11. Marx e lo slavismo

La Neue Rheinische Zeitung appoggiava queste sue idee con dimostrazioni storiche. Essa faceva inoltre risaltare che gli slavi in nessun luogo avevano seriamente partecipato al movimento rivoluzionario del 1848:

«Un unico coraggioso e democratico tentativo di rivoluzione, anche se viene soffocato, cancella, nella memoria dei popoli, interi secoli di infamia e di vigliaccheria. Lo hanno sperimentato i tedeschi. Ma mentre francesi, tedeschi, italiani, polacchi, ungheresi innalzavano il vessillo della rivoluzione, gli slavi si schieravano come un sol uomo dietro la bandiera della controrivoluzione. In prima linea gli slavi del sud, che da lunghi anni avevano difeso le loro smanie controrivoluzionarie contro gli ungheresi, quindi i cechi e, dietro di loro, armati di tutto punto e pronti a intervenire sul campo di battaglia al momento decisivo: i russi»[18].

E la Gazzetta chiudeva questi frementi articoli con le parole:

«Adesso sappiamo dove sono concentrati i nemici della rivoluzione: in Russia e nei paesi slavi dell'Austria: nessuna frase, nessuna allusione a un imprecisato avvenire democratico di questi paesi ci distoglierà dal trattare i nostri nemici come tali». E, avendo citato uno scritto di Bakunin, continuava: «E se, infine, Bakunin esclamava: In verità, lo slavo non ha nulla da espiare, vincere egli deve! vivere egli deve! E noi vivremo: finché sia contestata la più piccola parte dei nostri diritti, finché un solo lembo di tutto il nostro organismo sia tenuto separato o strappato, noi lotteremo fino all'ultimo sangue, inesorabilmente impegnando la nostra vita fino a quando lo slavismo non esista grande, libero e indipendente, se il panslavismo rivoluzionario pensa sul serio tutto ciò e se, trattandosi dell'immaginaria nazionalità slava, lascia da parte la rivoluzione, allora anche noi sappiamo che cosa dobbiamo fare», continua la N.R.Z., ossia Marx: «allora battaglia, inesorabile battaglia all'ultimo sangue contro lo slavismo traditore della rivoluzione; battaglia fino allo sterminio e al terrorismo radicale; non nell'interesse della Germania, ma in quello della rivoluzione!»[19].

E qui Mehring aggiunge: sono queste le frasi che fecero dire a un professore tedesco la solenne menzogna che Marx chieda l'annientamento dei popoli russo, ceco e croato.

Più oltre vedremo ancora quale fosse la valutazione da parte di Marx del panslavismo, e come con la stessa rampogna si riproducesse tanto più tardi l'urto con Bakunin, nel 1872. E come Marx vedesse favorevolmente una guerra futura dei tedeschi contro gli slavi (tesi tanto sfruttata nel 1914!). Ma qui vogliamo notare una frase con cui Mehring, del proprio, riassume le posizioni che si direbbero di politica estera della N.R.Z. e del Marx 1848, dopo aver ribadito che non le detta la causa di nessuna patria, ma solo la causa della rivoluzione:

«La N.R.Z. sapeva che la rivoluzione europea non va da oriente ad occidente, ma da occidente ad oriente[20]».

E noi, dopo 106 anni, che cosa dunque sappiamo?

12. La Questione Orientale

Negli anni 1853, '54, '55, Carlo Marx, rifugiato a Londra dopo la sconfitta della rivoluzione tedesca ed europea, invia al giornale americano New York Tribune una serie di lettere-articoli (a volta delegando Engels a scriverli per lui) che hanno per argomento la predominante questione della politica europea del tempo: la questione d'Oriente. Non si trattava di testi di partito né di collaborazione alla stampa del partito, e nemmeno di un'opera teorica su princìpi del partito stesso, allora ridotto a pochi elementi dispersi della Lega dei comunisti che aveva operato negli anni di lotta 1848-49. Il giornale era un giornale di informazione e con tinta ideologica di generica democrazia radicale. Ma hanno sempre avuto torto quelli che hanno ritenuto quegli scritti un comune lavoro giornalistico che Marx, sempre in lotta insieme ai suoi contro la nera miseria, avrebbe dovuto assumere, come suol dirsi, solo "per la campata".

Va reso onore al socialista di destra Claudio Treves, già direttore dell'Avanti! e organizzatore della edizione italiana degli scritti di Marx, che nella sua sensibilità dottrinale – assai meno spenta, malgrado il riformismo dichiarato, di quella degli odierni pretesi estremisti – segnalava ai lettori l'alto contenuto dialettico e socialista di quell'opera.

Si può ammettere che, data la sfera dei lettori di quel giornale, talvolta il corrispondente europeo non si attenesse al rigido formulario della nostra specifica critica teorica, ma la potente efficacia con cui i fatti sono riportati e messi in rapporto, e la linea continua che corre da un capo all'altro, valgono, per chi legga diversamente dal ricercatore distratto dell'ultima notizia, quanto la più esplicita dimostrazione del metodo materialista ortodosso.

Tutta la serie di scritti, che non sono certo di un teste indifferente ed imparziale, hanno al centro o come spina dorsale una rivendicazione sola, quella antirussa, l’istanza che la Russia storica sia respinta, indebolita e battuta. Una qualunque sonata giornalistica? No, un leitmotiv apertamente rivoluzionario. Sulla zona della questione del vicino Oriente si affacciano tre mostri di poteri medievali: Austria, Turchia, Russia. Solo su questo terzo sono, si direbbe, gli occhi di Marx ed Engels.

Lo mostrerà una prima citazione, dalla lettera del 12 aprile 1853, che descrive la forza conquistatrice ed imperiale dello Stato degli zar, e che nell' edizione Avanti! figura col titolo:

13. Il vero sfogo in Turchia

«È lecito supporre che questa grande potenza, cresciuta ed estesasi fino ad assumere proporzioni gigantesche, si fermi a metà strada, se già ora è sulla via di divenire un impero mondiale? Anche se lo volesse, sarebbero le circostanze ad impedirglielo. Grazie all'annessione della Grecia e della Turchia essa si assicura ottimi porti di mare, e i greci la riforniscono di abili marinai per la sua flotta da guerra. Conquistata Costantinopoli, essa si trova alle soglie del Mediterraneo; con il possesso di Durazzo e della costa albanese da Antivari fino ad Arta, è direttamente al centro dell'Adriatico, in vista delle britanniche Isole Jonie e a 36 ore di navigazione da Malta. E poiché allora la Russia avrà circondato i possedimenti austriaci da nord, da est e da sud, potrà anche contare gli Asburgo fra i suoi vassalli. Qualcosa di più sarebbe ancora possibile e perfino probabile. Le frontiere occidentali dell'Impero, frastagliate e serpeggianti, che non coincidono con la linea di confine naturale, avrebbero bisogno di una rettifica, e risulterebbe allora che i confini naturali della Russia corrono da Danzica o, mettiamo, da Stettino a Trieste. E come è vero che una conquista segue all'altra e un'annessione se ne tira dietro un'altra, così è vero che la conquista della Turchia da parte della Russia non sarebbe che il preludio dell'annessione dell'Ungheria, della Prussia, della Galizia, e condurrebbe alla finale realizzazione di quell'impero slavo che molti fanatici filosofi panslavisti hanno sognato.

