(N.B.: Il presente articolo è comparso sul n.1 della nostra rivista in lingua tedesca Kommunistisches Programm. Problemi di spazio ne hanno impedito la pubblicazione in versione italiana nel numero scorso de Il programma comunista, e nel frattempo il G20 s’è tenuto – come si sa – ad Amburgo. Riteniamo comunque utile la pubblicazione dell’articolo, per le considerazioni generali che vi sono contenute)

E’ sempre difficile, per gli Stati capitalisti, lacerati dalla concorrenza inter-imperialistica e sospinti dalla crisi economica, camuffare il proprio dominio economico come se fosse il culmine dello sviluppo sociale: proprio questo mito della mancanza di alternativa è una delle condizioni di sopravvivenza del potere capitalistico. Gli sfruttati e gli oppressi devono risultare integrati politicamente, o attraverso una mobilitazione  reazionaria e nazionalistica che agisca come una fanteria nelle rivalità inter-imperialistiche e per il consolidamento del sistema, o grazie all'illusione di una possibile trasformazione di questo sistema.

 

 In questo quadro, il 6 e 7 luglio avrà luogo ad Amburgo lo show-summit di 20 potenti Stati, congenialmente completato da manifestazioni alternative con proposte variopinte per una migliore e meglio regolamentata organizzazione del modo di produzione capitalistico, nonché contro la speculazione finanziaria (diventata troppo malvagia), contro l'indebitamento, la distruzione ambientale, la produzione di armamenti, la guerra. Ma anche attivisti e gruppi orientati anticapitalisticamente  e tendenzialmente rivoluzionari si sono mobilitati all'inizio di luglio per  organizzare una Gipfelsturm (violenta azione contro il summit), evento significativo nello sviluppo del quadro  politico di sinistra non solo in Germania.

 

La realtà imperialistica

L'impalcatura imperialista scricchiola. “America first”: con questo motto, l'imperialismo USA, tramite il neo-presidente Trump, si rivolge direttamente ai suoi concorrenti. La militaresca esibizione muscolare non è nuova: già negli scorsi decenni, gli USA avevano potuto conservare con sempre maggior difficoltà il proprio ruolo direttivo mondiale grazie alla loro forza economica nonché alla loro potenza militare. L'imperialismo simboleggiato dalla potenza del dollaro entra comunque in crisi crescente quanto più i suoi concorrenti si fanno strada: davanti a tuttti, la Cina, i cui rapporti economici  con gli USA cozzano contro i propri limiti. Intanto, la Cina dispone di prestiti statali USA per oltre 1 miliardo di dollari, mentre il deficit della bilancia commerciale USA con la Cina nell'ultimo anno è salito a quasi 350 miliardi. La Cina cerca di ridurre la propria dipendenza dal dollaro e intensifica, con le sue gigantesche riserve di valute, il proprio export di capitali. Il “regno di mezzo” propugna apertamente i propri obiettivi imperialistici con il motto di una “nuova via della seta”: i suoi porti e gli investimenti militari nel Corno d'Africa (Gibuti), nonché una maggiore attività in Europa, mostrano l'itinerario di questa “via della seta”.

Il fatto che la Cina stia diventando il secondo maggiore investitore nel mondo dietro gli USA e che abbia già il ruolo di numero uno nei rapporti commerciali con la Germania fa parlare il ministro degli esteri tedesco Gabriel di “nuova ripartizione del mondo” – una nuova ripartizione che si manifesta anche sul piano militare: gli USA e la Cina da soli accrescono le proprie spese militari di 2 punti percentuali l'anno.

E' grande l'indignazione dell'imperialismo tedesco per il fatto che gli USA, durante l'incontro dei ministri delle finanze del G20 avvenuto in precedenza, si sono rifiutati di sottoscrivere le solite frasi vuote della dichiarazione conclusiva sulla libertà di commercio e contro il protezionismo, anteponendovi anzi la critica dell'enorme surplus commerciale della RDT. Il surplus del bilancio commerciale tedesco (oltre 250 milioni di euro nel 2015) è anche una base economica del processo di erosione dell’Unione Europe (UE) che, con l'uscita della Gran Bretagna (che nel 2015 aveva un deficit di bilancio di quasi 150 miliardi di euro) ha raggiunto un momentaneo livello massimo. Contemporaneamente, la UE tenta di entrare nelle falle lasciate aperte dagli USA (per es., il trattato di libero scambio col Giappone, annunciato da Trump all'inizio dell'anno) o non ancora occupate dalla Cina (il “piano Marshall per l'Africa”).

