“l’isola degli esploratori”): un faro, ponti e tunnel che la collegano alle isole maggiori, un paio di edifici bassi a uso ufficio, resti di un forte risalente ai primi del XII secolo, e una riserva naturale.

E proprio qui, tra il 1923 e il 1961, fu attiva la cosiddetta “fattoria”: ovvero, l’Istituto Keller, dal nome del suo fondatore, il medico Christian Keller, istituto debitamente approvato dal Ministero della Salute Pubblica danese ed esaltato dalla stampa di quegli anni. Di che cosa si occupava questo Istituto? Di rinchiudere le donne giudicate “deficienti moralmente e mentalmente” incorse in disavventure giudiziarie o preda dell’alcolismo o di famiglie disfunzionali, per evitare che “il gene del male” si trasmettesse a figli e figlie creando così un “problema sociale” (leggi: il mantenimento di poveri, emarginati o “degeneri”). L’obiettivo era quindi di “neutralizzare” una fascia di popolazione ritenuta “pericolosa” per la “salute pubblica”, non solo e non tanto per la presunta diffusione di malattie veneree, ma per l’altrettanto presunta degenerazione della popolazione danese, attraverso la propagazione del “gene malefico”: mettendo cioè al mondo “una nuova generazione di scarso valore”, come si esprimeva il dottor Keller nel proporre al Ministero della Salute Pubblica la “soluzione Sprogø”.

Ragazze giovanissime e donne adulte, “patologicamente promiscue”, “moralmente ritardate”, “sessualmente frivole”, oppure mascoline o non del tutto riconducibili agli standard morali o all’immagine della femminilità propri dell’epoca, vennero così sequestrate e rinchiuse nell’isoletta per una media di sette anni (ma alcune per più di trenta!): un autentico campo di lavoro, dove venivano sottoposte ad aborti e sterilizzazioni – almeno in cinquecento, fra il 1923 e il 1961, oltre a quelle che, nel tentativo di fuga, morirono affogate nelle acque del Gran Belt (ma si parla anche di qualcosa come 11mila sterilizzazioni effettuate nel periodo).

L’Istituto fu infine chiuso nel 1961: quarant’anni di enormi sofferenze (qualcosa di simile, senza arrivare alle sterilizzazioni, ma con un regime di duro lavoro, di penitenza e di altre forme di oppressione psicofisica, si verificò anche in Inghilterra e soprattutto Irlanda, con le Case Magdalene o Lavanderie Magdalene, gestite dalla Chiesa cattolica e attive addirittura fino al 1996: si calcola che, nei 150 anni di attività, qualcosa come 30mila donne di ogni età, origine e religione, siano state “ospiti” di queste istituzioni).

 

Canada

Dallo “Stato più felice del mondo”, solchiamo come gli antichi Vichinghi le acque dell’Atlantico e sbarchiamo in Canada, che oggi occupa uno dei primi posti nella classifica dell’“indice di sviluppo umano”. Che cosa voglia poi dire “sviluppo umano” in regime capitalistico risulta chiaro se anche qui apriamo l’armadio dei cadaveri: e purtroppo di cadaveri si parla davvero. Nel 2019, a seguito del rinvenimento dei resti di 200 bambini sepolti nei terreni precedentemente occupati da una “scuola residenziale cattolica” a Kamloops, B.C., e successive scoperte di fosse comuni in altre località, un’indagine a tappeto portò alla luce la realtà terribile di questo “sistema di scuole residenziali cattoliche”, sostenuto da istituzioni locali e da altre confessioni religiose minori e appoggiato dallo Stato canadese e, in maniera più o meno occulta, dallo Stato britannico: il genocidio programmato delle comunità indigene in terra canadese.

Risultò infatti che, tra il 1883 e il 1996, qualcosa come 50mila bambini (maschi e femmine), appartenenti alle comunità indigene locali, furono strappati alle loro famiglie, trasportati in luoghi lontani a volte migliaia di chilometri e rinchiusi in queste “scuole residenziali cattoliche”. Qui, marchiati con un numero che prese posto del loro nome, malnutriti e umiliati in ogni modo, costretti in isolamento per la minima infrazione della disciplina, subivano abusi sessuali, violenze fisiche e verbali di ogni tipo, frustate, bastonate, torture e stupri; erano costretti a dormire in sale appositamente non areate e con coperte infette per facilitare tubercolosi e altre infezioni polmonari (al riguardo, il documento ufficiale ricorda la prassi adottata fin dai primi dell’800 dai coloni europei nei confronti delle popolazioni amerinde, che furono così fiaccate dal vaiolo); a partire dai primi del ‘900, erano anche sottoposti a esperimenti medici condotti da dottori inviati dal Governo; e una buona metà dei bambini era morta a causa del cibo andato a male o dei topi che per la fame erano costretti a mangiare. Nel giugno 2008, come si confà a un governo democratico, il Primo ministro canadese ha… presentato le sue scuse, indicando come l’obiettivo di quest’operazione condotta insieme da Chiesa cattolica e Stato, fosse: “Eliminare l’indiano uccidendone i bambini”. Ma, ha sottolineato una studiosa della vicenda, “il sistema delle scuole residenziali fu solo uno dei molti sistemi di violenza e offesa: rappresenta solo la punta dell’iceberg”.

 

Fonte: Claudio Fadda, “Il genocidio degli Jenisch in Svizzera: cinquant’anni di crimini, abusi e di cultura eugenetica”, https://o<a< a=""> href="https://oubliettemagazine.com/author/oubliettemagazine/">ublietteagazine</a<>.com, 17/01/2019. La vicenda è poi narrata in varie opere dalla scrittrice di etnia jenisch Mariella Mehr e dal film Dove cadono le ombre (2017), di Valentina Pedicini. 

Fonte: Jane Graham, “The rigid and hard lives of the ‘loose and easy’ women on the Danish island of Sprogø”, December 4th, 2016, https://cphpost.dk/?p=75423. Esiste anche un interessante film danese ispirato alla vicenda: Paziente 64, diretto da Christoffer Boe nel 2018.

Fonti: “Canadian Indian residential school system”, https://en.wikipedia.org/wiki/Canadian_Indian_residential_school_system; “Canadian Indian residential school gravesites”, https://en.wikipedia.org/wiki/Canadian_Indian_residential_school_gravesites; “Indigenous residential school scandal rocks Canad’s self-image”, https://www.ndtv.com/world-news/indigenous-residential-school-scandal-rocks-canadas-self-image-2499078

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Per il momento, fermiamoci pure qui. Ma sappiamo che gli armadi della democrazia sono molti e sparsi in giro per il mondo…

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