«La Russia è decisamente una nazione conquistatrice, e lo fu anche per tutto un secolo, finché il grande movimento del 1789 non le creò un temibile antagonista straripante di forza vitale: alludiamo alla rivoluzione europea, alla forza esplosiva delle idee democratiche e alla sete di libertà innata nell'uomo. Da quell'epoca non ci sono state in realtà che due potenze, sul continente europeo: la Russia col suo assolutismo da un lato, la Rivoluzione con la democrazia dall' altro.

«Momentaneamente la rivoluzione sembra schiacciata, ma vive ed è più che mai temuta. Ne è prova il terrore della reazione alla notizia della recente insurrezione a Milano [la fallita insurrezione del 6 febbraio 1853]. Ma se la Russia riesce a conquistare la Turchia, la sua forza crescerà del doppio ed essa prevarrà su tutto il resto dell'Europa. Un tale evento sarebbe una calamità indescrivibile per la causa rivoluzionaria. Il mantenimento dell'indipendenza turca o – in caso di possibile disgregazione dell'Impero ottomano – il naufragio dei piani di annessione russi, sono cose della massima importanza.

«In questo gli interessi della democrazia rivoluzionaria e quelli dell'Inghilterra coincidono; né l'una né l'altra possono permettere allo zar di fare di Costantinopoli una delle sue capitali, e se si giungerà agli estremi vedremo che entrambe gli opporranno una resistenza egualmente energica»[21].

I corsivi sono stati posti da noi, sia per sottolineare il concetto centrale dell'antagonismo Russia-rivoluzione, sia per segnalare la potenza dell'indagine sul futuro storico, il dito posto sulle piaghe di conflitti di un secolo e più, come localizzando Danzica e Trieste sulle coste nord e sud di questa convellentesi Europa.

14. Venga la guerra!

La serie degli scritti prevede la guerra, plaude alla guerra, invoca la guerra. È la guerra per Costantinopoli, che di continuo si affaccia: la guerra tra Russia e Turchia per gli Stretti che chiudono la comunicazione tra Mar Nero e Mediterraneo, che impediscono all'immensa potenza militare terrestre russa di divenire una potenza oceanica, e all'incandescente modo di produzione mercantile di incendiare la barriera fra due mondi. Ma la guerra che vuole Marx è l’assistenza alla Turchia che da sola soccomberebbe, e le potenze che devono impedire il passo avanti della Russia sono Inghilterra e Francia guadagnate alla rivoluzione borghese.

Abbiamo già detto che in questa fase l'Inghilterra è chiamata ad agire in quanto i suoi interessi convergono con quelli della "democrazia rivoluzionaria". La serie delle lettere di Marx e di Engels mostra il versipellismo[22] dei due grandi partiti borghesi inglesi, che non sempre sono stati così espliciti nell’opposizione al potere dello zar. Esiteranno in avvenire ancora, mentre mai Marx esiterà, come nella successiva guerra russo-turca del 1877, in cui esulterà per la grande vittoria di Plewna, mentre al successivo congresso di Berlino del 1878 deplorerà che i governi occidentali siano proni alle volontà dello zar. È notevole, come è stato ricordato a proposito delle recenti "rivelazioni" antirusse di Churchill (che non hanno rivelato proprio nulla) come la tradizione inglese abbia sempre veduto di traverso gli approcci alla Russia. Alla debole politica del 1878 del ministro lord Beaconsfield rispose una lettera della stessa regina Vittoria: "Se l'Inghilterra deve baciare i piedi alla Russia, la regina non vuol partecipare all'umiliazione del proprio paese, e deporrà piuttosto la corona… La regina sente di non poter continuare a regnare su un paese, che si abbassa fino a baciare i piedi di questi grandi barbari… ". Tradizione borghese e disprezzo della Russia sono una cosa sola. La regina borghese e il "red terror doctor"[23] hanno dunque qualcosa in comune? Basta procedere senza bigottismi.

Vogliamo incastrare un altro rilevamento di rotta da capisaldi storici. La prima grande guerra imperialistica scoppiò, come avevano previsto Marx ed Engels nel 1870, fra i tedeschi e le razze unite degli slavi e dei latini. E l'Inghilterra fu a fianco della Russia, ancora zarista. Ma due anni prima, nel 1912, la "stessa" guerra stette per scoppiare sul piano del contrasto anglo-russo, per rivalità imperiali nell'Oriente vicino e lontano.

La lettera citata prima era dell'aprile: solo nel luglio 1853 l'esercito russo doveva, al comando del generale Paskevic, rovesciarsi nella bassa valle del Danubio, ed era distrutta dai russi la squadra turca del Mar Nero. Londra e Parigi rompevano i rapporti diplomatici con Pietroburgo, la stessa Austria portava truppe nei Balcani, ma solo nel febbraio 1854 lo zar proclamava la guerra santa contro Francia e Inghilterra "nemiche della cristianità".

Con una lettera del 22 maggio 1854, intitolata "Gli eventi bellici nel Baltico e nel Mar Nero e il sistema di operazioni anglo-francese", Engels[24] traccia le prospettive della guerra: oltre all'operazione in Crimea, già in corso da parte di turchi, inglesi, francesi, coi reparti piemontesi inviati dall'abile intrigante Benso di Cavour, egli si prospetta la possibilità della guerra generale in Europa: questa fattrice gravida del feto rivoluzionario tarda sempre al gran parto, nella nostra attesa di un secolo, e in cicli drammatici miserabilmente abortisce. Guai se anche nella seconda metà del secolo attuale non saprà, da questo utero ancora una volta rigonfio, uscire tra ferro, fuoco e sangue, terribilmente viva, la Sempre Attesa[25].