L'ordine mondiale storicamente immutabile cui Merkel e consorti ad Amburgo, all’inizio luglio, vogliono far riferimento assomiglia piuttosto a un palazzo diroccato nascosto da una copertura, per il cui disvelamento sarebbe consigliabile leggere, fra l’altro, lo studio di Lenin sull’imperialismo, scritto durante la prima guerra mondiale, dove per esempio si può leggere: “Pertanto, nella realtà capitalistica, e non nella volgare fantasia filistea dei preti inglesi o del ‘marxista’ tedesco Kautsky, le alleanze ‘inter-imperialistiche’ o ‘ultra-imperialistiche’ NON sono altro che un ‘momento di respiro’ tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra TUTTE le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste, le une e le altre forme si determinano reciprocamente e producono, su di un UNICO E IDENTICO terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia mondiale e della politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e non pacifica della lotta” (Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo, cap. IX, Ed. Rinascita 1964, p. 161).

 

Il Summit e le sue alternative

Proprio di fronte allo show del Summit degli stati imperialisti, i riformisti intendono organizzare un “contro-summit” con cui portare alla discussione proposte politiche alternative. Vogliono dunque rafforzare i “diritti partecipativi e democratici” per motivare gli stati del G20 a un cambio di politica, che sia contro la povertà e la fame., e quindi lamentano, nel loro invito, per esempio, che non siano state ancora definite “regole globali per una economia finanziaria stabile”. Già in occasione  dell'incontro dei ministri delle finanze, in marzo, ATTAC aveva lamentato che “non erano da aspettarsi dal G20 delle ‘risposte giuste e democratiche’ ai problemi globali" e aveva richiesto di procedere contro le ‘oasi fiscali’, la gara fra gli Stati per offrire condizioni fiscali ridotte, oltre che per una “efficace regolamentazione dei mercati finanziari”. Esattamente come in occasione della campagna per il condono (Erlassjahr) con cui quest’organizzazione aveva dimostrato a Baden Baden contro l'incontro dei ministri delle finanze  del G20 e per un  “corretto e democratico meccanismo di conversione dei debiti”, gli apologeti dello Stato di ATTAC richiedono allo Stato del capitale una politica di alleviamento delle conseguenze della crisi capitalistica. Non si tratta di prendere sul serio queste assurde posizioni filo-capitalistiche, sulle quali già Lenin nel suo testo, citato sopra, aveva scritto in modo calzante: “i dotti e i pubblicisti borghesi difendono generalmente l'imperialismo in forma un po' larvata, dissimulando il dominio assoluto dell'imperialismo, mettendo innanzi particolarità secondarie  e distraendo l'attenzione  dall'essenziale con poco seri progetti di "riforma", come ad esempio quello di stabilire una sorveglianza poliziesca sui trust o sulle banche” (cit., pp. 150-151)

Vale invece certamente la pena di occuparsi delle posizioni apparentemente più conseguenti, come quelle rappresentate dagli autonomi, i quali, nel loro appello per la dimostrazione anticapitalistica del 6 luglio, propugnano una radicale differenziazione dal summit-show: “intendiamo opporci al summit così come al tentativo di criticare politicamente e di organizzare proteste su una parte della sua messa in scena e in quanto istituzione democratica”.

 

Critica radicale senza conseguenze

Sullo sfondo del declino personale e teorico del movimento autonomo dalla fine degli anni ‘80 del ‘900, si trovano in primo piano le mobilitazioni di protesta contro i summit e si distinguono le proclamazioni contrassegnate da un notevole radicalismo verbale. Al posto della confusa politica delle alleanze, gli autonomi pongono la questione del Sistema e si posizionano chiaramente contro il riformismo. “In contrasto con l’opposizione borghese, noi non proporremo ai dominatori nessuna alternativa per mantenere in vita il sistema capitalistico” (dall’“Appello per la dimostrazione del 6 luglio”). E ancora: “Il summit G20 è una centrale espressione del dilemma politico del capitalismo: le sue contraddizioni non vengono risolte, come  si sostiene, dalla politica e dal suo personale, ma soltanto amministrate [...]. Il G20 è perciò – non ultimo, in relazione alle elezioni per il Parlamento – anzitutto un evento di rappresentanza, che deve produrre legittimazione  attraverso spettacolo [...]. Nello stesso tempo, le numerose crisi del capitalismo globale hanno un’ulteriore e vigorosa escalation”.

