I comunisti non fanno e non hanno mai fatto distinzioni tra proletari immigrati e proletari indigeni. Il “pacchetto sicurezza” che il Ministero degli interni italiano ha decretato (sull’esempio di quanto si sta facendo nelle altre nazioni) vale allo stesso titolo per il proletariato immigrato e per il proletariato “nazionale”: la decretazione di urgenza e di sicurezza è rivolta alla realtà del proletariato tutt’intero. Solo una classe narcotizzata da decenni d’illusioni, d’imbonimenti, d’idiozie può credere che il regime delle leggi eccezionali, di cui il “pacchetto” è espressione, non la riguardi. Non si tratta di questioni razziali, nazionali, culturali, igienico-sanitarie! Si tratta solo e unicamente di una questione di classe: le fabbriche, i campi, i servizi, sono pieni di lavoratori d’ogni origine – alla stessa catena di montaggio, negli stessi campi di raccolta, negli stessi servizi... Le restrizioni, le espulsioni, i campi-lager di detenzione e d’identificazione, il controllo e le severe norme punitive riguardano il proletariato tutto, qualunque sia la sua condizione di esistenza – regolare o irregolare, occupato o disoccupato, precario o (fin quando?) stabile, giovane o anziano, donna o bambino, credente o non credente, italiano o straniero. Tutti i senza riserve della terra sono accomunati dalla condizione di proletari.

Dunque, non c’è borghesia nazionale nelle attuali condizioni di crisi generale del capitalismo che non abbia messo in piedi un simile “pacchetto sicurezza” contro il proletariato immigrato, cercando di convincere i proletari “nazionali” del fatto che si tratti di semplici e transitori giri di vite, per togliere di mezzo un po’ di erba cattiva “venuta da fuori”. La condizione di clandestinità (a-nazionalità e internazionalità) del proletariato è strettamente connessa alla condizione di precarietà del suo essere senza riserve, all’essere salariato, all’essere povero; la realtà proletaria è stata in ogni tempo irreggimentata, controllata, nazionalizzata, castrata (o santificata) da preti e riformisti, repressa prima, durante e dopo il fascismo, prima e nel pieno della democrazia moderna, in regime parlamentare e non, in regimi a fondamento laico o religioso, liberale o illiberale...

Pertanto, se chiameremo il presente regime “fascista”, lo faremo perché questa è la quintessenza del regime democratico, il più compiuto regime moderno della borghesia, e non certamente un passo indietro a condizioni economiche e politiche pre-capitalistiche: non è nato per caso dal grembo stesso della borghesia liberale, con la socialdemocrazia e con lo stalinismo.

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Il “pacchetto sicurezza” partorito lo scorso anno ha avuto nel febbraio di quest’anno la sua benedizione democratica in Parlamento. E’ stato “migliorato” nelle nuove norme repressive, quale capolavoro dell’attuale Ministro degli interni di destra Maroni, erede legittimo di quell’altro campione, socialista: Giuliano Amato. Niente di nuovo in verità: si tratta di una “risistemata” alle vecchie disposizioni partorite dalla “sinistra”, oggi rese più incisive e dirette al bersaglio, come si conviene a una società civile in progress e a una destra sempre più moderna, “che non può sopportare il degrado sociale umano”.

Il “pacchetto” comprende anche misure destinate a limitare ogni possibilità sociale di “resistenza”, in quanto sia gli “spazi istituzionali” sia quelli “alternativi” (il che è tutto dire!) vengono ridotti. Se le condizioni dell’alloggio precario non possiedono l’idoneità abitativa, i proprietari, affittuari, occupanti abusivi con le loro famiglie, saranno stanati dalle case, buttati in strada, privati della residenza, negati dell’iscrizione all’anagrafe, e quindi non potranno avere un medico. Saranno pertanto schedati in un registro come individui e famiglie senza fissa dimora, del tutto “sprovvisti delle condizioni minime di esistenza”, e quindi da espellere. Se non hanno i documenti in regola, qualunque sia il motivo (burocratico, temporaneo), i proletari saranno portati in galera, ovvero in un CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione, quello che ieri si chiamava CPT, o Centro di Permanenza Temporanea: la sostanza è la stessa). Con la nuova legge, il malcapitato potrà essere tenuto sino a un anno e mezzo, e poi deportato in un paese dove non può e non vuole più vivere. Nel mezzo della crisi economica, la perdita del posto di lavoro trasformerà la sua condizione di lavoratore (legale o in nero) in clandestino: senza lavoro, niente documenti, e senza documenti si piomba nella zona a rischio dell'illegalità. Il lavoratore si trasforma semplicemente in “delinquente”, un fuorilegge che si nasconde per evitare la “legittima” espulsione. Se in questa condizione l’immigrato commette poi un reato, gli verrà inflitta una pena più alta (la legge dei tribunali borghesi consente un aggravio di pena per chi si è sottratto all’espulsione). Drastico sarà il restringimento delle condizioni dei migranti per ottenere l’acquisizione della cittadinanza conseguente al matrimonio, e più drastico ancora sarà il ricongiungimento familiare. Sul tema delle badanti, le associazioni laiche e cattoliche di assistenza ai migranti, nate come funghi negli ultimi vent’anni (la presenza degli immigrati, proprio perché è una necessità del capitale, garantisce extraprofitti, attorno a cui girano affari non da poco, tra cui le rimesse ai paesi d’origine) fanno notare che neppure i governi di “sinistra” hanno mai affermato con tanta limpidezza la “legittima necessità” delle donne straniere (badanti) a rimanere, pur “senza documenti”, nel territorio italiano.