«Riassumiamo la situazione bellica: l'Inghilterra e specialmente la Francia sono inevitabilmente, benché con riluttanza, spinte ad impegnare la maggior parte delle loro forze nell'Oriente e nel Baltico, cioè in due ali avanzate di una posizione militare che non ha nessun centro più vicino che la Francia. La Russia sacrifica le sue coste, la sua flotta e una parte delle sue truppe, per indurre le potenze occidentali ad impegnarsi totalmente in questa misura tuttavia contrastante con qualunque strategia. Non appena ciò sarà avvenuto, non appena il numero necessario di truppe francesi sarà stato inviato in paesi molto lontani, Austria e Prussia si dichiareranno a favore della Russia e marceranno con forze soverchianti su Parigi. Se questo piano riesce, Luigi Napoleone non disporrà più di truppe per resistere all'urto. Ma v'è una forza che può "mettersi in moto" in ogni improvvisa evenienza, e che lo stesso Napoleone e i suoi servi venali possono "mobilitare", come più di un potente l'ha mobilitata in passato. Questa forza è in grado di far fronte a tutte queste invasioni, e lo ha già dimostrato una volta all'Europa unita. E questa forza, la Rivoluzione – statene certi – non verrà meno il giorno in cui si avrà bisogno della sua azione»[26].

15. Sebastopoli all' o.d.g.

Anche quello era un periodo sterile come l'attuale: la guerra di Crimea finì in episodio locale come oggi la guerra di Corea, senza incendiare il mondo: una buona cazzottata fra le corde di un piccolo ring geografico. Mentre i russi le prendevano in Crimea, segnavano punti sull'altro fronte di contatto coi turchi, nel Caucaso, dove le flotte franco-inglesi non potevano arrivare e dato che gli aerei non c'erano ancora. L'onta della capitolazione di Sebastopoli (9 settembre 1855) dopo lungo assedio, esattamente cent'anni fa, fu in parte riscattata dalla caduta della cittadella di Kars nel Caucaso il 24 novembre 1855 e ciò rese possibile, dopo un ultimatum presentato tramite l'Austria, la pace al congresso di Parigi (30 marzo 1856) che sancì il celebre divieto a navi da guerra di varcare i Dardanelli e la neutralizzazione del Mar Nero.

La freddezza di quella guerra dava sui nervi a Marx ed Engels, che non ne potevano più di veder prendere Sebastopoli, divenuta simbolo della forza militare russa con la sua disperata difesa. Engels scrive il 14 ottobre 1854 queste parole:

«Sembra finalmente offrirsi ai francesi ed agli inglesi la possibilità di un serio colpo alla potenza e al prestigio della Russia, ed è perciò che noi seguiamo con rinnovato interesse il movimento contro Sebastopoli; delle notizie in proposito tratta un altro articolo. Com'è naturale, i giornali britannici e francesi si fanno belli di questa impresa e, a volerli prendere sul serio, la storia delle guerre non avrebbe mai visto nulla di così imponente; chi però esamini attentamente i fatti – gli inesplicabili indugi e le magre scuse che hanno accompagnato il corso della spedizione, così come tutte le circostanze che l'hanno preceduta e via via seguita – non se ne lascia imporre. Per quanto possa essere grandioso l'esito dell'impresa, i suoi inizi sono stati veramente pietosi»[27]. Engels e Marx dunque più militaristi dei generali inglesi e francesi? Così si chiederebbero coloro i quali si ostinano a confondere col pacifismo imbelle la posizione dei comunisti di fronte alle guerre. Oggi tutto il proletariato mondiale è imbestiato in una campagna sordidamente pacifista, ma al tempo stesso, anche nel centro russo di questo imbonimento internazionale, non si desiste dall'esaltare glorie militari come quelle di cui Marx e Engels parlano. Ma un momento! La questione è semplice: nel periodo storico 1789-1871 il marxismo approva date guerre, e una è quella di Crimea. Poi, nel periodo 1914, passa a disapprovare e sabotare la guerra da tutte e due le parti. Anche però quando le approva ed incoraggia, lo fa da una parte sola! L'approvazione della guerra da due parti al tempo stesso non troverà mai posto nel marxismo: essa è ammissibile solo per il più banale nazionalismo e sciovinismo borghese. Nella guerra di Sebastopoli si vedeva la gloria, concetto commestibile per i lettori comuni, solo dal lato degli assedianti, e – bussola rivoluzionaria alla mano – era una gran bella cosa che questi schiacciassero gli assediati.

Orbene, non molti giorni addietro le radiotrasmissioni hanno annunziato che solennemente il governo attuale di Russia, che ostenta ideologie marxiste, ha conferito un'altissima onorificenza alla città di Sebastopoli, nel centenario dell'assedio, per celebrare la gloriosa sua resistenza!

Simile genia potrebbe almeno disinteressarsi dal far portare in altra tomba le spoglie di Marx, in quanto i simboli sono – per Marx e per chi lo intende – sempre imbecilli, ma superimbecilli quando, venendo dalla stessa mano, fanno a calci fra loro, si appendono al petto dei ladri e dei derubati, idealizzando carnefice e vittima.

Del resto gli stessi onori sono stati resi alla guarnigione di Port Arthur, per la lunga difesa del 1905 contro i giapponesi al tempo in cui Lenin, come Marx per Sebastopoli, fremeva perché la disfatta russa, come fu, scatenasse la rivoluzione, e faceva di quella resa l'espressione del fiaccarsi dello zarismo[28].

Non si tratta solo di gesti, ma di prove definitive che il compito storico del presente governo russo è quello di una rivoluzione borghese, uno dei cui aspetti essenziali è l'esaltazione dei "valori" nazionali[29]. Ecco Hitler che, con piena logica storica, innalzava monumenti ad Arminio, o de Gaulle (ultimissimo chiamato a Mosca) che ben si rifaceva all'eroe Vercingetorige.

16. Europa ed Asia

La forza russa è dunque per Marx pericolo e minaccia: e il movimento grande-slavista ha per lui il significato stesso di controrivoluzione. Non la minima ombra di preconcetto nazionale o razziale sta sotto questa indiscutibile tesi storica, legata a precisi campi di tempo e di spazio. La valutazione positiva di ogni fatto e dato concreto di forza storica è, per i marxisti, fondamentale. Vedremo ora Marx valutare la decisione del nuovo zar Alessandro II nei suoi propositi di scalzare dalle fondamenta la potenza rivale dell'impero austriaco. Dopo Sebastopoli, il predecessore Nicola I morì più di disperazione che di congestione polmonare, e il 2 marzo 1855 salì al potere Alessandro II (per regnare fino al 13 marzo 1881, giorno in cui una bomba anonima, se non atomica, disintegrò lui e la sua carrozza) che dal successo di Kars prese l'avvio per una fase di riforme all'interno e di espansione all'estero e per un ritorno in forze nei Balcani come liberatore dei cristiani dal giogo musulmano.

Ma nello stesso tempo è con Alessandro II che la Russia si volse in modo deciso verso Oriente, occupando i ricchi khanati dall'Asia centrale fino alle frontiere della Persia e dell'Afghanistan, ove nuove ragioni di contrasto con gli interessi imperialistici inglesi si vengono perciò a delineare (e sempre più quando si andrà verso la moderna economia del petrolio).

