Dal 1848, noi comunisti non ci stanchiamo di lottare a contatto della nostra classe, nelle file della nostra classe. Come tutti gli altri lavoratori, viviamo la quotidianità della vita nella società del Capitale: proletari tra gli altri proletari. Nelle vertenze sindacali e sociali, rivendichiamo qualcosa di più degli altri, e non ci illudiamo che quel che la lotta economica riesce a strappare sia duraturo. Con paziente e tenacia e con la rabbia che nasce e si rafforza dall’aver compreso le regole che determinano il comportamento umano (di sicuro, quello politico, sociale e storico; ma a ben vedere anche quello etologico), anche in periodi storici come quello odierno, in cui sembrerebbe irreversibile il dominio del Capitale, continuiamo il nostro lavoro politico (come sa bene chi legge la nostra stampa con attenzione), per favorire e accompagnare la nostra classe nel processo rivoluzionario. E, come fin dal 1848, dobbiamo fare i conti e mettere in guardia i nostri fratelli di classe dai falsi amici che, di fronte ai drammi del modo di produzione capitalistico e della sua marcia società, agitano facili soluzioni, apparentemente semplici e alla portata di tutti, ma in realtà trappole conservatrici e reazionarie.

Una di queste soluzioni apparentemente di sinistra non si incarna in una fondazione politica vera e propria  quanto in un diffuso “comune senso del sentire”. Ci riferiamo a un’antica canzone dell’anarcosindacalismo anglosassone, che contrapponeva alle seriose rivendicazioni del degenerante riformismo laburista, fin da allora ragionevoli e compatibili con l’ordine borghese, quelle fantasiose e romantiche di una lotta “per il pane e per le rose”. Anche noi comunisti ci battiamo, sempre proletari tra i proletari, per un miglioramento non solo delle condizioni di vendita e del prezzo della forza lavoro proletaria (salario diretto e indiretto, qualità e salubrità dei posti di lavoro, case accessibili – e via via, di necessità in necessità), ma pure, in generale, per una migliore qualità della vita e per migliori rapporti tra gli esseri umani. Questo, in fin dei conti, sintetizzavano “le rose”, reclamate soprattutto e sacrosantamente dalle donne proletarie, sui cui corpi e sulla cui vita pesa tutta l’eredità delle forme di sfruttamento di tutte le società di classe fin qui succedutesi (in un’unica parola: il patriarcato).

Ma noi comunisti (femmine e maschi) abbiamo il dovere di spiegare nella lotta che la nostra classe non si può “accontentare” di questo pane e di queste rose. E così, tanto quanto nella rivendicazione economica ricordiamo che ogni conquista è transitoria e reversibile poiché non dipende solo dai rapporti di forza “sindacali”, ma anche dalle dinamiche tra “espansione” e “crisi” del meccanismo di funzionamento del capitale, così indichiamo (e ci battiamo per) la prospettiva di una società comunista che superi la necessità del lavoro salariato, nella rivendicazione di una migliore condizione dei rapporti umani – dinamiche che sottoponiamo alla critica dialettica, indicandone i limiti: le rose del capitale sono ancora troppo simili ai rovi da cui discendono (o da cui pensano di essersi evolute) e il loro amabile profumo nasconde troppe spine.

Allora, va bene! Viva la lotta per il pane e per le rose!, perché indica un’insofferenza al gretto riformismo che vuole un proletariato pago di quel che è compatibile con la società del Capitale. Ma, come al solito, non basta! Nella sua prospettiva di lotta rivoluzionaria, la nostra classe non “conquisterà” il pane e basta: s’impadronirà del forno con il quale il Capitale prepara il suo pane velenoso, del mulino che macina la sua farina adulterata, dei campi dove coltiva il suo grano geneticamente modificato… E li libererà dalle catene che li hanno ridotti a merci, per far emergere la loro caratteristica di cose che devono soddisfare i bisogni umani.

Contemporaneamente, ci approprieremo delle rose, e impareremo a conoscere che ben altri fiori: magari anche quelli con qualche spina e qualche veleno, che sapremo identificare (e non nascondere!) e rendere meno dannosi che sia possibile… In ogni caso, fiori migliori delle antiche varietà selezionate nel tempo dalle società di classe. La nostra specie, finalmente umana perché libera dalla schiavitù salariale, saprà coltivare e goderne.

 

Partito comunista internazionale

                                                                           (il programma comunista)

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