Un rifiuto radicale del capitalismo richiede in ogni caso anche un’analisi della sua funzione, delle sue contraddizioni e soprattutto delle basi materiali per il suo superamento. Ed è appunto su questo punto che appaiono i gravi limiti del radicalismo autonomo. Invece di partire dalla forza sociale creata dal capitalismo, sulla cui produzione di merci, socialmente organizzata, fonda la propria esistenza, e con ciò alla fin fine anche la forza necessaria all’abolizione dei rapporti capitalistici (la classe proletaria), gli autonomi restano confusi e soggettivisti e quindi, infine, politicamente compatibili. Tanto è precisa, negli appelli degli autonomi, la critica del riformismo quanto resta confuso il loro discorso su “pratiche di resistenza” e “nuove prospettive di resistenza”: non una parola sulla classe proletaria e sulla lotta di classe internazionale, nessun nesso fra sviluppo (e crisi) del capitalismo e dinamica della lotta di classe... Quando si legge nel volantino “la penetrazione capitalistica  del mondo  unifica però  anche il terreno della resistenza”, al primo momento ciò può anche suonar bene; ma poi, quando in seguito si conclude che: “la resistenza, per esempio contro progetti di miniere a cielo aperto in Colombia, ha un riferimento alle lotte politiche urbane contro l'impresa carbonifera Moorburg nel porto di Amburgo, che utilizza carbone colombiano come materia prima”, e che “desertificazione e migrazioni a causa del riscaldamento climatico stanno in rapporto diretto con le lotte per il diritto all'alloggio” e “diventa evidente l'intreccio fra interessi di valorizzazione del capitale, così come alla critica e all'attacco politico”, con tutte queste parole non si tocca nemmeno lontanamente il terreno della lotta di classe internazionale, ma si resuscita la vecchia prassi delle iniziative borghesi (che alla fin fine possono essere soltanto democratiche  e di orientamento statale). Per noi, invece, si tratta dell'abolizione dei rapporti capitalistici e non della loro critica politica! Poiché “l'anticapitalismo” degli autonomi non intende compiere l'ultimo passo verso la lotta di classe proletaria, resta esso stesso sul  piano della politica borghese e la loro propugnata “rivoluzione sociale” diventa una frase vuota.

 

La prospettiva comunista

E' merito del marxismo avere analizzato le forze motrici dello sviluppo capitalistico, inquadrato il capitalismo nel suo ruolo storico e definito il corso della lotta di classe proletaria. La comparsa della classe proletaria sul campo di battaglia sociale e la sua costituzione in partito politico furono riconosciute teoricamente già da Marx ed Engels quando il capitalismo era ancora nella sua fase storica ascendente. Essi hanno indicato la via della lotta di classe indipendente e derivato dalle esperienze della lotta reale (per esempio, della Comune di Parigi) la necessità della presa violenta del potere e del dominio dittatoriale del proletariato. Le acuite condizioni della lotta di classe nello stadio imperialistico del capitalismo, analizzate in modo calzante da Lenin, hanno messo all'ordine del giorno la necessità della difesa della teoria marxista contro l'opportunismo. La lotta di classe rivoluzionaria contro il capitalismo è un lungo e complesso processo storico. Né i molteplici tentativi di revisione del marxismo né i numerosi tradimenti opportunistici hanno potuto eliminare il risorgere della lotta di classe dal terreno del capitalismo. Dopo il tradimento della socialdemocrazia, il partito storico della classe operaia si diede la forma che portò all’unificazione dei partiti nella Internazionale Comunista. E' stato il lavoro pratico e orientato da fermi principi teorici della Sinistra comunista “italiana” a rappresentare, dopo la controrivoluzione staliniana, le fondamenta della rinascita del partito di classe, in legame con la lotta proletaria nella fase finale della Seconda guerra imperialista in Italia. Con l'unitario Partito comunista internazionale, riappare sul campo di battaglia lo storico partito della classe operaia. Mantenere viva questa continuità del vero partito di classe e sviluppare dal nucleo organizzativo un partito mondiale forte ed efficiente è il compito principale odierno.

Anche se oggi il predominio degli apologeti del sistema capitalistico – riformisti, democratici e persino ancora fascisti – costituisce un peso soffocante, è lo stesso sistema a produrre nuove crepe in cui settori della classe iniziano a lottare per i propri interessi e a cercare alternative. E' nostro compito promuovere queste lotte, ampliarle e, nei limiti delle nostre forze, dirigerle, e riprendere il filo rosso della lotta di classe. Solo così il prezioso tesoro di esperienze della lotta della nostra classe può essere utilizzato e costituire una prospettiva, al di là delle soggettive escogitazioni di progetti e del guazzabuglio politico conformista.

Avanti dunque con il Partito Comunista Internazionale!

 

Partito comunista internazionale

                                                                          (il programma comunista)

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