Marx si guarda dall'applicare a queste diverse direttrici della pressione espansiva russa una stessa formuletta bell'e fatta. Il passo che ora citiamo è grandemente espressivo, se lo confrontiamo con la situazione di oggi. Chiamando il governo attuale di Mosca governo capitalista, noi non gli assestiamo nessun ceffone; né gli contestiamo compiti rivoluzionari quando, con la sua enorme attività in Asia, economica, commerciale, di costruzione di comunicazioni e di trasferimento su nuovi piani di organizzazione umana delle dormienti sterminate steppe, fa camminare la Rivoluzione, come diceva Mehring, da occidente a oriente. Le proclamazioni ideologiche sono sballate, e controrivoluzionarie verso occidente in modo feroce, ma ciò, come per la tendenza ad espandersi della "gonfia potenza" dell'ottocento, dipende dalle circostanze, non dalla sua propria volontà. Inutile, per cambiare questo fatto, processare "banditi" politici, o passare dati soggetti e nominativi da processatori a processati, uso Jagoda, uso Beria, o altri non morti a tempo per restare nell'albo nazionale delle glorie[30]:

«Il panslavismo come teoria politica ha avuto la sua più lucida espressione negli scritti del conte Gurowski, Ma questo colto e distinto pubblicista, mentre vede nella Russia il pernio naturale intorno al quale soltanto i destini di questo ramo numeroso e vigoroso della famiglia umana possono trovare un ampio sviluppo storico, non concepiva il panslavismo come una lega contro l'Europa e la civiltà europea. A suo modo di vedere, l'obiettivo legittimo per la forza espansiva delle energie slave era l'Asia. In confronto alla stagnante desolazione del vecchio continente, la Russia è una potenza civilizzatrice e il suo contatto non potrebbe essere che benefico. Questa imponente e virile generalizzazione non è stata però fatta propria da tutte le menti inferiori che ne hanno adottato l'idea fondamentale. Il panslavismo ha assunto una grande varietà di aspetti: ed ora infine, lo troviamo usato in una nuova forma, e con grande effetto apparente, come minaccia bellica. In quanto tale, il suo uso dà certamente credito all'audacia e decisione del nuovo zar. E fino a che punto tale minaccia abbia ispirato timore all'Austria, ci proponiamo di dimostrarlo» (7 maggio 1855)[31].

Rileviamo ancora che questo brano, diffondendosi sulla instabilità dell'Austria, ne prevede la dissoluzione, e ciò in un tempo in cui la forza militare di Vienna era ancora intatta e, negli stessi calcoli di Marx, decisiva in Europa, e malgrado la scarsa simpatia di quest'ultimo per il prevalere della pressione moscovita e del suo piano di suprema direzione degli slavi minori e balcanici. Anche qui il metodo seguito ha permesso previsioni sicure sugli eventi, ma soprattutto sul senso delle forze che in essi si esplicano.

17. Il comizio alla Martin's Hall

Lasciamo il testo del 1853-56 e passiamo a un tempo di dieci anni posteriore: quello della fondazione della I Internazionale.

Si sono iniziate in Europa, nel frattempo, le guerre chiarificatrici e sistematrici di cui lungamente riportammo ne I fattori di razza e nazione la valutazione marxista[32]. 1859: Francia e Italia contro Austria, che riceve un potente primo scossone. 1866: Germania e Italia contro Austria, e secondo scossone. 1870: Germania contro Francia, e caduta di Napoleone III. In tutto questo cammino la Russia sarà sempre fuori del conflitto, ma sempre con le armi lungo le frontiere, pronta a intervenire. Marx la vedrà sempre come riserva della reazione e tuttavia si avrà l'avvio all'indipendenza nazionale e alla formazione di uno stato unitario in Germania e Italia.

Nel 1864 si era svolta solo la prima di questo "storico gruppo" di guerre che costruiscono le condizioni di passaggio da un periodo di strategia rivoluzionaria al successivo. Ma una seconda guerra-insurrezione vi era stata, a rompere il grigiore sinistro della fase di controrivoluzione: quella di Polonia, e con esito contrario alle guerre-insurrezioni italiane: la Polonia era stata stritolata dalla forza russa nelle istanze nazionali e democratiche (1863).

Illustrammo allora a lungo, con la corrispondenza di Marx ed Engels ed altre fonti[33], il vivo impegno per la insurrezione polacca non solo nelle lettere e negli scritti politici, ma soprattutto nella "ufficiale" attività di partito, che culminò nel comizio di fondazione dell'Internazionale dei lavoratori e nel poderoso Indirizzo che Marx ebbe mandato di redigere. In tutto questo materiale la esecrazione per la Russia è, come vedemmo, senza soste e nel documento-principe la figura del "mostro" viene a campeggiare nel finale. In effetti la manifestazione era sorta per solidarietà coi ribelli polacchi, ed a opera di Marx era venuto in primo piano l'argomento della lotta proletaria anticapitalista e la fiera critica al moderno regime economico e politico delle potenze democratiche di occidente. Ecco la nota chiusa dell'Indirizzo del comizio del 28 settembre 1864:

«Il plauso spudorato, la simpatia ipocrita o l'indifferenza idiota, con cui le classi superiori dell'Europa hanno veduto la fortezza mostruosa del Caucaso essere preda della Russia e l'eroica Polonia essere assassinata dalla Russia stessa; le mostruose e incontrastate soperchierie di questa potenza barbarica, la cui testa è a Pietroburgo e le cui mani sono in tutti i gabinetti europei, hanno insegnato alle classi lavoratrici che è loro dovere dominare anch'esse i misteri della politica internazionale, vigilare gli atti diplomatici dei loro rispettivi governi, opporsi ad essi, all'occorrenza, con tutti i mezzi in loro potere, e che, ove siano nell'impossibilità di prevenire, è loro dovere unirsi per smascherare simultaneamente questa attività e rivendicare le semplici leggi della morale e del diritto, le quali dovrebbero regolare i rapporti fra i privati, come leggi supreme nei rapporti fra le nazioni.

«La lotta per una tale politica estera è una parte della lotta generale per l'emancipazione della classe operaia.

«Proletari di tutto il mondo, unitevi!»[34].

Come altre volte detto, anche questo testo dovette subire l'impiego di una terminologia non pienamente soddisfacente per il redattore; non solo operai ma anche rivoluzionari intellettuali di varie nazionalità partecipavano a quel comizio, e non era facile sradicare da tali teste ideologie più o meno umanitarie e romantiche. Ma sotto la forma resta la sostanza storica: l'appoggio alla Polonia non è in Marx un espediente per non rompere subito con quelle forze, ma una reale urgenza del compito del proletariato, armi alla mano. Mostrammo come la chiave di tutto il metodo sia lì: derisione massima per il piagnisteo dei vari radicali patiti di pace e libertà, rispetto e legame stretto con gli insorti in lotta con la polizia e l'esercito oppressore, indipendentemente dalla loro confessione e catalogazione politica.