Col “pacchetto” ci si potrà sposare o rifare i documenti, con la modica cifra di 200 euro: una tassa speciale per gente speciale, gli immigrati. Se poi qualcuno starà male nell'androne di una casa, sui marciapiedi, nascosto nell’ombra o dentro una vecchia auto, al riparo delle ronde anticlandestini legalizzate dal “pacchetto”, niente cure né medicine per i sans papiers, perché i medici e gli operatori sanitari saranno obbligati a denunciarli (la delazione come mezzo e fine). Ma non ci si ferma qui, perché il “pacchetto” comprende anche misure destinate a limitare ogni possibilità di cosiddetta “azione delittuosa”: non si potrà più scrivere sui muri (men che mai la propria incazzatura!), non si potranno più occupare case sfitte, edifici dismessi, aree pubbliche anche allo stato estremo di degrado (tutti i “centri sociali” sono nel mirino per tutti gli anni d’insolvenza e gli sgomberi tornano all’ordine del giorno), non si possono occupare i marciapiedi e in genere il suolo pubblico (con mercanzia varia), né muoversi sul territorio con i cosiddetti borsoni; non si potrà rimbrottare (offendere) un pubblico ufficiale, poliziotto, vigile, parlamentare, perché si rischia fino a tre anni di galera. Si spinge alla delazione la massa dei “cittadini perbene” sui mezzi pubblici, nel territorio, e s’incita ai pogrom individuali e collettivi. La lunga catena degli attacchi e degli incendi ai campi rom, i divieti per i lavavetri, per i medicanti, per le riunioni di gruppo di migranti, dei luoghi di preghiera lesivi della “nostra cultura religiosa nazionale” (!), sono stati le premesse del “pacchetto”.

L’aspetto che richiama più alla memoria il “ventennio”, e che suscita tanto scandalo tra i benpensanti, è la legalizzazione delle “ronde cittadine”, estensione delle ronde padane e di quelle dei volonterosi, già presenti sul territorio. Gruppi di cittadini, ex carabinieri (“nei secoli fedeli”!) e poliziotti, pensionati delle forze armate (di cielo, di terra e di mare!), alpini, guardie giurate e chi più ne ha più ne metta, potranno partecipare a questa riscoperta del passato glorioso della milizia fascista. Un po’ avanti negli anni, questi riservisti non avranno armi né manganelli: per adesso, saranno muniti solo di cellulari. Ma (ne siamo sicuri) nel sottoproletariato e nelle schifosissime classi medie ci sono forze giovanili che faranno di tutto per assecondare lo Stato nella non lontana trasformazione dell’attività di queste attempate “milizie cittadine” in... “lavori socialmente utili”. “Dio ne scampi!”, grida il democratico di sinistra: “lo Stato abdica alle sue funzioni istituzionali! invece di aumentare il personale per combattere il crimine, di dotarlo di mezzi moderni e più efficienti, delega questo suo compito democratico ai semplici cittadini!”. “Dio ne scampi!”, gli fa eco santa madre Chiesa: “chi controllerà ora i barboni, le prostitute, i migranti senza lavoro e senza casa, il giovane sbandato senza futuro, il disoccupato? Ci tolgono il lavoro! Purtroppo, i preti non bastano più!”

E invece il “pacchetto sicurezza” è l’espressione più profonda della “democrazia reale” (quella “del palazzo” è solo una sua pallida figura), della “società civile”: quella che da sempre noi comunisti abbiamo identificato come “civiltà borghese”, qualunque sia la maschera politica che indossa. Non ci deve poi sfuggire lo stretto legame tra controllo sociale (per migranti e autoctoni) e controllo di fabbrica: anzi, quest’ultimo è la matrice su cui viene modellato il primo. Le modalità con cui viene ridotta a schiavitù l’armata di lavoro proletaria sono quelle che permettono l’impacchettamento sociale (e l’articolo sulla riforma del contratto, pubblicato in questo stesso numero, ne dimostra lo stretto legame).

 

 

 

 

Partito Comunista Internazionale
(il programma comunista n°02 - 2009) 
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