Poté quindi Marx scrivere ad Engels il 4 novembre 1864 le suggestive parole: «Venni obbligato ad inserire nel preambolo dello Statuto due frasi su dovere e diritto, e così pure su verità, morale giustizia, che però sono collocate in modo da non poter arrecare danno… Le stesse persone, entro un paio di settimane, terranno comizi con Bright e Cobden per il diritto di voto [leggi: quella fregnaccia]. Occorre tempo, prima che il movimento ridestato consenta l'antica audacia di parola. Necessario [procedere] fortiter in re, suaviter in modo»[35]duri nella realtà, dolci nella forma.

Quanti fessoni ci sono oggi, durissimi nelle chiacchiere, schifosamente molli nella realtà.

Qui interessava, seguendo il nostro filo, far vedere che, nel 1864 non meno che nel 1854, le artiglierie non cessano di essere puntate sulla "potenza barbarica" di Pietroburgo.

18. Bakunin, lo zar, il panslavismo

Possiamo balzare avanti di un altro decennio giungendo al 1873, dopo che il ciclo delle "guerre rivoluzionarie" è definitivamente chiuso, e vedremo ancora che la denunzia di una qualunque debolezza verso la Russia è ancora per il marxismo la bussola migliore per trovare il Nord rivoluzionario.

Si tratta della lunga pubblicazione polemica seguita alle scissioni tra comunisti marxisti e anarchici bakuninisti nella storica crisi della I Internazionale, seguita al tremendo rovescio della Comune di Parigi, all'inizio del nuovo periodo di controrivoluzione.

Come nel 1848, Marx rivolge a Bakunin violenti attacchi: i più gravi sono quelli che si riferiscono alla sua opera politica in Russia nei confronti dello zar riformatore Alessandro, che nel 1861 aveva abolita la servitù della gleba. Bakunin è accusato di avere, con i suoi Manifesti e brochures del 1862, mentre altri rivoluzionari denunziavano il contenuto reazionario della riforma, plaudito allo zar o quanto meno dichiarato che Alessandro ben poteva porsi alla testa di una nuova Russia popolare, se avesse fatto una politica "antitedesca", e condotto la guerra contro l'Austria e la Germania, e di aver tratteggiato una prospettiva di accordo tra lo zar e il popolo contadino che avrebbe evitata la rivoluzione fin d'allora invocata dal movimento populista. Marx, che sappiamo non dolce di sale, superando l'ovvia censura di aver lavorato con Bakunin quando questi «dal 1868, si trastullava con l'internazionalismo», arriva a commentare quei testi con le seguenti dure parole: «Nel 1862, 11 anni fa, all'età di 51 anni, il grande anarchico Bakunin professava il culto dello stato ed il patriottismo panslavista»[36].

Non è ora il caso di rivagliare le lunghe polemiche sulla raggiunta prova di tali accuse, ma preme rilevare come il polo negativo rivoluzionario, nel corso di lunghe fasi, séguiti ad essere ravvisato nello Stato e nella dinastia di Pietroburgo. E siccome abbiamo un primo testo sulla situazione sociale di quel paese nel giudizio di Marx, conviene estrarlo da quei "pamphlets" tanto accesi:

«Il 3 marzo 1861, applaudito da tutta l'Europa liberale, Alessandro II aveva proclamato l'emancipazione dei servi della gleba. Gli sforzi fatti da Černyševskij e dal partito rivoluzionario per preservare la proprietà comunale del suolo erano stati fruttuosi, ma in modo così poco soddisfacente che prima ancora della proclamazione di emancipazione Černyševskij aveva confessato con tristezza: "Se avessi saputo che il problema da me sollevato avrebbe trovato una tale soluzione, avrei preferito la disfatta alla vittoria. Avrei preferito che essi avessero agito di testa propria, senza nessun riguardo per le nostre rivendicazioni". L'atto di emancipazione era effettivamente solo un gioco di prestigio. La terra veniva in gran parte tolta ai suoi veri possessori e si era proclamato il sistema di riscatto del suolo da parte dei contadini. In questo atto di malafede zarista, Černyševskij e il suo partito trovarono un nuovo e inconfutabile argomento contro le riforme imperiali. Il liberalismo, schierato sotto la bandiera di Herzen, sbraitava: Hai vinto, galileo! E galileo in bocca loro significava Alessandro II. Questo partito liberale, il cui organo principale era il "Kolokol" di Herzen, da quel momento non fece altro che inneggiare allo zar liberatore, e, per sviare l'attenzione pubblica dalle proteste e dai reclami suscitati da questo atto impopolare, chiese allo zar di proseguire nella sua opera emancipatrice e di cominciare una crociata per la liberazione dei popoli slavi oppressi, per la realizzazione del panslavismo»[37].

In altri termini, Marx assimila la posizione di Bakunin a quella dei liberali russi a cui era bastata la riforma agraria, senza neppure la promulgazione di un regime costituzionale, per far propria la prospettiva di una Russia con alla testa lo zar sulla via di una politica borghese-liberale. Ad una condizione tanto vaga, si sarebbe da costoro potuto ammettere che in Europa le baionette dello zarismo non fossero più la riserva-principe della controrivoluzione, ma una forza della civiltà liberale, purché vòlte contro gli imperi tedeschi. Da tale opinione Marx continuamente aborre, per quanto la rovina anche di quei due imperi sia al sommo dei suoi voti, ed egli anche dopo le guerre del periodo medio dell'Ottocento conserva la direttrice che, ove è la forza russa, ivi è il nemico numero uno della rivoluzione.

L'opinione opposta, su una missione di civiltà europea delle armi russe, polarizzata in senso diametralmente opposto rispetto alla grande linea storica del marxismo, ben si mostrerà nel 1914 appropriata a liberali borghesi, a socialisti revisionisti del marxismo (per la via legalitaria o per quella volontarista) e a non pochi anarchici.

19. Russia dal di dentro

È soltanto verso il 1875 che con scritti pubblici Marx, e con lui Engels, ci danno trattazioni del problema russo, oltre che sotto il profilo, fin qui da noi ricostruito, del gioco delle guerre-rivoluzioni di formazione dell'Europa democratico-capitalistica, sotto quello del gioco delle forze sociali all’interno del misterioso immenso paese.

Finora monarchia, Stato, esercito russo li abbiamo visti trattati come una forza operante in modo unitario: il che tuttavia non autorizzava al travisamento stupido dell'odio contro il popolo slavo attribuito a Marx. Ora compiamo un trapasso, continuando sempre lo studio della valutazione della Russia nei classici testi marxisti, ma venendo ad esaminare quella concernente le forze interne, dopo aver rilevato i taglienti giudizi sull'azione all'esterno.

Ne abbiamo trovato un primo spunto nell'ultima citazione contro Bakunin, in cui si ha uno schieramento contro il liberalismo borghese russo (di base intellettuale più che sociale) a favore del moto rivoluzionario e terrorista delle plebi contadine, per insufficiente che esso sia rispetto alle lotte del moderno proletariato salariato. Come vedremo nello scritto di Engels sulle Cose sociali di Russia, ben presto assume importanza primaria la questione del movimento sociale in Russia, non solo in quanto il modo di produzione capitalista comincia a penetrare in misura imponente nelle sue frontiere, ma anche ai fini della esatta definizione secondo le nostre dottrine della lotta nelle campagne, particolarmente complessa per la presenza di classi ed istituti il cui schema non può ridursi nemmeno a quello dell'agricoltura feudale nell'Europa di secoli addietro. Sono infatti nel campo anche forme più antiche di quella feudale, che hanno i caratteri di un comunismo primordiale, e ci si domanda come una simile evoluzione si svolgerà, e come si collegherà ad essa il formidabile risultato rivoluzionario – anche ai fini internazionali – del crollo dello zarismo.

Dicemmo che un tale quesito rimase fuori dal quadro del Manifesto del 1848. Ma esso era già urgente quando il nostro testo fondamentale fu tradotto dalla Vera Zasulič in russo. Stabilisce tale caposaldo, ed apre il passaggio alla seconda parte della nostra ricerca sulla valutazione marxista classica dei problemi russi, la prefazione di Marx ed Engels a quella traduzione, datata 21 gennaio 1882, epoca in cui la lotta interna era in pieno sviluppo, il terrore rivoluzionario aveva risposto al terrore autocratico, e l'elaborazione dottrinale dei problemi storici era poderosamente cominciata. Il brano decisivo che imposta la grande questione è quello che segue. Fu l'ultima prefazione firmata da Marx: ulteriormente trattò la cosa direttamente Engels, ripubblicando nel 1894 (ultimo scritto in materia anche per lui) una sua nota del 1875, e facendo leva su una storica lettera di Marx del 1877: testi che dovremo citare e commentare estesamente[38]. In tutto questo corso si esamineranno questioni sociali di primo piano, ma ritornerà ancora e fino alla fine il leitmotiv: non passa la rivoluzione in Europa, se la potenza russa non cade.

«Veniamo alla Russia. Al tempo della rivoluzione del 1848-49, non solo i monarchi, ma gli stessi borghesi europei scorgevano nell'intervento russo la sola àncora di salvezza contro il proletariato che cominciava a prendere coscienza della propria forza. Essi proclamavano lo zar capo della reazione europea; oggi, questi se ne sta rinchiuso nella sua Gatcina, prigioniero di guerra della rivoluzione, e la Russia è all'avanguardia del movimento rivoluzionario in Europa.

«Il compito del Manifesto Comunista era di proclamare il crollo imminente e inevitabile della moderna proprietà borghese. Ma, in Russia, accanto all'imbroglio capitalistico in rapida fioritura, e alla proprietà fondiaria borghese che solo adesso vi si sta formando, troviamo oltre la metà del suolo tuttora in proprietà comune dei contadini.

«Sorge dunque il problema: l'obsčina [la comune rurale], questa forma sia pure fortemente minata dell'antichissima proprietà comune del suolo, può passare direttamente alla forma superiore, comunistica, di possesso collettivo della terra, o dovrà prima attraversare lo stesso processo di disgregazione che costituisce lo sviluppo storico dell'Occidente?

«La sola risposta oggi possibile a tale domanda è: Se la rivoluzione russa diverrà il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente, in modo che le due rivoluzioni si completino a vicenda, allora l'odierna proprietà comune della terra in Russia potrà servire di punto di partenza ad uno sviluppo in senso comunista»[39].

Prima di passare dal primo aspetto del grande tema storico, quello dell'antagonismo tra Russia autocratica ed Europa democratica, al secondo, quello del rapporto tra rivoluzione russa e rivoluzione proletaria europea, e tra questione agraria russa e ciclo del capitalismo in Russia, occorrerà tuttavia una digressione.

20. Disegno di una controtesi disfattista

Sappiamo che la messa a punto di questo argomento della solidarietà, nel dato campo storico, tra moderna classe operaia e guerra di sistemazione nazionale e liberale, e più il collegamento e l'analogia col rapporto attualissimo tra rivoluzione anticapitalistica e movimenti dei popoli di colore, tanto contro i loro regimi interni quanto contro l'imperialismo estero, non lasciano di preoccupare molti compagni.

Non è infatti agevole sistemare bene la differenza grandissima fra l'impostazione marxista della questione e le tante deviazioni del dilagante opportunismo, che, nelle sue varie manifestazioni, non ha lasciato alcun posto all'aperto schieramento di classe del proletariato di fronte al capitalismo pienamente sviluppato, all'integrale autonomia, dalla nostra corrente sempre strenuamente propugnata, della teoria del partito, della sua organizzazione e delle sue istanze storiche e politiche nel movimento, nel reale combattimento.

Per chiarire posizioni di questa natura abbiamo fatto molte volte ricorso al metodo di tracciare noi le controtesi con le quali ci si combatte, e che sono in fondo le stesse, da quando il marxismo si è formato ed imposto[40]. Oggi l'avversario ha preso forme particolarmente flaccide e senza contorno né saldezza, e i colpi vi affondano senza ferire: questo fattore concorre non poco alla fase di totale smarrimento dell'azione della classe operaia, che ovunque si attraversa.

Urge evitare il rifugio di qualche elemento buono e utile nel rigidismo, nei dualismi senza vita di cui facemmo la critica nella introduzione a I fattori di razza e nazione[41], quando mostrammo anche come tale semplicismo sistematico sia molto servito a diffamare la posizione assunta dalla sinistra comunista italiana ed internazionale già nettamente nell'immediato primo dopoguerra, mentre è di grande interesse come tale attitudine di critica e di risoluta opposizione abbia avuto conferme decise, non dalla popolarità, ma dagli stessi eventi storici.

Crediamo quindi utile enucleare come il materiale del grandioso problema della "doppia rivoluzione", ossia dell'innesto del movimento proletario sulla rivoluzione borghese democratica (e nazionale), venga ordinato (se a simile genía convenisse ordine manifesto, anziché nebbia asfissiante in cui sparisce ogni netto contorno) da quelli che vogliono avvalorare la sfiducia e il disfattismo di classe e concedere che la rivoluzione propriamente operaia ha perduto tutti gli autobus della storia: non verrà più, anzi non era che un semplice miraggio dei tempi romantici in cui si sollevò la classe eroica per antonomasia: la borghesia, cui nel Manifesto erigemmo un monumento illudendoci di prepararle altrettanto grandioso il sepolcro: noi, becchini falliti.

Il nostro "avvocato del diavolo" (così si chiama nel linguaggio comune quel prelato che, nei processi di santificazione, ha mandato, ai fini del contraddittorio di causa e di una sicura decisione, di propugnare la tesi contraria, confutare i fatti, i miracoli, addotti a prova della santità del soggetto) abbia quindi la parola.

Siamo per la libertà di parola, dunque? Sì, ma quando il contraddittore è fetente, gli dettiamo noi quello che ha da dire.

La storia non ha esempio di una rivoluzione della classe operaia che non abbia preso lo slancio e trovato appoggio in una rivoluzione borghese, ossia scatenata per rivendicazioni borghesi: indipendenza nazionale, libertà politica, uguaglianza giuridica dei cittadini. Così egli esordisce. Il mondo moderno afferma la sua civiltà con l'ascesa al potere della borghesia; è questo che in generale avviene col processo detto "Rivoluzione", ossia con la guerra civile, il rovesciamento violento di un regime, l'insurrezione armata, il terrore contro il caduto regime, la dittatura rivoluzionaria. Così egli prosegue.

Solo la necessità di realizzare le istanze che rendono possibile la moderna civiltà liberale ha la forza di muovere le masse alla battaglia sociale armata. Non sorgeranno pari eventi storici, quando tutte le rivendicazioni della rivoluzione liberale siano state conquistate e il periodo di lotta convulsa sia passato, per iniziativa dei soli lavoratori salariati e per effetto del fattore del contrasto di interessi tra essi e gli imprenditori, che si esplicherà in altre forme e si risolverà per altre vie (vedi riecheggiare da modernissimi studi sindacali ed economici statunitensi queste rancidissime eccezioni).

Può la borghesia e la forza delle istanze sue proprie mobilitare le classi medie, intellettuali, artigiani, contadini, impiegati e così via; non lo può, contro la borghesia, il proletariato delle imprese, rivoluzionario sì come classe mobilitabile ma non come mobilitatore. Così egli, cui potremmo dare cento noti nominativi, séguita a dire.

Sistemata ovunque la moderna civiltà capitalistica, sia pure con altri cicli di guerre locali e generali, ed esauriti i moti proletari che queste tappe avranno istigato, saranno passate tutte le occasioni storiche di un potere autonomo del proletariato, di una società economica non basata sulla proprietà, l'azienda e il mercato[42], e si chiuderà il ciclo di questa grande illusione dottrinale figlia dell'ottocento. Così egli continua.

 

[18] Il brano di Marx è tratto dal volume di F. Mehring, Storia della socialdemocrazia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1961, 1, p. 464.

[19] Ibidem, p. 464.

[20] Ibidem, p. 466.

[21] Poiché della serie di articoli sulla Questione d'Oriente non esisteva nel 1954, né esiste oggi, che la traduzione edita nel 1903 dalla Mongini, notoriamente inattendibile, si sono tradotte le pagine qui citate direttamente dalle K. Marx u. F. Engels, Werke, ediz. Dietz, Berlino: il brano qui riportato si trova nel vol. IX (1972) di tale edizione, pp. 16-17. Come già detto, gli articoli per la «New York Daily Tribune» erano spesso scritti non direttamente da Marx, ma, in pieno accordo con lui, da Engels – come si è potuto appurare solo di recente –, e ciò vale sia per questo, sia per altri articoli più oltre parzialmente citati, che un tempo erano attribuiti "in proprio" al solo Marx. È chiaro che, se noi qua e là correggiamo Marx in Engels, lo facciamo unicamente per facilitare la ricerca a chi voglia leggere il testo dei diversi articoli al completo, non per scrupolo accademico di esattezza, o per pedanteria. Ricordiamo al lettore che per «Questione d'Oriente» si intendeva alla metà del secolo scorso la questione di chi dovesse esercitare la sovranità sugli Stretti che congiungono il Mar Nero al Mediterraneo, quindi su Costantinopoli: la Russia o, tramite la Turchia, le grandi potenze borghesi europee, Gran Bretagna e Francia?

[22] La capacità di passare rapidamente da una posizione all'altra o come si suol dire, di «voltar gabbana» a seconda del gioco alterno della contingenza storica. Ricordiamo al lettore che la guerra di Gran Bretagna, Francia e, in subordine, Turchia (oltre al modesto contingente piemontese inviato da Cavour d'intesa con Parigi) contro la Russia zarista – più nota come Guerra di Crimea – durò dal marzo 1854 alla fine del 1855 (la pace fu firmata, nel febbraio successivo, a Parigi) e si concluse, dopo sanguinosissimi scontri e l’aspra resistenza delle truppe russe, con la sconfitta dell'Impero zarista. La seconda guerra russo-turca cui più oltre si allude si svolse nel 1877-78 e fu caratterizzata soprattutto dalla lunga resistenza turca nella città fortificata di Plewna. Il Congresso di Berlino del 1878 sancì praticamente i deliberati del trattato russo-turco di Santo Stefano, di poco precedente, quindi la perdita da parte dell'Impero Ottomano della Romania, della Serbia, del Montenegro e della Bulgaria.

[23] Red terror doctor, Dottor terrore rosso, era il nomignolo affibbiato dagli inglesi a Marx. Il 20/XI/1954, in un discorso a Woolford, Churchill rivelò (ma poi smentì) di aver telegrafato a Montgomery, nel 1945, di raccogliere ed inquadrare i resti dell’esercito tedesco caduti nelle sue mani per tentar di arginare col loro aiuto l'avanzata sovietica in Germania.

[24] Contrariamente a quanto risultava dall'edizione Mongini, l'articolo è di Engels, anche se concordato con Marx.

[25] Occorre spiegare che «la Sempre Attesa» è la rivoluzione proletaria integrale?

[26] Traduciamo dal X volume delle K. Marx- F. Engels Werke, Dietz Verlag, Berhn 1973, pp. 245-246. (Corsivi di A.B.).

[27] Ibidem, p. 507. Articolo anche questo un tempo attribuito a Marx, poi risultato di pugno di Engels (corsivi di A.B.).

[28] Cfr. Lenin, La caduta di Port Arthur, genn. 1905, in Opere, ed. cito voI. VIII, soprattutto alle pp. 38 e 42-43. La traslazione delle spoglie di Marx (cui si allude più sopra) dall'umile tomba del cimitero londinese di Highgate ad un monumentale sepolcro nello stile del "realismo socialista" avvenne nel marzo 1956: al tempo della pubblicazione del presente testo di partito, era in corso la sottoscrizione internazionale promossa a tale scopo dai Sovietici.

[29] Per la crescente esaltazione, sotto lo stalinismo, dei "valori" nazionali e delle "glorie patriottiche" russe (come era nella logica di un capitalismo nazionale in costruzione), cfr. la documentazione fornita da I. Deutscher nel suo Stalin, ed. Longanesi, Milano, 1951, pp. 660-661, 669-690, 739, 741, 807-808.

[30] Per la questione spesso dibattuta nella nostra stampa del ruolo oggettivamente rivoluzionario - dal punto di vista dello sviluppo storico generale - che la formazione di un unico mercato interno nell'immensa area dell'attuale Urss, o, che è lo stesso, lo sviluppo pieno di un'economia capitalistica nell'industria e nell' agricoltura sono chiamati a svolgere nell'estremo Est sovietico, allargando così le basi di una futura rivoluzione proletaria, cfr. in particolare L'orso e il suo grande romanzo, apparso nel nr. 3/1953 de «Il Programma Comunista» (e, in particolare, le Tesi sulla Russia con cui esso si apre). Jagoda, già capo della GPU negli anni '30 e, in tale veste, corresponsabile nr. 1 della sanguinosa liquidazione della vecchia guardia, processato a sua volta e giustiziato nel 1938 come reo di "attività controrivoluzionarie"; Beria, già vice-primo ministro, ministro degli interni e potente capo della polizia nell"'interregno" fra Stalin e Krusciov, sospeso da ogni carica nel luglio 1953 come "traditore della Patria e del Partito" e condannato a morte insieme ad altre personalità del regime per "alto tradimento", come primo responsabile di un "complotto antisovietico inteso a ristabilire il dominio della borghesia", alla fine di dicembre dello stesso anno - due fra i mille esempi di quanto valgano le glorie personali nella storia in genere e in quella della borghesia in specie, dominata com'è quest'ultima dall'ideologia della persona, alternativamente eroe e criminale, boia ed impiccato, sempre elevata a prima attrice (nel bene nel male) sul palcoscenico delle vicende collettive.

[31] In realtà, l'articolo in questione ("Austria's Weakness"), riprodotto come dovuto a Marx nell'edizione Aveling degli articoli sulla questione orientale (K. Marx, The Eastern Question. A Reprint of Letters, etc., Londra, 1897, pp. 545-546), e di qui, in versione italiana, nelle edizioni Mongini 1903 e Avanti! 1914 (le uniche di cui a tutt'oggi si disponga per questa serie di scritti), è poi risultato apocrifo – almeno per il brano qui tradotto. Come in altri casi, l'agente russo e panslavista Adam Gurowski, infiltratosi nella redazione della «New York Daily Tribune» fino a godere della fiducia quasi incondizionata dell'editore Ch. A. Dana, attribuì in blocco a Marx un centone da lui messo insieme di frasi proprie e di Marx ed Engels (cfr. in merito la nota 132 a p. 664 del volume XI dell'edizione Dietz delle Werke di Marx ed Engels, Berlino 1961). Il brano – d'altronde puramente informativo – va quindi preso oggi solo come utile spunto a considerazioni comunque illuminanti sul ruolo rivoluzionario in senso borghese dell'Urss in Asia.

[32] Cfr. l'omonimo volume nelle Edizioni Iskra, cit., pp. 102-105 e 114-119.

[33] Ibidem, pp. 105-111. La guerra del 1864, cui si allude più sopra, fu quella dichiarata (e vinta) dalla Prussia alla Danimarca per il possesso dello Schleswig-Holstein.

[34] Cfr. Marx, Indirizzo inaugurale e statuti provvisori dell'Associazione internazionale degli operai, in Marx-Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1966, pp. 761-762.

[35] Cfr. Marx-Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma 1974, voI. XLII, pp. 13-14, e A. Bordiga, Fattori di razza e nazione ecc., ediz. Iskra cit. pp. 108-109.

[36] Cfr. Marx-Engels L'Alleanza della Democrazia Socialista e l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, in K. Marx-F. Engels, Critica dell'anarchismo, Torino, Einaudi 1972, pp. 223-224.

[37] Cfr. Ibidem, p. 222.

[38] Si tratta: 1) dei due saggi di Engels, Soziales aus Russland (Cose sociali di Russia), 1877, e Nachtrag (Poscritto), 1894 (riuniti dall'A. nel volumetto lnternationales aus dem "Volksstaat"; 1871-1875, di quello stesso anno), ai quali sono dedicate lunghe pagine del presente testo; 2) della lettera di Marx alla Redazione dell'Otečestvennye Zapiski, redatta alla fine del 1877, cui si accenna brevemente più sopra. Il lettore può consultarli in traduzione italiana nel volume citato alla nota che segue, insieme ad altri testi – sconosciuti all'epoca della stesura del presente rapporto – su questa e analoghe questioni russe. Qui, se ne tratta nei cap. 23-25 e 33-47.

[39] Cfr. Marx-Engels, Prefazione alla seconda edizione russa del "Manifesto del Partito Comunista" in K. Marx-F. Engels, India, Cina, Russia, ed. Il Saggiatore, Milano 1965, pp. 245-246, dove il testo di Engels citato alla nota 38, e qui rivisto sull'originale tedesco, appare sotto il titolo Le condizioni sociali in Russia. (Corsivi di A.B.).

[40] Cfr. più sopra, p. 23, nota 3. Invarianti, come la nostra dottrina, sono le critiche rivolte ad essa, monotonamente, da quasi un secolo e mezzo a questa parte.

[41] Cfr. il già citato volume omonimo in edizione Iskra, pp. 11-17, dove appunto si qualifica come «pura scempiaggine» la tesi secondo cui, «essendo il marxismo la teoria della moderna lotta di classe fra capitalisti ed operai, ed il comunismo il movimento che conduce la lotta del proletariato, noi neghiamo effetto storico alle forze sociali di altre classi, ad esempio i contadini, e alle tendenze e pressioni razziali e nazionali, e nello stabilire la nostra azione tra- scuriamo come superflui tali elementi», restando aperta ovviamente la questione di quando come «allearsi» con esse al fine di accelerare i tempi della vittoria rivoluzionaria.

[42] La formula in cui si è soliti riassumere i termini della rivendicazione comunista – abolizione del lavoro salariato (di cui è solo una parafrasi l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione) – è corretta, ma incompleta. Come si spiega estesamente nel cit. A. Bordiga, Proprietà e capitale (ed. Iskra, p. 138), ciò che definisce veramente il comunismo è l'«abolizione della proprietà sui prodotti, del carattere di merci dei prodotti, della moneta, del mercato, della separazione tra aziende e (si deve aggiungere) della divisione della società in classi, e dello Stato».

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